ETRUSCHERIA
Termine ancora in uso per indicare tutta la ingombrante serie di attività esegetiche pseudoscientifiche che ha provocato e provoca tuttora il fenomeno etrusco nel rispetto linguistico, sociale e artistico. A titolo di curiosità - talvolta ricompensata da constatazioni interessanti di preveggenza negli studiosi - si citano le opere di Fra' Giovanni da Viterbo, il quale considerò la sua città come centro di diffusione degli Etruschi, che discendevano da Noè e parlavano in aramaico. Questa ipotesi semitica della lingua etrusca è rimasta per secoli; anche lo Scaligero (1540-1609) ne partecipava.
È durante il '700, dopo la pubblicazione del De Etruria regali del Dempster (1723-26) che compare la parola E. (Pauly-Wissowa, vi, c. 770); il centro coordinato di attività è l'Accademia Etrusca Cortonese coi suoi Saggi di dissertazioni accademiche, 1735-91 (v. Archeologia; etrusca, arte).
La seconda metà del '700 e la prima dell' 8oo costituiscono lo sfondo, caotico quanto si voglia, ma naturale, della ricerca storica odierna. Da un lato i cataloghi dei musei (Maffei, Guarnacci, Gori, etc.) e la visione sintetica della lingua del Lanzi (1787); dall'altro il primo apparire della teoria nordica (Fréret, Heyne, Niebuhr, in parte K. O. Müller) accanto a quella tradizionale anatolica, dalla quale nessuno più o meno - può prescindere (v. Etrusca, arte).
Ma ormai la ricerca linguistica prende il sopravvento sulla base delle migliorate conoscenze dei dialetti italici e sebbene non cessino lo sbandamento, il disorientamento e "scoperte" pseudo-scientifiche in una ricerca notoriamente difficile, non è più il caso di parlare di Etruscheria.
Bibl.: E. Fiersel, Die Erforschung der indogermanischen Sprachen. Etruskisch, 1931, pp. 1-27; Skutsch, in Pauly-Wissowa, VI, 1909, c. 770.