Etologia umana
Lo studio del comportamento animale ha costituito da sempre l'obiettivo principale dell'etologia. Tuttavia, in tempi recenti, questa disciplina ha iniziato a emanare forti stimoli anche sulle scienze sociali e sullo studio del comportamento umano. Qui saranno illustrati gli ambiti di ricerca attraverso i quali l'etologia sta esercitando tali influssi. A tale riguardo saranno descritti diversi esempi, tra cui l'importanza del riconoscimento delle relazioni dialettiche tra i differenti livelli di complessità sociale, la teoria dell'attaccamento nella psicologia dello sviluppo, l'effetto dei vincoli biologici sui processi di apprendimento, lo studio del comportamento dell'uomo in rapporto alle sue conseguenze funzionali.
I primi etologi erano naturalisti interessati al comportamento animale e, a parte poche eccezioni tra cui lo stesso Konrad Lorenz, l'interesse iniziale fu concentrato quasi esclusivamente sullo studio del comportamento degli animali in natura. I sociologi, da parte loro, per via di alcuni pregiudizi che nutrivano e a causa dell'avventatezza di qualche etologo, dapprima non presero in seria considerazione la possibilità che l'etologia potesse apportare contributi utili all'analisi del comportamento umano. Tuttavia, a partire dagli anni Cinquanta i principî teorici e le scoperte più importanti dell'etologia sono penetrati gradualmente nelle scienze sociali arrivando a esercitare, in tempi recenti, una forte influenza in svariati campi.
Quali sono questi principî? Le caratteristiche più proficue dell'etologia consistono in alcuni approcci epistemologici generali a proposito della ricerca. Particolarmente significativa è l'idea che lo studio del comportamento debba iniziare da osservazioni e descrizioni accurate, effettuate in condizioni che siano naturali per le specie considerate; inoltre, è determinante che in questo tipo di analisi si tenga ben presente che il tutto è qualcosa di molto più complesso della semplice somma delle parti. Gli etologi ritengono anche che la comprensione di un determinato aspetto del comportamento dipenda dalla risposta a quattro domande fondamentali, relative ai principali fattori causali che, a diversi livelli, sono necessari per spiegare e comprendere il comportamento sia degli animali che degli uomini: cosa produce questo comportamento (in termini di fattori immediati sia interni che esterni all'organismo)? Come si sviluppa nell'individuo? Come si è evoluto filogeneticamente? Qual è o qual è stata la sua funzione? Infine, per essere più precisi, quali sono le conseguenze adattative per cui tale comportamento si è conservato nel repertorio comportamentale di una specie?
Sebbene sia importante tenere distinte le domande fondamentali dell'etologia da un punto di vista teorico, il loro studio risulta spesso mutuamente fecondo sul piano pratico. In particolare, le domande relative all'evoluzione filogenetica o alla funzione di un dato comportamento riguardano questioni un tempo trascurate dagli psicologi, ma ora tenute in piena considerazione dato che permettono una migliore comprensione di alcuni aspetti del comportamento umano normale e patologico. Anzi, grazie all'influenza dell'etologia sulla psicologia e sulle scienze sociali, ha preso sempre più piede l'idea che i diversi livelli di complessità sociale non possano essere studiati in modo indipendente l'uno dall'altro poiché si influenzano a vicenda. Gli studiosi di scienze sociali concordano oggi sul fatto che sia più conveniente riconoscere livelli successivi: processi psicofisiologici all'interno degli individui, comportamento individuale, interazioni a breve termine tra individui, relazioni a lungo termine tra individui, gruppi, società.
Un'importante distinzione, frutto di questa influenza, è quella tra il concetto di 'interazione' e quello di 'relazione': una relazione coinvolge una successione di più interazioni tra due individui che si conoscono, cosicché ogni interazione è influenzata da quelle precedenti e spesso dall'aspettativa di interazioni future. Naturalmente la situazione è più complessa di così, poiché relazioni e interazioni coinvolgono anche aspetti cognitivi ed emozionali. Ognuno di questi livelli ha proprietà emergenti non presenti al livello inferiore. Così, una relazione può includere uno o più tipi di interazioni e questa proprietà non si applica alle singole interazioni. In un'interazione, il comportamento di ciascuno dei due partner può intrecciarsi o meno con quello dell'altro, e questa proprietà è irrilevante per il comportamento di un individuo isolato. Inoltre, noi usiamo concetti differenti per spiegare ciascun livello: nell'interpretare perché due fratelli stiano lottando (livello di interazione), ci si potrebbe concentrare sul loro desiderio immediato per lo stesso giocattolo. Se si volesse spiegare perché litigano sempre (livello di relazione), si potrebbe attribuire questo al costrutto di rivalità tra fratelli.
Ognuno dei livelli in questo modello influenza quelli adiacenti ed è influenzato da essi. Così, ciò che si verifica in un'interazione è influenzato dalla natura degli individui coinvolti e anche dalla natura della relazione in cui l'interazione è inclusa. La qualità della relazione è a sua volta influenzata dalla natura delle interazioni coinvolte, e anche dal gruppo sociale al quale gli individui appartengono, poiché la relazione di A con B è condizionata dalla relazione di B con C. Ciò comporta il fatto che i vari livelli, incluso quello dell'agire individuale, non siano da considerare come entità statiche ma come processi che vengono continuamente creati, mantenuti e ridimensionati dai rapporti dialettici tra i livelli stessi.
Tutto ciò si applica alle specie animali e ugualmente alla specie umana, ma in quest'ultimo caso è presente un ulteriore fattore: la struttura socioculturale, ovvero l'insieme di regole, credenze, valori e istituzioni con le loro funzioni prescrittive, che sono più o meno noti agli individui che ne fanno parte. Questa struttura stabilisce relazioni dialettiche con ognuno dei livelli di complessità: per esempio, le regole che riguardano il matrimonio influenzano anche la frequenza dei divorzi e la frequenza dei divorzi influenza le regole che riguardano il matrimonio. È evidente che questi differenti livelli di complessità costituiscono l'oggetto di diverse branche delle scienze sociali. Ma l'esistenza di rapporti dialettici tra i vari livelli significa che lo sviluppo e il rapporto di causa-effetto di ogni aspetto del comportamento umano non possono essere totalmente compresi soffermandosi su un solo livello di analisi. Si tenterà perciò di illustrare i vari modi in cui l'etologia oggi sta contribuendo alla comprensione del comportamento umano.
Alcuni dei primi tentativi di applicare l'approccio etologico allo sviluppo del bambino si sono concentrati sull'identificazione di moduli motori specifici, paragonabili ai moduli fissi di azione (FAP, Fixed action patterns), che costituivano un argomento centrale nello studio del comportamento animale. Per esempio, un'attenta descrizione della sequenza delle risposte di tipo riflesso con cui il neonato trova il capezzolo della madre ha contribuito a risolvere alcuni problemi che insorgono durante l'allattamento al seno. Inoltre, da molto tempo gli etologi si impegnano a descrivere i movimenti e le espressioni facciali con cui l'uomo esprime le sue emozioni, e il loro lavoro si è collegato a quello condotto da psicologi come Paul Ekman.
Il campo nel quale l'approccio etologico ha avuto invece implicazioni di più ampia portata è quello dello studio degli effetti che il rapporto con i genitori ha sullo sviluppo della personalità del bambino. Secondo John Bowlby (1969), uno psicanalista interessato agli studi etologici sull'allevamento dei piccoli nei Primati, quelle che vengono considerate paure irrazionali nell'infanzia (la paura di cadere, di forti rumori improvvisi, di essere lasciati soli, e così via) sarebbero state altamente adattative nell'iniziale processo evolutivo degli Ominidi. Bowlby ha osservato come la relazione madre-bambino coinvolga diversi moduli comportamentali che si sono sviluppati durante l'evoluzione per il beneficio di entrambi. Molti di questi moduli, come il sorriso del bambino e l'intonazione acuta della voce che i genitori usano per parlare con i loro figli, hanno la funzione di rafforzare i legami tra di loro. Bowlby ha così ipotizzato l'esistenza di piani e strutture del comportamento complementari che favoriscono l'evoluzione della nostra specie: nel bambino è presente un 'sistema comportamentale di attaccamento', che entra in relazione con un 'sistema di accudimento' corrispondente nel genitore che si prende cura di lui (di solito la madre).
Bowlby ha inoltre suggerito che il bambino costruisce, nel corso di molteplici interazioni con l'ambiente, un 'modello operativo interno' che include rappresentazioni mentali di sé, degli altri e delle relazioni con le figure emotivamente rilevanti, e che tale modello interno influenzi il suo comportamento futuro e possa essere da esso modificato. In particolare riveste molta importanza il senso intimo di sicurezza che il genitore induce nel figlio, rispondendo in modo attento e sensibile ai suoi bisogni, ed è un fatto oggi acclarato che la natura e il grado di sicurezza personale forniti dal genitore possono avere importanti ripercussioni sullo sviluppo della personalità del bambino. Grazie a Bowlby, dunque, l'integrazione dell'etologia con la psicoanalisi, la teoria dei sistemi e la psicologia dello sviluppo ha portato alla nascita della teoria dell'attaccamento, che oggi è una pietra miliare nello studio della psicologia infantile normale e patologica (fig. 2).
Una delle principali collaboratrici di Bowlby, Mary D. Ainsworth, ha sviluppato con il suo gruppo di ricerca una procedura di osservazione etologica in laboratorio per valutare la dinamica del rapporto tra madre e bambino; grazie a questo metodo, si è potuto dimostrare che nella prima infanzia il senso di sicurezza personale e autostima è legato alla sensibilità della risposta materna e che esso influenza in diversi e importanti modi lo sviluppo successivo. Per esempio, se non intervengono eventi particolarmente traumatici a cambiare le cose nel corso della vita, i bambini che a un anno d'età sono stati classificati come sicuri tendono a interagire meglio con i coetanei all'asilo e negli anni successivi. Il senso di sicurezza di sé nella prima infanzia è considerato oggi così importante e predittivo dell'adattamento psicologico successivo che Carol George, Nancy Kaplan e Mary Main hanno ideato un protocollo di intervista semistrutturata per studiare lo stile di attaccamento negli adulti in funzione del rapporto che l'individuo riferisce di aver avuto con i propri genitori.
Lo studio dell'apprendimento è stato un campo fecondo di applicazione delle scoperte dell'etologia. Poiché i primi psicologi pensavano alla mente del neonato come a una tabula rasa, si riteneva che tutte le esperienze umane potessero essere apprese con la stessa facilità, così da influenzare il comportamento futuro. Tuttavia, studi condotti su diverse specie animali hanno dimostrato come la capacità di apprendimento sia spesso limitata a contesti particolari, dato che un animale apprende prontamente in alcune situazioni ma non in altre. Per esempio, William H. Thorpe ha mostrato che l'apprendimento gioca un ruolo essenziale nello sviluppo del canto del fringuello (Fringilla coelebs); un individuo allevato in una situazione di isolamento acustico da altri fringuelli è in grado di produrre soltanto un canto molto semplice. Per di più, questi uccelli non possono imparare qualsiasi canto cui vengono esposti, ma solo quelli con una struttura simile a quella del canto della propria specie. Parimenti il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula), una specie imparentata col fringuello, può imparare unicamente il canto del maschio da cui è stato allevato.
Conclusioni simili sono state raggiunte dagli psicologi sperimentali. Per esempio, John García e collaboratori hanno mostrato che i ratti possono imparare a evitare cibo avvelenato, anche se l'effetto nocivo viene avvertito solo tempo dopo l'ingestione, ma che essi associano molto più prontamente l'effetto del veleno al sapore del cibo piuttosto che ad altri stimoli presenti in quel momento nell'ambiente. Generalizzando, questi dati suggeriscono che gli organismi, inclusi gli esseri umani, hanno una predisposizione ad apprendere meglio alcune cose piuttosto che altre, e che i limiti di tale apprendimento non dipendono dalla difficoltà del compito bensì dall'interazione tra l'identità biologica del soggetto e il contesto.
Tutto ciò ha avuto un'ampia ripercussione sulle teorie dell'intelligenza umana. Negli anni Settanta lo psicologo sperimentale Paul Rozin formulò la teoria secondo cui l'evoluzione avrebbe comportato una specializzazione adattativa per particolari contesti. Tale ipotesi era in aperto contrasto con quelle sostenute a quel tempo dalla maggior parte dei suoi colleghi, secondo i quali l'evoluzione dell'intelligenza avrebbe implicato un graduale ma generale miglioramento delle capacità di apprendimento. Negli ultimi anni, invece, l'idea che l'intelligenza umana dipenda da un meccanismo di tipo generale e unitario è stata progressivamente abbandonata. Così, per esempio, Jerry Fodor ha ipotizzato che la mente sia formata da alcuni sistemi di input modulari e indipendenti tra loro, che alimentano un meccanismo cognitivo centrale responsabile dell'intelligenza; Howard Gardner ha invece descritto ben sette tipi di intelligenza biologicamente differenti: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, motoria, di comprensione di sé stessi e di comprensione degli altri. Più recentemente, gli psicologi di impronta evoluzionistica hanno proposto che la mente coinvolga un gran numero di meccanismi obiettivo-specifici.
Abbiamo visto che gli etologi tentano di dare una risposta alle domande riguardanti non soltanto lo sviluppo e il rapporto di causa-effetto, ma anche l'evoluzione e la funzione biologica del comportamento. Queste domande possono essere applicate utilmente alla specie umana? Per quanto riguarda il corso dell'evoluzione, si può dire che alcuni moduli motori e altri aspetti del comportamento umano sono in effetti molto simili a quelli dei Primati non umani; la sequenza dei movimenti usata dai neonati per trovare il capezzolo della madre costituisce un esempio evidente. Alcuni sembrano residui di moduli che erano adattativi all'inizio della nostra storia evolutiva. Come abbiamo già detto, le cosiddette 'paure irrazionali dell'infanzia' devono aver avuto un ruolo importante nel nostro repertorio comportamentale ancestrale; sembra che il 'riflesso di Moro' (una risposta di riflesso mostrata dai neonati che consiste nell'apertura iniziale delle braccia seguita dallo stringere le mani) derivi dal riflesso con il quale i piccoli dei Primati si aggrappano al ventre della madre per essere trasportati. In generale, la mancanza di dati obiettivi sul comportamento degli Ominidi riduce i tentativi di rintracciare un percorso evolutivo dettagliato del comportamento umano a livello di pura speculazione. Tuttavia, un esame attento dei manufatti prodotti offre testimonianze interessanti delle capacità cognitive dei nostri antenati e ciò ha suggerito spunti importanti per studiare le caratteristiche generali dell'evoluzione umana cognitiva. Per quanto riguarda gli aspetti funzionali del comportamento, la situazione è molto diversa e un approccio biologico al comportamento umano sta facendo luce su alcuni temi importanti. Per descrivere la natura di questo tipo di studio, l'approccio migliore sembra essere quello storico.
Nel 1964 William D. Hamilton mise in evidenza che la selezione naturale può operare per favorire non solo varianti con maggior successo riproduttivo individuale, ma anche individui che agiscono in modo tale da beneficiare del successo di altri individui imparentati con loro, seppure a danno del proprio. La frequenza con cui ciò si verifica e l'ampiezza dell'effetto dipendono dal grado di parentela tra colui che agisce e coloro che ne traggono profitto. Per fare un esempio molto semplice, immaginiamo un gene che porti l'individuo che lo possiede a essere pronto a sacrificare la propria vita per gli altri. Una copia del gene scomparirebbe se il portatore morisse, ma se quest'atto salvasse la vita a più di due discendenti (ognuno dei quali con una probabilità del 50% di possedere il gene in questione), più di due fratelli, più di otto cugini, e così via, allora la frequenza del gene aumenterebbe comunque. Ciò offre una spiegazione evolutiva dei molti casi di comportamento che appaiono dannosi per chi li attua, tra i quali il comportamento parentale di sacrificio in favore della prole costituisce un primo esempio.
Il comportamento per cui si aiutano gli altri a proprio svantaggio temporaneo è stato anche descritto come 'altruismo reciproco'. Questo è in accordo con i dati secondo i quali i rapporti tra esseri umani adulti sono in parte basati su principî di scambio sociale la cui aspettativa è la reciprocità, benché i criteri per la valutazione di ciò che è giusto cambino in base al tipo di rapporto e alle circostanze. Alcuni autori hanno suggerito che i rapporti sono governati da un contratto sociale, ed esistono prove che gli individui non solo si risentono se vengono beneficiati meno di quanto essi ritengono di meritare, ma avvertono un certo disagio anche se vengono beneficiati troppo.
Edward O. Wilson (1975) fece sue le idee di Hamilton in un testo basilare, Sociobiology: the new synthesis, un'integrazione magistrale di materiale proveniente dall'etologia, dall'ecologia, dalla genetica delle popolazioni e dalle discipline a esse correlate. Il suo scopo primario era quello di interpretare le caratteristiche dell'organizzazione sociale partendo da una conoscenza dei parametri della popolazione e dalle limitazioni biologiche imposte dalla costituzione genetica della specie. Benché minata da inutili e pretenziose affermazioni secondo cui la sociobiologia, col passare del tempo, avrebbe inglobato discipline come l'etologia, la psicologia e le scienze sociali, la posizione di Wilson ha stimolato numerose e accattivanti intuizioni funzionali su aspetti del comportamento umano.
Sebbene le cure parentali possano essere comprese in termini biologici semplici, dato che i figli sono portatori dei geni dei loro genitori, le dinamiche del comportamento parentale vengono complicate dal fatto che, dedicando risorse a un figlio, i genitori possono ridurre la capacità di prendersi cura dei successivi. Così, la prole può richiedere più di quanto non sia appropriato dare per il genitore; questo può determinare un conflitto di interessi tra genitori e figli. Anche se ciò non implica necessariamente che si verifichi una contesa comportamentale tra genitori e figli, molti aspetti della relazione tra genitore e figlio nell'uomo, a partire dall'iniziale protezione fornita dal genitore, attraverso le difficoltà dello svezzamento fino al conflitto adolescenziale, rientrano in questo modello. Informazioni aneddotiche e altre testimonianze suggeriscono infatti che i genitori siano inclini a impegnare più risorse per l'ultimo figlio rispetto a quelli precedenti, non essendoci una generazione di figli successiva per la quale conservare le risorse.
Lo scopo di questa disciplina è quello di determinare come la variabilità comportamentale all'interno delle popolazioni e tra di esse sia influenzata da fattori ecologici e sociali. Inoltre essa tenta di dimostrare che il comportamento umano tende a massimizzare il successo riproduttivo dell'individuo coinvolto o quello dei parenti stretti, come conseguenza di tendenze comportamentali evolute. Per esempio, fra i cacciatori-raccoglitori del Kalahari, le donne, a differenza di quanto si verifica in molte altre società non occidentali, distanziano molto nel tempo la nascita dei loro bambini, riproducendosi circa una volta ogni quattro anni. Benché ciò possa suggerire che in questo modo non massimizzino la propria potenzialità riproduttiva, si è visto che l'attività di raccolta del cibo è per gran parte compito delle donne, le quali mentre provvedono a ciò devono portare con sé i propri figli, riducendo in tal modo la quantità di alimenti che possono trasportare. Nicholas G. Blurton Jones (1987), partendo da stime attendibili circa il peso del cibo che una donna deve portare affinché i suoi figli siano adeguatamente nutriti, ha mostrato che l'intervallo tra due nascite consecutive è determinato dal carico che la madre può trasportare, e che l'intervallo di quattro anni è quello ottimale.
Come altro esempio, Monique Borgerhoff Mulder ha studiato il successo riproduttivo tra i Kipisigis del Kenya. In questa popolazione solo gli uomini possiedono la terra, che condividono in parti uguali con le loro mogli. Questa ricercatrice ha scoperto che la quantità di terra che spetta a una moglie è correlata positivamente con il suo successo riproduttivo. Le donne tendono a sposare uomini che hanno in quel momento un minor numero di mogli e un più grande appezzamento di terra, massimizzando in questo modo il loro potenziale riproduttivo. La terra è ereditata dai figli e non dalle figlie; in questo modo il successo riproduttivo degli uomini tende a essere legato alla quantità di terra posseduta dal padre. Una relazione simile è stata riscontrata per le figlie, ma in questo caso è la conseguenza di un menarca anticipato di ragazze cresciute in territori vasti. Un approccio simile è stato applicato a molti aspetti del comportamento umano: la ricerca del cibo e la dieta, la condivisione del cibo, le differenze legate al sesso nel comportamento riproduttivo, i sistemi di accoppiamento, le cure parentali ecc.
I risultati di queste ricerche sono di grande interesse, ma presentano anche alcuni problemi. Sebbene un certo numero di studi abbia indicato, nelle società non industrializzate, una correlazione tra la ricchezza e il successo riproduttivo, essa non è sempre valida. Così, per esempio, nelle società occidentali il rapporto tra la ricchezza e il successo riproduttivo dipende dalle condizioni sociali e può essere di tipo inverso. Ci sono infatti molte situazioni, che richiedono una spiegazione, nelle quali gli esseri umani non si comportano in modo biologicamente adattativo. Secondo alcune teorie, i cambiamenti verificatisi negli ultimi millenni nell'ambiente in cui l'uomo vive sarebbero stati così rilevanti da far diventare non adattative tendenze comportamentali che in un primo stadio della nostra evoluzione lo erano. La loro espressione attuale potrebbe essere il risultato del cambiamento delle condizioni: per esempio, le paure irrazionali dei bambini descritte da Bowlby potrebbero non essere adattative in un ambiente urbano; oppure, un comportamento disfunzionale (come l'alimentazione eccessiva) potrebbe rappresentare l'espressione esagerata o inappropriata di una tendenza che in altri contesti sarebbe adattativa. Inoltre, gli individui possono essere costretti da altre persone o dalla struttura socioculturale ad agire in modi che non favoriscono il loro interesse riproduttivo, come avviene, per esempio, nel celibato religioso.
Borgerhoff Mulder (1991), in un'attenta discussione su questa e altre questioni, ha sostenuto in modo ottimistico che studi sulle conseguenze dell'adattamento individuale faranno luce sulla struttura e sull'evoluzione delle società umane. Questa ricercatrice auspica un ulteriore sviluppo della teoria dei giochi per lo studio di situazioni nelle quali i vantaggi individuali siano compromessi dalle strategie di altre persone, l'uso di modelli ottimali più complessi per analizzare la diversità delle pressioni della selezione, nonché il riconoscimento dell'importanza dei processi storici.
Questa disciplina intende dimostrare che particolari aspetti del comportamento umano si sono adattati per particolari funzioni. Ciò comporta l'assunzione che il cervello e la mente includano molti meccanismi specializzati dominio-specifici; la validità di tale ipotesi dipende in larga misura dalla possibilità di dimostrare che il 'disegno evolutivo' degli aspetti del comportamento determini efficienza, economicità e precisione nell'operazione. Per esempio, gli aspetti dell'altro sesso che gli esseri umani trovano attraenti sembrano essere quelli che consentono di massimizzare il loro successo riproduttivo. Vi sono evidenze significative a sostegno dell'idea che le nausee legate alla gravidanza rappresentino un meccanismo per proteggere il feto dalle tossine: una conclusione che pone il fenomeno in una prospettiva del tutto differente.
Jerome H. Barkow, Leda Cosmides e John Tooby (1992) hanno dimostrato che la capacità di comprendere regole condizionali del tipo "se P allora Q" e di rilevare le eventuali violazioni è maggiore quando queste regole si concretizzano in una situazione sociale. In una serie di esperimenti è stato chiesto ai soggetti se era stata violata un'ipotesi in quattro diverse situazioni. In un caso, per esempio, la regola era "se una persona sta bevendo birra, allora deve avere più di vent'anni". Ai soggetti furono consegnate quattro schede, ognuna contenente su un lato informazioni sull'età dell'individuo e sull'altro informazioni su ciò che il soggetto stava bevendo. Le informazioni erano "bere birra", "bere Coca-Cola", "25 anni" e "16 anni". La soluzione corretta è che la prima e l'ultima scheda devono essere controllate. Mentre in questa situazione, che coinvolge la possibile violazione di un contratto sociale, circa il 75% dei soggetti fornì la risposta corretta, in una condizione in cui la regola era semplicemente descrittiva e non riguardava il contratto sociale, i soggetti risolvevano il problema con successo con un'efficienza di gran lunga minore. Sulla base di questi risultati, gli autori hanno suggerito che le violazioni del contratto sociale stimolino un meccanismo adattatosi grazie all'evoluzione. Come sempre nell'ecologia comportamentale, la prova che tale comportamento sia frutto di un adattamento non è inconfutabile. Per esempio, i bambini hanno molte più opportunità di imparare le violazioni del contratto sociale, e di disapprovarle, rispetto alle violazioni di altre regole condizionali.
In ogni caso, il punto importante in tutti questi approcci è l'attenzione data agli influssi della selezione naturale sul comportamento sociale umano. Inoltre, sta diventando chiaro che tali influssi potrebbero essere stati, e attualmente sono, molto più complessi di quanto non appaia a prima vista. Gli esseri umani possono cambiare il loro ambiente e ciò può influenzare l'impatto della selezione naturale; analogamente, la struttura socioculturale dei gruppi umani influenza gli schemi di accoppiamento e la mobilità, con lo stesso possibile risultato: i cambiamenti socioculturali possono quindi influenzare il corredo genetico.
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