Etnoarcheologia
Questo termine, adottato negli ultimi trent'anni dall'archeologia moderna, sta a indicare un particolare metodo di ricerca archeologica applicato allo studio dell'archeologia sociale. È compito dell'archeologo riuscire a interpretare la cultura materiale delle popolazioni antiche come risultato di un determinato assetto sociale in un dato ambiente, in modo da comprendere come e perché l'uomo fabbricava ciò che ci è pervenuto. In mancanza sia di fonti scritte sia di altri elementi indicativi, l'archeologia preistorica ha trovato nell'approccio etnoarcheologico la possibilità di uno studio approfondito dei processi di formazione, eseguito sulle comunità primitive ancora oggi viventi, e la possibilità di confrontare le situazioni etnografiche con quelle preistoriche. L'idea di trovare spiegazioni o conferme di alcuni comportamenti dell'uomo preistorico nelle società primitive attuali era già stata utilizzata dagli archeologi europei dei secc. 19° e 20°, grazie alle ricerche degli etnologi in Africa e in Australia. Ne risultavano i cosiddetti paralleli etnografici, consistenti in semplici similitudini tra le società del passato e quelle, più arretrate, del presente. Con i primi studi di e., l'archeologo ha cercato di utilizzare i dati etnografici per ottenere verifiche e conferme alle ipotesi concernenti la ricostruzione dei comportamenti umani delle comunità primitive; poiché tale ricostruzione parte dallo studio della formazione e della trasformazione dei depositi archeologici, si è cercato di costruire modelli il più possibile adattabili alle spiegazioni del comportamento dell'uomo antico. Lo studio dei comportamenti delle attuali comunità di cacciatori-raccoglitori è motivato dalla necessità di trovare modelli esplicativi da adattare alle società di tipo nomadico, che presentano le maggiori difficoltà di interpretazione. Per questo le ricerche si sono concentrate soprattutto in Africa, Alaska e Oceania. Negli Stati Uniti gli archeologi ebbero la possibilità di fare confronti con le società viventi di Indiani americani; così tale approccio acquistò un certo peso nella storia degli studi come valido ausilio all'interpretazione archeologica. Oggi sono gli stessi archeologi che, invece di avvalersi, come in precedenza, dei dati messi a disposizione dagli etnologi, compiono ricerche soggiornando presso le società primitive. Tale cambiamento permette all'archeologo di disporre di dati di prima mano e di selezionare quelli più utili alla propria ricerca.
Un'importante esperienza sul campo venne fatta dall'antropologo statunitense L.R. Binford (n. 1930), il quale ipotizzò una stretta connessione tra archeologia ed etnologia: il suo programma di ricerca divenne il vessillo della New archaeology; secondo Binford, compito dell'archeologo non è più solo la ricostruzione storica, ma soprattutto la formulazione di leggi che possano spiegare le cause dei cambiamenti culturali. A sostegno di tale approccio, Binford organizzò spedizioni in Alaska, dove, presso un gruppo di cacciatori-raccoglitori nunamiut eskimo, attuò l'osservazione diretta dei loro comportamenti. Tale metodo fu posto dallo studioso a fondamento dell'interpretazione dei meccanismi che avevano dato luogo alla formazione dei resti archeologici del sito musteriano di Pincevent (100.000÷40.000 anni fa), in Francia, abitato da una comunità di cacciatori-raccoglitori. Dal 1969 al 1973, Binford visse tra i Nunamiut, osservando i loro comportamenti e la formazione dei rifiuti, che è una delle fonti più preziose per la ricostruzione di una società. Binford tentò di ricostruire, studiando gli spostamenti dei Nunamiut, la divisione delle aree nelle quali si svolgevano le loro attività economiche, e quindi di stabilire il modello di mobilità del gruppo tra diversi accampamenti. L'esempio di Binford fu seguito da I. Hodder, autore di uno studio sulle decorazioni delle orecchie delle donne nell'area del lago Baringo in Kenya; egli ricostruì i modi di diffusione di tali decorazioni e la loro importanza nella connotazione dei gruppi umani. R.A. Gould prese in esame una prospettiva opposta a quella di Binford, riuscendo a smentire la semplicistica equazione tra risorse, ambiente e organizzazione socio-economica, postulata dal materialismo culturale dell'epoca. Infatti, i suoi studi sugli Aborigeni nel deserto occidentale e in quello orientale dell'Australia (1966-74) mostrano come in analoghe condizioni ambientali si sviluppino modi di vita diversi; egli mette in risalto le anomalie fra le comunità: vale a dire quali caratteristiche, differenziandole, definiscono un complesso di "interazioni sociali, verbali ed ideali" (Guidi 1990², p. 222). In Gould l'e. non è più considerata un mezzo di verifica di ipotesi, ma è lo studio degli aspetti del comportamento non-materiale, ai quali difficilmente può risalire la semplice ricerca archeologica. Studi di questo genere non si sono limitati a semplici comunità o piccoli gruppi: per esempio, a Tucson, in Arizona, il Garbage project, organizzato da W.L. Rathje nel 1972, prese in esame la raccolta dei rifiuti provenienti dai contenitori di un'area della città; i materiali furono suddivisi per tipologie allo scopo di stabilire il rapporto tra la struttura sociale e i modi di scarico dei rifiuti.
Il ricorso all'approccio etnologico va fatto comunque con prudenza e solo in presenza di casi in cui sia dimostrabile la continuità tra la cultura archeologica e la società moderna, e deve essere limitato alle culture con un simile livello di sussistenza e il medesimo ambiente ecologico. La critica che è stata mossa all'uso dei modelli etnoantropologici nell'archeologia, soprattutto in quella preistorica, è basata sul principio che le società 'primitive' contemporanee sono strutturalmente diverse da quelle antiche. Non è possibile, infatti, confrontare direttamente le società etnografiche moderne con quelle della preistoria. Le attuali società etnografiche, necessariamente entrate in contatto con altre più articolate, per es. quelle europee, hanno subito modificazioni rispetto alla struttura sociale originaria. Perciò, anche se tale tipo di studio è utile per offrire nuove prospettive alla ricerca e per rendere più ampia la comprensione dei fenomeni, non è comunque corretto utilizzare modelli di formazioni sociali e di processi storici, trasferendoli, così come sono formulati, da un campo di ricerca all'altro. Infatti tali modelli, a cui rinviano i resti archeologici, non si trovano mai allo stato puro: è dato trovare un insieme di evidenze, definite nel tempo e nello spazio, risultato di processi di lunga durata, che possiamo cogliere solo in modo parziale e frammentario. Inoltre, poiché le società etnografiche sono per definizione senza storia, la ricerca antropologica su di esse è essenzialmente sincronica. Di contro, dal momento che la ricerca archeologica (della quale fa parte quella paletnologica) si propone la ricostruzione storica di un gruppo sociale, l'approccio etnoantropologico non è applicabile al tipo di documentazione di natura diacronica.
Dopo la Seconda guerra mondiale le ricerche di archeologia sperimentale hanno avuto un'ampia divulgazione, secondo le teorie di Coles (1973), come insieme di fatti, teorie e storie raccolti attraverso un secolo di studi finalizzati alla ricostruzione del comportamento umano nel passato e alla funzione degli archeologi.
Recentemente gli aspetti etnologici e archeologici degli studi tecnologici sono stati avallati dal tentativo di rendere viva l'archeologia attraverso la ricerca sperimentale, fondamentale per rendere più chiaramente comprensibili i modi di fabbricazione dei manufatti e il loro utilizzo. Infatti la sperimentazione è uno dei metodi usati dagli etnoarcheologi: è il tentativo di riduplicare il processo di formazione dei depositi archeologici, come delle tecniche di fabbricazione degli strumenti e di utilizzo degli stessi.
Bibliografia
L.R. Binford, Archaeology as anthropology, in American antiquity, 1962, 2, pp. 217-25.
J. Coles, Archaeology by experiment, London 1973 (trad. it. Archeologia sperimentale, Milano 1981).
L.R. Binford, Nunamiut ethnoarchaeology, New York-London 1975.
R.A. Gould, Living archaeology, New York 1980.
L.R. Binford, The archaeology of place, in Journal of anthropological archaeology, 1982, pp. 5-31.
I. Hodder, Symbols in action. Ethnoarchaeological studies of material culture, Cambridge-New York 1982.
A. Guidi, Storia della paletnologia, Roma 1988, 1990².
A. Cazzella, Manuale di archeologia. Le società della preistoria, Roma 1989.
A.M. Bietti-Sestieri, Protostoria. Teoria e pratica, Roma 1996.