eterofobo
agg. Che è ostile nei confronti degli altri, di chi è diverso.
• Quando si parla di «paura», per esempio, oggi pensiamo immediatamente all’incolumità personale. E quando pensiamo alla incolumità personale pensiamo immediatamente alla criminalità, comune ed eccezionale, che ci minaccia dovunque. Da vicino. Noi, i nostri cari, le nostre abitazioni. Ladri, aggressori, violentatori, rapinatori, pedofili. Perlopiù, stranieri, immigrati e zingari. Gli «altri» per definizione. Siamo eterofobi. Temiamo di essere insidiati, che i nostri figli e i nostri familiari vengano aggrediti. Dagli altri. (Ilvo Diamanti, Repubblica, 10 agosto 2008, p. 1, Prima pagina) • [Carlo] Giovanardi conclude con la speranza che «questa follia eterofoba» venga bocciata «da un Parlamento che non può cancellare nel nostro Paese libertà di parola e di pensiero garantite dalla Costituzione». (Avvenire, 16 luglio 2013, p. 6, Oggi Italia) • Un antisemitismo che è qualcosa di meno e molto di più del populismo eterofobo anti-immigrazione e anti-Euro dei movimenti d’estrema destra, sempre più forti dalla Grecia alla Germania, dalla Scandinavia alla Francia. È «qualcosa di meno», perché non tutti i partiti d’estrema destra sono antisemiti. Il Front National di Marine Le Pen, per esempio, cerca di emanciparsi dal padre-fondatore Jean-Marie. Ma al tempo stesso «qualcosa di più», perché attraversa l’Europa, ha radici antiche, profonde, concentra forme d’odio diverse: ideologiche, nazionali, religiose. (Marco Ventura, Messaggero, 28 gennaio 2014, p. 13, Cronache).
- Composto mediante la giustapposizione dei confissi etero- e -fobo.