ESTREMITÀ (fr. extrémités; sp. extremidades; ted. Extremitäten; ingl. extremities)
Nel loro abbozzo filogenetico fondamentale, le due estremità sono affatto simili l'una all'altra; ma se si guarda alla serie dei Vertebrati, si riscontrano grandi differenze nei particolari, giacché gli speciali bisogni e le abitudini d'ogni specie animale provocano in esse notevolissime trasformazioni (v. arto).
Negli arti si possono osservare numerosi difetti di sviluppo: in casi eccezionali non si sviluppa alcuna delle estremità (amelia); ma, con maggior frequenza si riscontra il mancato sviluppo d'una delle coppie di estremità.
Col nome di micromelia si comprende l'abnorme piccolezza delle estremità, che si osserva nella condrodistrofia fetale e che sembra dovuta a una disfunzione delle cartilagini d'accrescimento, che s'istituisce durante la vita intrauterina, per cause meccaniche, per cui la loro proliferazione, a cui si deve l'accrescimento in lunghezza delle ossa che le costituiscono, manca o rimane insufficiente.
In un'altra anomalia congenita, che prende il nome d'osteopsatirosi i processi proliferativi della cartilagine sono normali, mentre rimangono indietro l'ossificazione periostale e midollare delle ossa delle estremità, per cui queste sono normalmente lunghe, ma sottili, porose e fragili, tanto che già nella vita intrauterina si possono avere delle fratture e conseguenti deformita per calli irregolari. Le estremità possono deformarsi per numerose cause morbose (rachitide; osteomalacia, ecc.).
Estremità superiore. - L'estremità superiore è composta di quattro segmenti: la spalla, il braccio, l'avambraccio e la mano: tra il braccio e l'avambraccio si trova l'articolazione del gomito, come tra l'avambraccio e la mano si trova l'articolazione del polso.
Le estremità superiori possono presentarsi alla nascita profondamente difettose per malformazioni congenite; una di esse può mancare completamente o essere rappresentata da una piccola appendice informe: a tale anomalia fu dato il nome di monobrachio. Si designa col nome di focomelia una malformazione dell'estremità superiore, in cui il braccio e l'avambraccio mancano, ovvero sono affatto rudimentali, mentre è più o meno bene sviluppata la mano, così da avere l'impressìone che la mano sia attaccata direttamente al cingolo scapolare. Nell'emimelia manca, in opposizione alla focomelia, la parte periferica dell'estremità, di fronte alla più o meno perfetta formazione delle porzioni prossimali. L'estremità superiore può essere asportata o resa inservibile da violente cause traumatiche; l'infortunio non è eccezionale per opera delle macchine, nelle grandi industrie meccaniche, o in seguito allo schiacciamento sotto forti pesi. La perdita dell'estremità può avvenire per una grave lesione dei vasi principali, che ne arresta la nutrizione, per cui essa cade in cancrena (scoppio di granata, ferita da arma da fuoco, embolia, aneurismi, ecc.) e diviene necessaria la disarticolazione. L'estremità superiore può divenire un'appendice inutile in seguito alla paralisi totale della sua innervazione periferica (poliomielite anteriore; paralisi del plesso brachiale, ecc.) o a lesioni d'origine centrale (paralisi spastica da polioencefalite; lesioni a focolaio nella zona rolandica, ecc.). La demolizione dell'estremità superiore può essere imposta al chirurgo da tumori maligni. Quest'operazione può limitarsi alla disarticolazione del braccio o estendersi all'intero cingolo scapolare e in tal caso prende il nome d'amputazione interscapolotoracica, intervento molto grave. Ogni qual volta è possibile, è da preferirsi, alla disarticolazione, l'amputazione alta del braccio, che lascia condizioni infinitamente migliori per la prostesi.
Le paralisi totali e le mutilazioni delle due estremità superiori costituiscono una delle più gravi infermità che possano colpire un individuo, in quanto non solo lo privano d'ogni possibilità di lavoro, ma anche della propria autonomia per tutti i bisogni della vita. S'è cercato di mettervi riparo, soprattutto creando dei compensi funzionali, adattando altre membra a funzioni per cui non furono create. Meravigliosi appaiono i risultati in questo indirizzo conseguiti nelle scuole di lavoro per storpî, paralitici e mutilati, quale la scuola Sofia Carmine Speroni, la prima e purtroppo finora l'unica in Italia, fondatasi in Milano, per iniziativa di R. Galeazzi, e annessa all'istituto rachitici di quella città. Ivi una perspicace pedagogia, individualizzata per ogni forma di deficienza fisica, riesce a sollevare moralmente, col lavoro, quest'infelici privi dell'uso delle braccia, creando in essi talune attitudini compensatrici, che parrebbero irrealizzabili, come, per es., in ragazze paralitiche delle due braccia, che, raccolte analfabete, sono riuscite a scrivere servendosi dei piedi o della bocca (fig. 1) e persino a cucire, ricamare, lavorare di pizzo al tombolo, servendosi dei piedi, come delle mani (fig. 2), e come in mutilati d'un'estremità, professionalmente istruiti, mercé ingegnose prostesi di lavoro, i quali possono applicarsi con profitto sufficiente per vivere, al lavoro della tessitura, servendosi, per la legatura dei fili che si spezzano, del serranodo a una mano ideato da A. Lavermicocca (figg. 3-4).
Estremità inferiore. - Benché la forma dell'estremità inferiore sotto molti aspetti, ricordi quella dell'estremità superiore, tuttavia la sua funzione, affatto diversa, è cagione che la struttura di essa presenti notevoli modificazioni, che s'estrinsecano anche nella sua configurazione generale; l'intero arto è più massiccio di quello superiore e il piede s'applica alla gamba ad angolo; tanto la coscia, quanto la gamba, hanno in complesso una forma conica; nella regione del ginocchio la rotula si presenta anteriormente ben evidente, nell'estensione, mentre il polpaccio, rigonfio in alto, va rapidamente restringendosi in basso, dove i due malleoli sono fortemente sporgenti; il piede ha una costruzione a vòlta, molto importante per la sua funzione. In posizione militare, le due estremità debbono toccarsi in quattro punti e cioè nella parte superiore della coscia, nel contorno mediale delle due ginocchia, nel punto di massima sporgenza dei polpacci e infine nei due malleoli mediali. Le estremità inferiori sono organi di sostegno e hanno perciò il compito di sopportare il peso del corpo e debbono pertanto realizzare parecchie condizioni indispensabili: offrire la stessa lunghezza, la stessa resistenza ai due lati; non flettersi sotto il peso; debbono essere rettilinee e composte di segmenti mobili gli uni sugli altri; senza queste condizioni, la stazione eretta è impossibile, ovvero la marcia è difettosa e s'accompagna a claudicazione. L'estremità inferiore è costituita, come quella superiore, di quattro segmenti, l'anca e la coscia, la gamba e il piede. Fra questi diversi segmenti esistono delle articolazioni, che permettono loro di muoversi l'uno sull'altro e costituiscono altrettante regioni intermediarie, e cioè le articolazioni coxofemorale, femorotibiale e tibiotarsica. Contrariamente all'opinione, che tenne il campo per lungo tempo, che cioè l'atteggiamento del corpo fosse quello simmetrico, in cui il corpo posa in egual misura sulle due estremità inferiori, si ritiene oggi, dopo Leonardo da Vinci, che questa posizione simmetrica, per la costante attività muscolare che richiede, divenga subito insopportabile, e che la norma sia pertanto l'appoggio principale su una gamba sola, posizione che si realizza sotto considerevole risparmio d'energia muscolare.
Le due estremità inferiori formano due colonne verticali e parallele congiunte in alto dal bacino, il quale concorre a formare col suolo i due lati minori d'un telaio, che regge la massa del tronco; le due ginocchia non si possono flettere in senso laterale; ma ai quattro angoli di questo telaio esiste una mobilità soverchia e l'equilibrio passivo, possibile solo per una posizione rigorosamente simmetrica, sarebbe perciò così labile, che, dove il valore degli angoli potesse illimitatamente variare, il movimento, al minimo dislocarsi delle masse verso destra o verso sinistra, si continuerebbe con accelerazione costante, finché il corpo non avesse raggiunto il terreno. Ma quello degli angoli superiori, che diventa acuto, quello cioè che giace dalla parte delle estremità, sulla quale viene a portarsi il centro di gravità del corpo, è ben presto arrestato dall'ostacolo che oppongono varî legamenti, la cui tensione aumenta a grado a grado fino a opporre un ostacolo insormontabile, in vicinanza di quella posizione, in cui la linea di gravità attraversa il piede portante (fig. 5). In questo istante la persona non è più alta come prima, non si trova più sui due piedi, ma è passata a quell'attitudine, che è naturale per l'uomo, quella cioè dove il corpo si regge sopra una sola estremità, mentre l'altra è scarica e leggermente flessa.
Non appena la persona viene sorretta da un piede solo, questo, per soddisfare alle necessità dell'equilibrio, è costretto a collocarsi in forte pronazione e la linea di gravità (fig. 5, O1GO2), dopo essere caduta al lato posteriore e mediale dell'anca, passa al lato mediale del ginocchio e incrocia, in x, l'asse dell'arto, venendo a colpire la base plantare dinnanzi al malleolo peroneale. In tale posizione il ginocchio sarebbe spinto a incurvarsi all'infuori, ma lo impediscono i legamenti proprî di questa articolazione; ne segue che tutta l'estremità inferiore portante è mutata in una colonna rigida e il peso della persona è abbandonata unicamente alla tensione dei legamenti e al contatto delle parti scheletriche, mentre l'apparato muscolare è in riposo.
Si crede comunemente che, quando l'uomo cammina, esiste una fase nell'evoluzione del passo, in cui il corpo viene portato contemporaneamente dai due piedi. Orbene questo non è; non esiste un momento, nel quale durante la deambulazione regolare, su suolo orizzontale e piano, il peso del corpo sia, secondo pari ragione, distribuito su entrambe le estremità, giacché, essendo il carattere della deambulazione un movimento di caduta, l'un piede raccoglie sopra di sé la massa del corpo, solo dopo che la linea di gravità è uscita dall'ambito della base che l'altro piede le ha offerto, nella fase precedente, per cui, nella deambulazione regolare, l'uomo va su due gambe, ma sta gopra una sola. È vero che esiste una fase, in cui i due piedi toccano il suolo, quello avanzato col calcagno e quello arretrato con la punta, ma solo l'arto avanzato è quello che regge il peso del tronco, l'altro essendo già scaricato d'ogni peso.
In conseguenza delle più svariate lesioni centrali o periferiche (atassia, paralisi cerebrale spastica, paralisi infantile, paralisi dei nervi periferici, ecc.) si manifestano disturbi più o meno gravi nella funzione del cammino che richiedono spesso, per la loro correzione, l'intervento del chirurgo o dell'ortopedico e talvolta semplicemente la rieducazione del cammino, che rappresenta ora uno dei mezzi più efficaci per correggere i vizî d'andatura, conseguenti alle affezioni articolari, nervose, muscolari, nonché le lesioni traumatiche dell'arto inferiore, ovvero la rigidità da prolungata immobilizzazione degli arti inferiori. Occorre per questo far compiere al paziente alcuni esercizî della funzione del passo, portando la maggior cura affinché tutte le articolazioni e tutti i gruppi muscolari che vi presiedono, riprendano il loro grado funzionale d'azione, dosando la lunghezza del passo, la sua larghezza, l'orientamento delle estremità, ecc. Per questo scopo l'ortopedia ha ideato apparecchi ingegnosi e pratici; ricorderemo fra questi la scala orizzontale graduabile di A. Lavermicocca (fig. 6).
Nelle impotenze del cammino, i pazienti debbono ricorrere a presidî di sostegno per la deambulazione (carrelli, grucce, bastoni, ecc.), e nelle gravi paralisi dell'estremità inferiore si deve far ricorso ai tutori meccanici, di cui l'ortopedia costruisce innumerevoli modelli. I progressi della tecnica degli apparecchi di prostesi che sono stati realizzati negli ultimi anni, anche in Italia, rendono possibile provvedere i disarticolati di tutta l'estremità inferiore di apparecchi che, pur permettendo i movimenti fisiologici nelle varie articolazioni dell'arto artificiale, sono dotati di grande solidità e offrono al mutilato una sufficiente sicurezza. Anche nei casi eccezionali d'amputazione alta o di disarticolazione delle due estremità inferiori, si costruiscono ora apparecchi di prostesi, che permettono al mutilato grave di camminare anche senza l'aiuto del bastone. Come materiale costruttivo delle prostesi dell'arto inferiore è ormai generalmente adottato il legno (salice o tiglio) per il suo minore peso, la grande stabilità, l'inalterabilità per il sudore e la sua lunga durata. In caso di grave impotenza dei due arti inferiori, per paralisi o mutilazione, gl'infermi possono tuttavia in certi casi continuare la loro professione, che richiederebbe l'attiva compartecipazione al lavoro delle due estremità inferiori, grazie a presidî capaci di sostituirne la funzione, come, p. es., la morsa da calzolaio, capace d'assolvere il compito di fissare la scarpa, che l'operaio lavora, in sostituzione degli arti inferiori paralizzati (fig. 7).
Bibl.: L. Vanghetti, Vitalizzazione delle membra artificiali, Milano 1916; A. Lavermicocca, Scala orizzontale graduabile per l'educazione del cammino, in Arch. di ortop., XXXVII; F. Sauerbruch, Die willkürlich bewegbare künstliche Hand, Berlino 1923; A. Lavermicocca, Serranodo ad una mano per i tessili, in Archivio di ortopedia, XL.