ESTIA (‛Εστία; ionico Ιστίη; dorico Ιστία-Fιστία: da riconnettersi probabilmente con la radice ues- "bruciare, risplendere": equivale al latino Vesta [v.] che indubbiamente ne deriva)
Divinità degli antichi Greci: dea del fuoco, così come Efesto e Prometeo, ma simboleggiante, anche essa, un determinato aspetto di questo elemento, prezioso per gli uomini. Come infatti Efesto rappresenta particolarmente il fuoco, che, eruttando fuori dalle viscere della terra, fiammeggia nei vulcani e con la sua forza ardente, dominata dall'intelligenza umana, arroventa e fonde i metalli, facendone docile materia per l'arte dell'uomo; come Prometeo, in origine non molto dissimile da Efesto, rappresenta il fuoco che l'uomo ha imparato a produrre da sé e ad usare; così Estia rappresenta il fuoco sotto l'aspetto di benefico e indispensabile compagno dell'uomo, il fuoco che riscalda e alimenta, che purifica e nobilita, il fuoco che ogni gruppo umano - famiglia o tribù - custodisce gelosamente come centro e condizione stessa della sua vita: il fuoco del focolare, dunque, che fornisce il calore, che cuoce i cibi, che accoglie le offerte e le libagioni versate in onore degli dei. Estia è dunque la dea del focolare; e, come tale, essa trova riscontro, anche se sotto differenti nomi, presso tutti i popoli indoeuropei, presso i quali il sorgere del culto del focolare domestico segnò forse il momento del loro passaggio dalla condizione di pastori nomadi a quella di stabili agricoltori (cfr. l'Agni degl'Indiani). Questo ci spiega perché, pur essendo il culto del focolare comune a tutti gli Arî, non sia invece eguale per tutti il nome e la figura della divinità che del focolare fu simbolo (com'è invece eguale per tutti gli Arî il nome e la figura della divinità della luce, di Zeus); gli è che il culto del focolare domestico, proprio di tutti quei popoli, sorse presso ciascuno di essi in tempi e in luoghi diversi, e diversa fu la figura divina foggiata per personificarlo.
Tale divinità fu dunque per i Greci Estia, ignota ancora ai poemi omerici, che conoscono però la santità del focolare (per es., Odiss., XIV, 159; XVII, 156; XIX, 304); essa comparisce per la prima volta nella Teogonia di Esiodo (v. 454) e negl'Inni Omerici, dove è detta figlia maggiore di Crono e di Rea, e quindi sorella di Zeus e di Era (Pindaro, Nem., XI). Come puro è il fuoco, così Estia era concepita illibata e casta; e il mito narrava che, dopo la vittoria degli dei sui Titani, nella divisione ch'essi si eran fatta del mondo, Estia aveva chiesto per sé eterna verginità, rifiutando le nozze offertele da Posidone e da Apollo; e Zeus aveva acconsentito alla sua richiesta, riconoscendole l'onore di aver sede in tutti i templi degli dei e in tutte le dimore degli uomini, e di aver parte in tutti i sacrifici agli dei, che con una libagione ad Estia dovevano aver principio e fine (Hymn. in Vener., 29). Essa ha sede sull'Olimpo, ove resta immobile sul suo trono, a differenza degli altri dei, che vagano ora qua ora là.
Nel culto, Estia rappresenta anzitutto il focolare domestico, centro della casa, simbolo specialmente del concetto di stabile dimora, luogo ove si raccolgono i membri della famiglia per supplicare gli dei e offrir loro sacrifici, e che gli dei stessi prediligono, quando vogliono esser presenti e benefici nella casa. In ogni casa v'è un'"estia", focolare e centro religioso della famiglia, dove hanno sede gli dei protettori della casa (ἐϕέστιον), dove la famiglia celebra le sue feste e accoglie gli ospiti, gli stranieri e i supplici.
E come la famiglia, così anche la gente e la patria, la tribù e la città-stato (πόλις) hanno il loro focolare; ed Estia è dunque anche la divinia del focolare pubblico (κοινὴ ‛Εστία): il cui fuoco sacro si custodisce gelosamente e si cerca di conservare perenne.
Nelle città greche, la pubblica Estia era collocata nel pritaneo (Pind., Nem., XI), cioè nel palazzo della città, subentrato al posto del palazzo del re e residenza del governo: ivi, all'altare, ardeva il fuoco a lei sacro e si offrivano i sacrifici per conto dello stato. Delle libagioni e delle offerte alla pubblica Estia non venivano incaricati, in genere, determinati sacerdoti, ma n'era lasciata la cura ai più alti magistrati della città o spesso anche ai cittadini o agli ambasciatori di altri stati, ospitati nel pritaneo. Ogni polis ebbe un pritaneo; e così, p. es., l'Attica, che, prima del sinecismo, contava più pritanei e più estie, n'ebbe una sola, dopo raggiunta l'unità politica.
Quando un gruppo di cittadini partiva per fondare una colonia, portava seco una parte del fuoco del patrio pritaneo, per accendere con esso il focolare pubblico della nuova città. Ed anche quando più città greche si univano in lega, si accendeva un'Estia pubblica, che fosse centro politico e religioso della confederazione: così la Lega arcadica ebbe una κοινὴ ἑστία 'Αρχάδων a Tegea (Pausan., VIII, 53, 9), e una Estia della Lega achea si venerava nel tempio federale di Zeus Amario, ad Egio (Polyb. V, 93). Particolare importanza ebbero le estie dei grandi santuarî greci d'importanza nazionale, come quelle di Delo, di Olimpia e di Delfi. Veneratissima e oggetto di particolare culto fu l'Estia di Delfi, dove veniva alimentato un fuoco perenne e che era ritenuta segnare l'umbilico della ecumene; col fuoco di essa si accendevano, in determinate epoche festive, le fiamme di altre are, e ognuno che veniva a Delfi ad interrogare l'oracolo, non mancava di versare prima una libagione all'Estia del santuario.
Semplice fu naturalmente il culto di Estia, così quello privato come quello pubblico: nelle singole case, era il padre o la madre di famiglia che ne aveva cura; nei pritanei, tale cura era affidata agli arconti o ai pritani (o, dove c'erano, ai re), i quali, in alcune città, erano anche assistiti da speciali sacrificatori o sacerdoti (una sacerdotessa di Estia esisteva a Sparta). In tutti i sacrifici, si usava cominciare e finire con una libagione ad Estia; ma in special modo rituale era l'invocazione di Estia o il sacrificio ad Estia al principio di ogni supplicazione o di ogni sacra cerimonia: onde l'adagio ἀϕ' ‛Εστίας ἄρχεσϑαι, corrispondente al privilegio che, secondo il mito, Estia aveva ottenuto da Zeus nella divisione delle attribuzioni e degli onori fra tutti gli dei.
Iconografia. - Estia non fu fatta spesso oggetto di rappresentazioni artistiche; ché la stessa severità e immutabilità della sua concezione e della sua figura e la semplicità della leggenda ad essa relativa troppo scarsa materia offrivano alla fantasia degli artisti. Immagini della dea esisterono tuttavia nei pritanei delle principali città: Pausania ricorda quelle di Atene (I, 18, 3) e di Olimpia (v, 26, 2); una terza, famosa, di Paro, fu da Tiberio fatta trasportare a Roma e collocata nel tempio della Concordia (Cass. Dione, LV, 9). Ordinariamente veniva rappresentata seduta o anche stante, ma ferma, corrispondentemente alla sua natura e al suo costume: cosi l'aveva raffigurata Scopa, in una statua che fu più tardi trasportata, anch'essa, a Roma (Plinio, Nat. Hist. XXXVI, 25). E non mancano rappresentazioni della dea anche in pitture vascolari: in quella scena del vaso François, in cui si spiega il corteggio degli dei alla festa nuziale per il matrimonio di Peleo e Tetide, Estia si vede alla testa del corteggio; in due tazze dipinte, l'una da Sosia, l'altra da Olto, ov'è rappresentato l'ingresso di Eracle e di Dioniso nell'Olimpo, Estia è posta, seduta, fra gli dei, o all'ingresso della sala o nel centro di essa, di fronte a Zeus. Va sotto il nome di Estia una statua ben nota del Museo Torlonia.
Bibl.: F. G. Welcker, Griechische Götterlehre, II, 691; A. Preuner, Hestia-Vesta, Tubinga 1864; Martin, Mémoire sur la signification cosmographique du mythe d'Hestia dans la croyance antique des Grecs, in Mémoires de l'Acad. des inscr. et belles lettr., XXVIII (1874), p. 335 segg.; Frazer, The prytaneum, the temple of Vesta, the Vestals, perpetual fires, in Journ. of Philology, XIV (1885), p. 145 segg.; O. Gruppe, Griech. Myth. u. Religionsgesch., Monaco 1906, II, p. 1401 segg.; A. Preuner, in Roscher, Lex. d. griech. u. röm. Mythol., I, ii, coll. 2605-53; Süss, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, coll. 1257-1304.