ESTETICA RELAZIONALE.
– Concetti e categorie. Tra pratica curatoriale e analisi teorica. Bibliografia
Concetti e categorie – Sintagma generalmente usato per riferirsi alla teoria filosofica che analizza e valuta le opere d’arte in funzione della loro capacità di produrre relazioni umane e attività sociali. Tale teoria è diffusamente conosciuta come il sistema di pensiero alla base dei processi dell’arte relazionale, vale a dire l’insieme delle pratiche artistiche diffusesi durante gli anni Novanta, soprattutto in contesto europeo e nordamericano, il cui obiettivo primario è lo sviluppo del contesto sociale e delle relazioni interpersonali tramite azioni, eventi o installazioni generalmente allocati in luoghi tradizionalmente deputati alle attività espositive. L’eterogeneo gruppo di artisti (mai circoscritti tramite l’adesione a un manifesto o limitati da confini precisi che agiscano in termini prescrittivi sulla definizione di tale movimento) che opera entro tali confini mette, dunque, in secondo piano la vera e propria produzione di immagini e/o oggetti – anche se ciò non viene escluso a priori – a favore della creazioni di luoghi che invitino lo spettatore a fare delle esperienze. Per gli artisti relazionali presentare all’interno di una mostra o di un evento artistico uno o più prodotti oggettuali è, dunque, funzionale alle conseguenze che la loro presenza desta nello spettatore e/o nel contesto: «Il fine non è la convivialità, ma il prodotto di quella convivialità, cioè una forma complessa che unisce una struttura formale, gli oggetti messi a disposizione del visitatore, e l’immagine effimera nata dal comportamento collettivo» (Bourriaud 1998; trad. it. 2010, p. 40).
Le categorie estetica relazionale e arte relazionale vengono usate in modo diffuso soprattutto a partire dalla teorizzazione che ne fece Nicolas Bourriaud. In quegli anni, infatti, il critico francese pubblicò una serie di testi teorici su riviste e cataloghi che accompagnavano esposizioni, che in seguito avrebbe raccolto (affiancandoli a materiale inedito) nel fortunato libro Esthétique relationnelle pubblicato in Francia nel 1998. Tale volume, che nel corso degli anni venne tradotto in numerose lingue, diventò in breve tempo un punto di riferimento ineludibile per la teoria critica recente. Sotto il profilo teorico-filosofico lo scrittore francese rivendica l’appartenenza alla tradizione materialistica francese citando Louis Althusser e lo «stato di incontro imposto agli uomini», ma soprattutto trova negli scritti di Gilles Deleuze e (in particolar modo) Pierre-Félix Guattari, a cui dedica un intero capitolo del libro, la fonte d’ispirazione per i suoi ragionamenti sull’arte e sugli artisti.
Se dal punto di vista normativo il libro di riferimento è Esthétique relationnelle, la prima grande mostra che vide riuniti molti degli artisti che avevano lavorato riferendosi alle procedure lì teorizzate fu Traffic, curata da Bourriaud nel 1996 presso il CAPC Musée d’art contemporain di Bordeaux. In tale esposizione, la prima in cui si fa esplicito riferimento all’arte relazionale, erano stati invitati tra gli altri Henry Bond, Angela Bulloch, Liam Gillick, Douglas Gordon, Gillian Wearing (tutti esponenti dei cosiddetti Young British Artists), gli artisti francesi Dominique Gonzalez-Foerster, Pierre Huyghe, Philippe Parreno, Xavier Veilhan, gli statunitensi Christine Hill, Jason Rhoades, gli italiani Vanessa Beecroft e Maurizio Cattelan, il belga Carsten Höller, il giapponese Noritoshi Hirakawa e il tailandese (nato in Argentina) Rirkrit Tiravanija. Tutti gli artisti citati, per la maggior parte nati negli anni Sessanta, si ritrovano anche nelle pagine di Esthétique relationnelle e possono essere considerati le figure di riferimento di tale movimento. Questo modo di intendere l’arte e i suoi obiettivi non è però prerogativa esclusiva degli artisti invitati dal curatore francese: gran parte delle attività espositive di quegli anni è infatti riconducibile entro tale orizzonte programmatico. Solo per rimanere in Italia, si possono individuare molti artisti della stessa generazione di Cattelan e Beecroft che in quegli anni lavoravano in termini collaborativi o relazionali come, tra gli altri, Cesare Pietroiusti, il gruppo dei Piombinesi (Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica), Tommaso Tozzi, Emilio Fantin o Premiata Ditta (Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini, presenti anche nel testo di Bourriaud).
Bisogna, inoltre, sottolineare che, anche a livello storico, non si può considerare questa propensione degli artisti a concentrarsi su contesto e rapporti una novità degli anni Novanta, e anche Bourriaud, in Esthétique relationnelle, indaga il legame con alcune delle principali esperienze artistiche sviluppatesi nel corso del Novecento.
L’attenzione al contesto e al ruolo dello spettatore, anche in funzione della ricerca di un significato che l’opera può assumere, trova in Marcel Duchamp la figura di riferimento. Si deve, infatti, soprattutto al lavoro dell’artista francese se l’ambiente, l’allestimento delle opere, l’attenzione degli spettatori, il gioco di relazioni che si possono creare attraverso l’accostamento di oggetti, frasi o immagini, le collaborazioni più o meno esplicite tra artisti sono diventati altrettanti motivi di interesse per le ricerche più avanzate dell’arte contemporanea. A ben guardare anche in gran parte delle sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta si possono individuare gli antecedenti diretti delle pratiche che Bourriaud ascrive all’arte relazionale. Gli happenings di Allan Kaprow o le performance dei componenti del gruppo Fluxus, così come le opere installative degli artisti del minimalismo americano e delle coeve sperimentazioni in Europa – il cui intento era sicuramente di dare spazio alla percezione dello spettatore –, sono da ritenersi ulteriori premesse dell’arte relazionale. Bourriaud però, oltre a individuare le radici di tale movimento, sottolinea anche i punti di divergenza tra l’arte relazionale e le precedenti ricerche. Gli artisti relazionali, infatti, sono affrancati dall’ossessione dell’analisi linguistica e metalinguistica, tipica delle avanguardie degli anni Sessanta, e dall’assoluta preminenza dell’aspetto visivo dei media, che erano elementi fondanti dell’arte degli anni Ottanta e appaiono evidenti nei lavori di artisti come Jenny Holzer, Cindy Sherman o Jeff Koons. Alla base del lavoro degli artisti riuniti da Bourriaud, inoltre, non c’è una comunanza di stile, ma piuttosto un orizzonte comune che si può individuare nella sfera dei rapporti umani, elemento che «sta all’arte di oggi come la produzione di massa stava alla pop art e all’arte minimal» (Bourriaud 1998; trad. it. 2010, p. 45). Tale orizzonte, sempre seguendo il suo ragionamento, favorisce scambi orizzontali tra artista e fruitore e tende a far coincidere il piano etico con quello estetico. In altre parole, presentare un momento conviviale, come fa Tiravanija quando condivide le sue zuppe con gli spettatori, rientra nella sfera estetica a patto, però, che la nostra attenzione si sposti dall’oggetto artistico tradizionalmente inteso al meccanismo di socialità e di scambio proposto dall’artista.
L’arte relazionale, dunque, nell’analisi che ne fa Bourriaud, si è svincolata sia dagli aspetti esclusivamente per-formativi o di assoluta egemonia del momento progettuale a scapito dell’oggetto, tipica degli anni Sessanta, sia dall’esaltazione delle immagini caratteristica degli anni Ottanta, a favore di momenti di partecipazione sociale (anche suscitati da oggetti che diventano catalizzatori di tali processi), di dialogo con discipline esterne al mondo dell’arte, di attenzione ai processi temporali di trasformazione. Tutti elementi che il critico francese considera capaci di provocare ricadute in termini politici: «L’arte contemporanea sviluppa apertamente un progetto politico quando si sforza di investire la sfera relazionare problematizzandola» (Bourriaud 1998; trad. it. 2010, p. 16).
Tra pratica curatoriale e analisi teorica. – Il merito del lavoro di Bourriaud consiste sicuramente nell’aver analizzato e cercato di sistematizzare teoricamente in modo, almeno parzialmente, organico una serie di pratiche artistiche molto diffuse e apprezzate, anche a livello museale, negli ultimi anni del 20° sec. e nel decennio di apertura del 21°. E la fortuna del termine nasce anche dal ruolo ricoperto dal critico francese come curatore di mostre e da quella prossimità con gli artisti che gli ha permesso di non scindere mai l’attività critica da quella curatoriale. Negli anni Novanta Bourriaud ha, infatti, ideato e realizzato numerose mostre tra le più significative e rappresentative del decennio che lo hanno portato anche ad assumere la carica di direttore (assieme a Jérôme Sans) del nuovo centro d’arte contemporanea al Palais de Tokyo di Parigi, sito dedicato alla creazione contemporanea (questo era il titolo voluto dalla direzione) che, soprattutto nei suoi primissimi anni di attività, ha rivestito un ruolo di primo piano nel dibattito artistico internazionale per le innovative modalità espositive che ne facevano un luogo espressamente dedicato all’incontro e alla possibilità di creare relazioni.
Il concetto di e. r., e più in generale il lavoro di Bourriaud, possono essere considerati anche esempio di uno sforzo per tenere uniti il campo della critica e della teoria estetica con quello più propriamente curatoriale, aspetto che, a partire dagli anni Ottanta, è diventato prioritario nelle mostre di tutto il mondo. La figura del curatore, proprio in questi anni, infatti, ha assunto una centralità sempre maggiore tanto che spesso, soprattutto nel caso di esposizione temporanee collettive, è diventata importante quanto quella dell’artista. Paradossalmente la primazia di tale ruolo rende meno significativi gli aspetti critici e teorici in favore di una spettacolarizzazione della mostra stessa, delle ‘novità’ introdotte dalla proposta curatoriale e dalla rete di rapporti intessuta con musei e gallerie private. Vista in relazione con le scelte coeve, la proposta di Bourriaud è risultata sicuramente molto più approfondita, ragionata e criticamente convincente rispetto alla maggior parte dei progetti portati a termine dai suoi colleghi attivi sul fronte curatoriale che, pur proponendo molti degli artisti ascrivibili all’arte relazionale, non sono stati sempre in grado di fornire una lettura complessiva del fenomeno.
L’arte relazionale è stata anche soggetta ad aspre critiche, spesso ampiamente motivate, che hanno aperto un lungo dibattito non ancora conclusosi. Sulle pagine della rivista «Third text» (2004) è stato infatti imputato a Bourriaud di aver condotto una lettura superficiale delle ricadute politiche di un movimento che in realtà non fa altro che perpetuare le nuove strategie dell’economia globale. Altrettanto dura è stata la critica mossagli da Claire Bishop (2004) sulle pagine della rivista «October» che non sembra riconoscere una specificità e una profondità all’arte relazionale così come viene proposta da Bourriaud, tanto da affermare che, dal punto di vista teorico, le tesi del curatore francese non differiscono in modo sostanziale da quelle esposte da Umberto Eco nel 1962 in Opera aperta. Inoltre, secondo la studiosa, le pratiche artistiche relazionali non si distanziano da un solco già tracciato in passato (Fluxus e Joseph Beuys) e allo stesso tempo non hanno la coscienza politica di altre coeve operazioni artistiche realmente improntate alla creazione delle premesse necessarie per concrete trasformazioni sociali (la Bishop porta come esempi Santiago Sierra e Thomas Hirschhorn).
Bourriaud ha in seguito proseguito nella sua ricerca teorica approfondendo l’analisi delle pratiche artistiche recenti sotto altre prospettive, usando, per es., il concetto di Postproduction (2002; v. postproduzione), e la struttura di Radicant (2009), da lui considerati paradigmi in grado di favorire una lettura complessiva della produzione artistica recente.
Nel 2002 il critico francese ha curato una mostra al San Francisco Art Institute dal titolo Touch. Relational art from the 1990s to now, sempre incentrata sulle pratiche relazionali in cui ha presentato i lavori di Bulloch, Gillick, Felix Gonzalez-Torres, Jens Haaning, Parreno, Wearing e Andrea Zittel. Anche la mostra theanyspacewhatever, curata da Nancy Spector al Solomon R. Guggenheim Museum di New York (2008-09), si può considerare un’ulteriore ratifica dell’importanza dell’estetica relazionale. L’esposizione ha visto, infatti, la partecipazione dei dieci artisti più famosi tra quelli promossi da Bourriaud (di cui è presente un testo in catalogo) attraverso libri ed esposizioni: Bulloch, Cattelan, Gillick, Gonzalez-Foerster, Gordon, Höller, Huyghe, Jorge Pardo, Parreno e Tiravanija.
Bibliografia: N. Bourriaud, Esthétique relationnelle, Dijon 1998 (trad. it. Milano 2010); N. Bourriaud, Postprodution. La culture comme scénario: comment l’art reprogramme le monde contemporain, Dijon 2002 (trad. it. Milano 2004); Touch. Relational art from the 1990s to now, ed. N. Bourriaud, catalogo della mostra, San Francisco Art Institute, San Francisco 2002; C. Bishop, Antagonism and relational aesthetics, «October», Fall 2004, 110, pp. 51-79; «Third text», 2004, 18, 6, n. monografico: Art, praxis, and the community to come, ed. J. Roberts, S. Wright; A. Downey, Towards a politics of (relational) aesthetics, «Third text», 2007, 21, 3, pp. 267-75; Theanyspacewhatever, ed. di N. Spector, New York, Solomon R. Guggenheim Museum 2008-09, New York-London 2008; N. Bourriaud, Radicant. Pour une esthétique de la globalisation, Paris 2009 (trad. it. Milano 2014); R. Pinto, Il dibattito sull’arte degli anni Novanta, postfazione a N. Bourriaud, Estetica relazionale, Milano 2010, pp. 107-25; C. Bishop, Artificial hells. Participatory art and the politics of spectatorship, New York-London 2012.