esternalita
esternalità L’insieme degli effetti esterni (detti anche economie o diseconomie esterne) che l’attività di un’unità economica (individuo, impresa, pubblica amministrazione) esercita, al di fuori delle transazioni di mercato, sulla produzione o sul benessere di altre unità. Quando l’azione dell’agente economico determina benefici per altri, senza che il primo ne riceva un compenso, si parla di e. positive per questi altri soggetti o per l’economia nel suo complesso; per es. il beneficio che un apicoltore ricava dalla presenza di frutteti adiacenti e non di sua proprietà. Quando invece l’azione intrapresa dall’agente economico provoca costi per altri, costi che esso non sostiene, si parla di e. negative (diseconomie esterne); per es. il fumo emesso dalla ciminiera di una fabbrica. Le e. possono essere prodotte o subite da imprese (produttori) o da individui (consumatori). Come conseguenza di e. negative, l’attività privata (produzione/consumo) cui è associata la diseconomia esterna è spinta a un livello superiore a quello socialmente efficiente (eccesso di produzione/consumo); in presenza di e. positive, invece, l’attività produttiva è spinta a un livello inferiore (deficit di produzione/consumo). La presenza di e. determina pertanto una divergenza fra aspetto privato e aspetto sociale dei costi e dei benefici, fenomeno che è causa del ‘fallimento del mercato’, rendendo così impossibile a un sistema di concorrenza perfetta di determinare spontaneamente la migliore allocazione delle risorse produttive e il massimo benessere degli agenti economici. Per es., una fabbrica di prodotti chimici che con i suoi residui inquina l’aria e le acque di un fiume non considera tali danni tra i suoi costi, ma questi certamente rappresentano costi per la collettività. In questo caso quindi i costi sociali sono maggiori di quelli privati. Così, all’opposto, la costruzione di una ferrovia in un paese sottosviluppato, che colleghi la costa all’interno, dà un vantaggio scarso all’impresa che l’ha costruita, ma realizza un beneficio elevato per la collettività, incentivando la nascita di nuove imprese nelle zone interne.
Il problema delle e., le cui prime intuizioni si devono al filosofo inglese H. Sidgwick (➔), è stato trattato da numerosi economisti, da A. Marshall (➔) a A.C. Pigou (➔), ma soltanto più recentemente lo statunitense K.J. Arrow (➔) ne ha analizzato rigorosamente le implicazioni teoriche. Esse si sostanziano nell’affermazione che le e. sono riconducibili alla presenza di forme di mercato non perfettamente concorrenziali, all’interno delle quali, secondo i presupposti di base dell’economia del benessere, non è possibile realizzare un’allocazione ottima delle risorse di tipo paretiano (➔ benessere, teoremi dell’economia del). La scienza economica ha individuato alcune strade affinché, in presenza di e., queste proprietà possano essere recuperate. Già Pigou aveva sottolineato il ruolo dello Stato nel dirimere la problematica, tassando le produzioni che creano effetti negativi o sussidiando quelle che ne generano di positivi, in modo da eguagliare il costo marginale sociale al beneficio marginale sociale, ma è con il contributo dell’economista americano R.H. Coase (➔) che il problema viene riportato nel suo alveo naturale, il mercato. Secondo Coase, infatti, le e. devono essere risolte mediante accordi tra le parti in conflitto (per es., un’impresa inquinante e i cittadini danneggiati). Questa transazione libera tra le parti ha come oggetto un ‘equo’ risarcimento. Spesso comunque gli accordi incontrano due difficoltà: l’elevato numero di soggetti implicati nella transazione e la determinazione di che cosa si intende per ‘equo’ risarcimento. Come nell’esempio della fabbrica inquinante, risulta difficile identificare con precisione i danneggiati e comunque intraprendere azioni di risarcimento mirate caso per caso. Inoltre, in presenza di danni fisici invalidanti o di morte, stabilire un ‘prezzo’ di mercato da utilizzare come risarcimento appare, oltreché non etico, assolutamente arbitrario.