PIRAMI, Ester
PIRAMI, Ester. – Nacque a Urbino l’8 dicembre 1890, figlia di Alberto, professore del ginnasio, originario di Pescia, e di Virginia Amadei. Primogenita di quattro sorelle (nacquero poi Raffaella, Edmea e Lea Maria), seguì con la famiglia i numerosi trasferimenti lavorativi del padre: lasciata Urbino, visse a Prato, ad Ascoli Piceno, a Livorno e infine, dal novembre 1906, a Bologna.
Dopo aver brillantemente frequentato il liceo Galvani, nel 1908 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università felsinea, dove ebbe modo di seguire il corso di clinica medica del celebre Augusto Murri. Fin dall’adolescenza fu viva e costante in lei la passione per le lettere e in particolare, durante gli studi universitari, per la poesia. Fra il 1910 e il 1914 pubblicò due racconti e dodici poesie sul giornale locale di Pescia, La Lanterna (Giurlani, 2003, p. 94n). Nel 1914 si laureò con il massimo dei voti presentando una tesi su La motilità e i riflessi nel primo anno di vita sotto la guida di Giovanni Berti. Questi era direttore della nascente clinica pediatrica universitaria, impegnato a proseguire i lavori di riorganizzazione e ampliamento dell’istituto avviati nel 1903 da Carlo Comba.
Forte di una laurea ottenuta con il massimo dei voti in un prestigioso ateneo, autrice di un resoconto sull’ernia inguinale (1914a) e di un contributo sui tumori del rene (1914b). il 17 novembre dello stesso anno fu nominata assistente medico-chirurgo presso l’ospedale Ss. Cosma e Damiano di Pescia – che aveva già cominciato a frequentare nelle estati precedenti durante gli studi universitari –, dove poté affiancare Aurelio Cordero, primario e libero docente di clinica chirurgica. Nel gennaio 1915 tornò brevemente a Bologna, dove ricevette dalla facoltà di medicina e chirurgia una menzione onorevole per la sua tesi di laurea nell’ambito del premio Vittorio Emanuele II e fu insignita del premio Concato come migliore studentessa negli esami speciali delle cliniche mediche.
Il lavoro di assistente in un piccolo ospedale di provincia, all’interno del quale i pochi medici dovevano essere in grado di prestare ogni genere di cure, venne ulteriormente gravato dalla carenza di personale sanitario dovuta allo scoppio del conflitto. L’attività fu in quegli anni frenetica: oltre a occuparsi delle analisi in laboratorio Ester Pirami fu incaricata di curare i sempre più numerosi soldati feriti che giungevano all’ospedale, divenuto nel frattempo un presidio sanitario dell’esercito. La sua preparazione e il costante impegno vennero più volte menzionati dalla stampa locale: «I soldati feriti qui ricoverati, ormai si riducono a ben pochi. Se ne sono ritornati tutti, in brevissimo tempo, alle famiglie, grazie alle cure sapienti dell’illustre Prof. Cordero, ed alla valida cooperazione della sua Assistente Dottoressa Ester Pirami» (La Lanterna, n. 22, 27 settembre 1915, p. 3).
Nonostante l’ingente mole di lavoro, non abbandonò la passione per la letteratura e anzi maturò un profondo interesse per il teatro. Si dedicò sempre di più alla prosa e quando, grazie al padre, ebbe modo di conoscere personalmente lo scrittore e politico Ferdinando Martini, decise di scrivere un romanzo. Nel 1916 iniziò così la stesura de L’estrema offerta, che vide le stampe otto anni più tardi. Il libro, incentrato sulle tragiche vicende amorose e sociali di due giovani spoletini, rivelava secondo Martini «felici attitudini all’osservare e al districare i grovigli di complesse psicologie» poiché l’autrice sapeva «narrare con speditezza e con brio, dar parole di verità alla passione e alla malizia sorrisi» (Martini, 1924, in Longhena D’Ajutolo, 1968, p. 12). Dalle pieghe dell’intreccio emergeva una profonda sensibilità per i valori cari anche alla sorella minore Edmea, pediatra animata da tenace senso etico e civile: l’attenzione per l’universo femminile e l’impegno fermo ma non ostentato in favore dell’emancipazione delle donne attraverso l’istruzione superiore e il lavoro. Nel 1923 Ester Pirami scrisse un secondo libro, assai diverso per tematiche e impostazione: Fiordineve. Romanzo fantastico per ragazzi.
Nel 1924 decise di tornare a Bologna, dove l’anno seguente si iscrisse alla Scuola di perfezionamento in patologia coloniale, primo insegnamento ufficiale della disciplina in Italia, diretta dal professore di patologia tropicale Giuseppe Franchini. Nel 1926 ottenne, con il massimo dei voti, il diploma di specializzazione, presentando una tesi Sulla cistite amebica, nella quale, per facilitare e quindi velocizzare l’individuazione e il trattamento dell’agente patogeno, analizzò quelle sindromi complesse non solo cerebrali, polmonari, bronchiali, articolari ma anche renali e perfino vescicali provocate dall’Entamoeba histoliytica. Subito dopo partì per l’Eritrea, dove per tre anni prestò servizio come primario del laboratorio dell’ospedale Regina Elena di Asmara, svolgendo analisi e ricerche di stampo sierologico, batteriologico, bromatologico e chimico-biologico. Oltre che per le indubbie doti professionali, si distinse per la dedizione e l’affetto che seppe dimostrare nei confronti sia dei connazionali sia della popolazione locale. Proprio nei laboratori dell’ospedale contrasse una forma di tifo estremamente aggressiva, che ne mise a rischio la vita.
Curata in loco, rientrò a Bologna per ristabilirsi completamente: continuò a studiare e nel 1931 pubblicò un ampio studio sul rachitismo, ma nei mesi successivi si dedicò sempre di più alla psicologia e alla psichiatria. Nel 1932 vinse infatti un concorso per assumere il primariato della sezione femminile dell’ospedale psichiatrico di Pesaro, diretto da Ferdinando Ugolotti. Si trasferì così nelle Marche, ove intraprese anche l’attività privata in qualità di analista. Nel 1933 pubblicò sulla rivista dell’ospedale, Note e riviste di psichiatria, uno studio sulla terapia alcalinizzante nella pratica manicomiale, poi ripubblicato nel 1934, in cui analizzò gli effetti provocati da iniezioni intramuscolari di citrato di sodio e di potassio in pazienti epilettici o depressi. Negli anni successivi fu incaricata di dirigere anche la sezione distaccata dell’ospedale a Bagno di Romagna.
Durante la seconda guerra mondiale, quando il fronte si avvicinò all’istituto, riparò fortunosamente a Bologna, vicino ai familiari e agli amici più cari. Al termine del conflitto tornò a Pesaro, dove proseguì esclusivamente l’attività privata senza più riprendere quella ospedaliera. Negli anni seguenti fece numerosi viaggi: si recò infatti in Terrasanta, in Asia, nelle Filippine, in Giappone, in Africa e al Polo Nord (Longhena D’Ajutolo, 1968, p. 7).
Profondamente legata alla cittadina del padre e all’istituto presso cui aveva a lungo prestato servizio, alla sua morte, avvenuta a Pesaro il 19 settembre 1967, lasciò in eredità all’ospedale di Pescia un piccolo oliveto che aveva acquistato in Toscana anni prima.
Opere. L’ernia inguinale degli annessi, Milano 1914a; Contributo allo studio dei tumori primitivi del rene, Milano 1914b; Fiordineve. Romanzo fantastico per ragazzi, Firenze 1923; L’estrema offerta, Milano 1924; Il citrato di sodio e di potassio nel rachitismo, Modena 1931; La terapia alcalinizzante nella pratica manicomiale, Frosinone 1934.
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio privato E. P.; Archivio storico dell’Università di Bologna, fasc. personali 5581 e 800; Archivio dell’Ordine dei medici-chirurghi della provincia di Bologna, fasc. personale.
L. Longhena D’Ajutolo, Ricordo di E. P., Bologna 1968; F. Giurlani, Scrivere per il pubblico: l’esperienza di E. P. (1890-1967), in G. Giampieri - I. Pera - F. Giurlani, Donne di penna: tre figure di donne nel rapporto con la scrittura, Bologna 2003, pp. 91-109.