VILLEGAS, Esteban Manuel de
Poeta spagnolo, nato nel villaggio di Matute presso Nájera nella Rioja nel 1589 di nobile famiglia della Navarra; morto a Nájera nel 1669. Dopo avere studiato leggi a Salamanca, tornato a Nájera, fu assorbito dalla meditazione dei classici, specialmente latini, e compose odi anacreontiche in bei versi settenarî e "cantilenas", che pubblicò nel 1617-18 col titolo di Eróticas ó Amatorias, in due parti, di cui la seconda comprende, oltre a poesie originali nella forma del sonetto, traduzioni molto libere da Orazio, di elegie e idillî da altri classici e Las latinas, cioè un'egloga, due saffiche e alcuni distici.
Inclinato alla poesia, non fu però un poeta di vena; elegante, studiosissimo della forma, è involuto e artificioso talvolta, indulgendo al gusto del tempo, come nell'ode di stile culterano a Filippo III, propenso sempre a una bizzarria giovanile, alla ricerca della novità affettata. Le anacreontiche agili e graziose che mise in gran voga, durata sin presso alla fine del sec. XVIII, sono il meglio della sua produzione poetica. Portato dalla sua cultura umanistica, tentò d'introdurre nella metrica castigliana la metrica classica quantitativa: sterili tentativi che dovevano essere ripresi modernamente, con uguale scarso successo, da Rubén Dario e Guillermo Valencia. Cosicché non per la quantità, ma per il sistema accentuativo e l'accorta unione di versi spagnoli della tradizione, l'ode "Dulce vecino de la verde selva" sa riprodurre felicemente il ritmo della saffica classica. Sicura prova della vasta cultura umanistica del V., a quanto si attesta da scrittori del tempo, sarebbero stati i due volumi perduti di Disertaciones críticas su testi di molti poeti e prosatori latini anche della decadenza. Scrisse anche un Antiteatro ó Discurso contra las comedias, e in più tarda età la traduzione del celebre trattato di Alberto de Aguayo domenicano. Avrebbe il V. chiuso la sua lunga vita senza forti scosse, per quanto spesso alle prese col disagio economico, se, ormai vecchio, non fosse incappato in un processo intentatogli dall'Inquisizione, per poca ortodossia nella questione del libero arbitrio e per le sue satire mordaci contro ordini religiosi (1659). Gli furono confiscati libri e specialmente manoscritti, che perciò forse andarono perduti in buona parte. Ammonito e condannato a quattro anni d'esilio, andò a vivere a Santa Maria de Ribarredonda, ma dopo poco più d'un anno, grazie a un indulto, poté tornare a Nájera.
Ediz. e bibl.: Poesías, in Bibl. de Aut. Esp., XLII, a cura di A. de Castro; Eróticas ó Amatorias, in Clásicos castell., Madrid 1913; M. Menéndez y Pelayo, Hist. de los heterodoxos esp., III, Madrid 1889, pp. 859-875.