Este
Celebre casata italiana, che, già in vista e potente fra il sec. XIII e il XIV in quanto signora di Ferrara, Modena e Reggio, toccherà i fastigi della sua gloria maggiore nei due secoli successivi, quando Ferrara e la sua corte diverranno uno dei più prestigiosi centri d'irradiazione della civiltà letteraria e artistica del Rinascimento. È merito precipuo del Muratori l'avere esaurientemente risolto il problema inerente alle antichissime origini degli E., il cui capostipite deve essere considerato, Alberto Azzo II (962-1097), se non altro perché con lui e dopo di lui è costantemente usato a designare , la casata il castello del territorio padovano in cui i suoi membri abitualmente risiedevano .e che era il centro dei loro possessi.
È possibile identificare con certezza l'ascendenza del primo E. che, attraverso il padre Alberto Azzo I e l'avo Oberto II, si ricollega al longobardo marchese Oberto, il quale, figlio di Adalberto marchese e conte palatino di Ottone I, diede origine alla famosa stirpe degli Obertenghi. Alberto Azzo II ebbe (oltre al primogenito Guelfo che, adottato dallo zio materno Guelfo III duca di Carinzia e marchese di Verona, divenne in seguito duca di Baviera e capo della casa guelfa), da seconde nozze, Folco (m. nel 1128), che fu il continuatore del ramo italiano degli Obertenghi e padre di quell'Opizzo I cui Federico I Barbarossa affidò l'esercizio del giudizio d'appello nella marca di Verona. Successe a Opizzo, nel 1193, il nipote Azzo VI (figlio di Azzo V e di Marchesella Adelardi), che per primo s'intromise nelle vicende interne di Ferrara raccogliendo l'eredità della famiglia materna, divenendo per conseguenza capo della fazione contrapposta a quella dei potenti Torelli. Questi a lungo si opposero alla crescente autorità estense, sì che se Azzo VI fu potente e temuto, la sua signoria conobbe notevoli limitazioni (e forse falso è l'atto del 1208 riguardante la sua nomina a signore). Accrebbero certo il prestigio suo e della sua casata l'ufficio di podestà, tenuto a Verona e a Mantova, la sua alleanza con i San Bonifacio e i Camposampiero di Padova contro Ezzelino II da Romano (imparentato con i Torelli), la sua fedeltà a Federico II e inoltre l'investitura della Marca d'Ancona ricevuta da papa Innocenzo III. Morto nel 1212, gli successe per poco tempo il figlio Aldobrandino e quindi l'altro figlio Azzo VII Novello il quale, dopo un'eclisse delle fortune della famiglia, che era costata la perdita di Este, passato ai Padovani, e il sopravvento di Salinguerra II Torelli, fu eletto podestà di Ferrara (cacciati i Torelli nel 1240 con l'aiuto dei guelfi della Marca), divenendone di fatto signore. Con Azzo VII che, a differenza del padre, rompe con Federico II, la politica della casa si orienta decisamente verso il guelfismo, il che consente al nipote e successore Opizzo (Obizzo) II, figlio naturale di Rinaldo d'E., legittimato dall'avo, d'insignorirsi di Modena e di Reggio e di diventare signore perpetuo di Ferrara a titolo ufficiale. Morto Opizzo nel 1293 in circostanze oscure, gli successe Azzo VIII che, nel tentativo di potenziare la politica paterna, finì col correre il rischio di compromettere le fortune della casa: Modena e Reggio, difatti, gli si ribellarono e il suo tentativo d'insignorirsi di Parma e di Bologna provocò il formarsi di un'alleanza antiestense. Sì che alla morte di lui (1308) si determinò una situazione confusa e pericolosa, motivata altresì da rivalità fra il figlio naturale Fresco e i fratelli di Azzo. Gli E. persero persino la signoria di Ferrara a vantaggio del papa, alto signore della città, e degli Angioini. Solo a seguito di altri avvenimenti (fra i quali la cacciata degli Angioini nel 1317) gli E., che avevano per forza di cose assunto un atteggiamento filoghibellino, poterono essere richiamati. Un ritorno, almeno parziale, sulle posizioni perdute si avrà nel 1332, con la concessione alla famiglia, da parte del papa, del vicariato di Ferrara, e successivamente col recupero di Modena (1336). Complesse sono le vicende successive, che alla lunga condussero gli E., soprattutto per merito di Niccolò III (1393-1441), alla potenza e al prestigio di cui godettero nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento.
La spregiudicatezza, la crudeltà, l'opportunismo dei signori Estensi più vicini ai tempi di D., o a lui contemporanei, spiegano ‛ ad abundantiam ' l'atteggiamento del poeta nei loro confronti, costantemente severo, che si riflette presumibilmente persino nel silenzio di cui fa oggetto Ferrara e nella forse volontaria esclusione di quella città dagl'itinerari dei suoi viaggi (persino dell'ultimo, allorché, di ritorno da Venezia, preferì attraversare, stanco e malato com'era, la laguna di Comacchio per riguadagnare Ravenna). Ma l'atteggiamento di D. dovrà probabilmente essere considerato indipendente dalla conoscenza che potrebbe aver avuto di una sua reale o presunta consanguineità coi da Fontana (o della Fontana o Fontanesi) da Ferrara, che dagli E. furono particolarmente osteggiati. Uno dei Fontana, infatti, Aldighiero, che pure aveva favorito in maniera determinante la successione di Opizzo II all'avo Azzo VII, fu da questi fatto avvelenare; un altro, Niccolò, fu tradito dalla moglie Ghisolabella Caccianemico, che il fratello Venedico prostituì ad Azzo VIII (If XVIII 52-57); e infine Antoniolo, Lancillotto e Claruccio, tutt'e tre fuorusciti, furono fatti prigionieri in Feltre nel 1314 dal vescovo Alessandro Novello (Pd IX 52-54), consegnati al vicario angioino in Ferrara Pino della Tosa e, pare per colpa degli E., decapitati come ribelli (alla responsabilità dei signori D. poté credere, pur se certe testimonianze accreditino la loro sostanziale estraneità al fatto). Poté semmai stimolare il biasimo del poeta nei confronti degli E. il loro notorio guelfismo (che non impedì d'altronde ad Azzo VIII di farsi insidiatore della libertà della guelfa Bologna), o meglio le modalità di una politica il cui orientamento guelfo fu condizionato da una concezione utilitaristica e particolaristica. Per esempio l'interessato aiuto dato da Opizzo II a Carlo d'Angiò, che dové essere considerato da D. alla stregua di un ulteriore contributo all'esiziale snaturamento della missione della Chiesa nel mondo, rivolto com'era a rafforzare con la potenza angioina l'indebito esercizio da parte del papato di una potestà temporale che non poteva né doveva competergli; cui s'aggiungeva, ma certo in subordine, la considerazione delle sventure personali sue, direttamente connesse col trionfo di una tesi politica da D. considerata intrinsecamente erronea e degna di perentoria condanna. Il che non gli consentiva certo l'apprezzamento dell'abilità politica dei signori E., sotto il rispetto storico indubbia, la quale oltre tutto resta tassativamente estranea alla concezione trascendentale che egli ha della storia e del mondo.
Bibl. - L.A. Muratori, Delle Antichità Estensi, Modena 1717-1740; G.B. Pigna, Historia dei Principi d'E., I, Ferrara 1570, 229; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, ibid 1847-1848; G. de Leva, Sugli E. ricordati dall'Alighieri, in D. e Padova, studi storico critici, Padova 1865, 235-251; I. del Lungo, D. e gli E., in D. nei tempi di D., Bologna 1888, 373-434; T. Sandonnini, D. e gli E., Modena 1893; C. Antolini, Il dominio estense in Ferrara. L'acquisto, Ferrara 1896; L. Simeoni, Ricerche sulle origini del primo dominio estense a Modena, Modena 1919; C. v. Chledowski, Der Hof von Ferrara, trad. dal polacco di R. Schapire, Monaco 1921.