Essere e tempo (Sein und Zeit)
(Sein und Zeit) Opera di M. Heidegger, pubblicata nel 1927. La riflessione sull’ontologia e sul «problema del senso dell’essere» è condotta a partire dall’uomo, «ente» il cui «modo di essere» è «l’esser-ci» (Da-sein), ossia la cui «peculiarità ontica […] sta nel suo esser-ontologico» (I, 4). L’uomo interrogando sé stesso interroga l’«essere», progettandone e stabilendone il senso, che si manifesta nell’esistenza: «L’essenza dell’esserci consiste nella sua esistenza» (I, 9). Tale approccio avvia un’«analitica dell’esserci» distinta dall’antropologia, dalla psicologia e dalla biologia, in quanto autenticamente filosofica e tesa a stabilire un’«ontologia fondamentale». Rispetto ai «modi di essere», l’esserci si determina come «essere-nel-mondo» (In-der Welt-sein); ciò apre le questioni relative al mondo («mondo-ambiente», in senso non biologico, ma come insieme dei contesti pragmatici), all’ente ( inteso non come un «che cosa?», ma come un «chi?»), all’«in-essere» o «inessenza», che è un «esser-presente in una cosa presente», un «essere situato» in senso non spaziale ma esistenziale. L’aprirsi dell’esserci si esplica nel «prendersi cura» (Besorgen) di un «chi» esistente entro un mondo inteso non come insieme o somma delle cose che vi sono presenti, ma come «ciò con cui si ha a che fare», ciò che ha «significatività». Mediante l’analisi della filosofia di Descartes, Heidegger si sofferma sui presupposti ontologici «surrettizi» dell’«interpretazione del mondo» e poi sulla «spazialità dell’esserci». La costituzione esistenziale dell’esserci, la sua «apertura al mondo», assume i modi della «situazione emotiva» (29), della «comprensione» (31) e dell’«interpretazione» (32), da cui sorge il «prendersi cura delle cose». La questione dell’«esserci» è assunta nella sua intrinseca «temporalità» (45); le possibilità dell’esistenza si manifestano «nel tempo», e nell’orizzonte temporale è centrale il tema della morte (46). Il senso dell’«angoscia» (Angst) e il «precorrimento» della morte sono parte dell’esserci: «la morte come fine dell’esserci, è nell’essere di questo ente, in quanto esso è-per-la-fine» (52). Fra le «possibilità» dell’esistenza è la consapevolezza della morte, autenticamente ineludibile e propria, che permette di aprirsi alla «chiamata della cura» e di attingere il «poter-essere autentico attestato dalla coscienza». In tale prospettiva le possibilità dell’esserci si inscrivono progettualmente non più nell’«oggi», ma nell’orizzonte della temporalità e nella «storia», che conferisce senso all’essere.