ESSENI
. Comunità religiosa giudaica, negli ultimi secoli avanti l'era cristiana e nel primo secolo dopo. La prima notizia che ne abbiamo risale all'incirca all'anno 150 a. C.; con la distruzione dello stato giudaico (70 d. C.), o poco dopo, essa sembra essersi dissolta. Era rappresentata, a quanto pare, solo in Palestina. I suoi membri abitavano prevalentemente nei villaggi, ma non ne mancavano nemmeno nelle città; una delle loro sedi principali era l'oasi di Engaddi (‛Ēn-gĕdī) sul Mar Morto. Giuseppe Flavio li presenta come una delle sette o dei partiti del giudaismo, a fianco dei Farisei e dei Sadducei; ma in realtà essi costituivano piuttosto una specie di ordine monastico. Non contraevano matrimonio, e la loro comunità si perpetuava mediante l'aggregazione di nuovi membri; non è possibile appurare se corrisponda a verità la notizia dataci da Giuseppe Flavio, di una minoranza essena che ammetteva sotto speciali condizioni il matrimonio. In genere quel che ci raccontano intorno agli Esseni Filone e Giuseppe Flavio (v. appresso l'indicazione delle fonti) va esaminato con molta prudenza, perché l'uno e l'altro sembrano colorire la loro esposizione secondo le proprie concezioni, e dipendere assai più da fonti letterarie che da conoscenza personale di uomini e di cose. Giuseppe Flavio sembra dipendere prevalentemente da Filone, e questi a sua volta da etnografi abituati a ripetere spesso schemi e motivi. Il quadro dell'organizzazione e della vita degli Esseni sarebbe, secondo le notizie di Filone e di Giuseppe Flavio, in brevi linee il seguente.
Gli aspiranti all'ammissione nell'ordine dovevano sottoporsi a un periodo di noviziato della durata di un anno; poi compivano un bagno rituale, a cui seguiva un secondo noviziato di due anni, dopo il quale erano finalmente ammessi nell'ordine, previo un solenne giuramento. Di regola si ammettevano solo gli uomini adulti; talvolta si accoglievano fanciulli per educarli nel sistema essenico. Chi entrava a far parte dell'ordine doveva far dono di tutto il suo alla comunità, poiché base fondamentale dell'organizzazione essenica era la comunione dei beni. Appositi amministratori della proprietà comune erano eletti dalla comunità, e nelle loro mani erano versati tutti i redditi dei singoli e consegnati i prodotti del loro lavoro. Con ciò essi provvedevano alle spese per i pasti comuni, per gli abiti pure comuni e per tutte le altre occorrenze della collettività. I vecchi e gli ammalati erano mantenuti dalla cassa comune; e da essa ciascuno dei membri dell'ordine poteva a suo piacimento sussidiare i poveri, solo richiedendo l'approvazione degli amministratori nel caso che i sussidiati fossero suoi parenti. In viaggio gli Esseni erano dovunque ospitati dai confratelli. L'occupazione dei membri della comunità consisteva prevalentemente nel lavoro dei campi, ma non mancava neppure chi esercitasse mestieri manuali. Il commercio era rigorosamente evitato, come quello che induceva all'avidità del guadagno; e così era evitata la fabbricazione di armi o di ogni altro oggetto con cui si potesse recar danno al prossimo. Ogni giorno lavorativo, dopo la preghiera mattutina in comune, nella quale si rivolgevano al sole, come a pregarlo di sorgere a illuminare la terra, gli Esseni si recavano al lavoro assegnato a ciascuno dai capi; verso il mezzogiorno tornavano dal lavoro, prendevano un bagno di purificazione in acqua fredda, e, indossati abiti sacri, consumavano con devota reverenza il frugale pasto comune, preparato in purità dai sacerdoti, che recitavano speciali benedizioni prima e dopo il pasto per onorare Dio come datore del cibo. Poi ognuno tornava al lavoro fino alla sera, e la sera tutti si riunivano di nuovo per il pasto serale analogo a quello del mezzogiorno. Bagni purificatori erano doverosi per gli Esseni non solo prima dei pasti, ma anche ogni volta che essi avessero avuto contatto con persone non appartenenti all'ordine, novizî compresi, e ogni volta che avessero soddisfatto le necessità corporali (che assolvevano con particolari norme di severissima decenza). Mai adoperavano gli unguenti, cosi cari di solito agli uomini di Oriente, e consideravano cosa lodevole avere un'apparenza rude; vestivano abiti semplicissimi e preferibilmente bianchi, né li deponevano finché non fossero divenuti inservibili. Qualunque cibo non preparato secondo le loro norme rituali era da loro considerato vietato. Che si astenessero dalla carne e dal vino, come spesso si afferma sulla base di un passo di S. Girolamo, non ci è detto dalle fonti più antiche; pare, ma l'interpretazione e anche la lezione dei testi relativi è dubbia, che secondo queste fonti essi si astenessero dai sacrifizî cruenti, pur manifestando la loro devozione al tempio di Gerusalemme con spontanei doni. Alla purità e alla semplicità della vita esteriore gli Esseni facevano corrispondere la purità e la semplicità della vita interiore: consideravano doveroso il distacco da ogni sensualità e da ogni passione, e altrettanto doverosa la più assoluta sincerità come norma costante dei loro rapporti col prossimo; e pertanto si astenevano da ogni giuramento, dopo quello prestato nell'ammissione all'ordine, giudicando indegno di loro aver bisogno di invocare il nome di Dio per esser creduti. Nessuno fra loro era schiavo; tutti lavoravano vicendevolmente per tutti. Grande reverenza avevano per la legge mosaica, che leggevano ed esponevano nei sabati, e per la persona di Mosè, fino a comminare la pena di morte per chi bestemmiasse il nome di questo profeta. Anche nel rispetto al giorno di sabato erano di un rigore estremo, superante d'assai quello dei Farisei.
Tale il quadro che risulterebbe dalle fonti sopra ricordate; ma per i motivi che abbiamo accennato non possiamo considerarne i dati con grande fiducia. Quel che è ritenuto sicuro anche dai più severi critici delle fonti è che gli Esseni non ricercavano il guadagno personale, ma ponevano le loro attitudini e il loro lavoro a servizio dei consociati, coi quali, non avendo famiglia, vivevano in stretta colleganza, prendendo i pasti in comune; che imponevano a chi voleva ascriversi al loro ordine di percorrere varî gradi di noviziato; che per il loro culto della semplice sincerità consideravano riprovevole il giuramento; e che seguivano caratteristiche e rigorose norme di purità culminanti in bagni frequentissimi, simboleggiate dal candore degli abiti, e connesse con una speciale reverenza per la luce solare quale rivelazione della maestà divina. Della loro teologia e in genere delle loro dottrine ben poco ci è dato di sapere. Se accanto al Pentateuco riconoscessero altri libri della Bibbia non è chiaro; certo è che avevano altri libri sacri a loro proprî, i quali però erano tenuti scrupolosamente segreti, e sono andati perduti. I tentativi più volte fatti di mettere in rapporto con gli Esseni alcuni dei libri deuterocanonici o degli apocrifi sono da ritenersi falliti. Quel che ci dice Giuseppe Flavio del loro fatalismo e delle loro idee intorno alla preesistenza delle anime e al destino di queste dopo la morte del corpo non sembra poter rappresentare in tutto fedelmente il loro pensiero, ma è ammissibile che fosse loro credenza che l'anima viene dal cielo e vi ritorna, se lo merita, dopo la morte del corpo. Sembra sicuro che nei loro libri fosse fatta larga parte alla magia, all'angelologia, all'arte di prevedere il futuro, e all'esposizione delle virtù di piante e di pietre per il bene del corpo e dell'anima. Era considerato dagli Esseni sacro dovere sociale quello della fedeltà all'autorità costituita; perciò lo stato talvolta si serviva di loro per uffici pubblici. Anche verso sovrani generalmente invisi alla popolazione giudaica, come Erode e Archelao, fu professata da parte essena sicura lealtà. Essi non si sentivano però altrettanto vincolati verso i dominatori stranieri, e alcuni di loro si unirono agli Zeloti nella rivolta contro Roma scoppiata nel 66 d. C.; un Esseno, o almeno uno che era chiamato con questo nome, vi ebbe anzi un posto di comando. Le notizie di Giuseppe Flavio sul martirio subito da varî Esseni nella lotta contro Roma sono assai dubbie. Qual fosse il numero degli Esseni è incerto; Filone e Giuseppe Flavio li fanno ascendere a 4000.
È stato lungamente e variamente discusso se l'essenato debba considerarsi un fenomeno puramente giudaico, o se invece abbia subito influssi dall'esterno. Alcuni hanno sostenuto che nella sua essenza fondamentale esso viene a identificarsi col farisaismo, o che almeno ne è una diretta derivazione, una forma più rigorosa e di più stretta osservanza. Effettivamente molto può spiegarsi come estensione o applicazione rigorosa delle norme e delle dottrine farisaiche, e specialmente chi è meno proclive a respingere le notizie delle fonti può trovare nell'essenismo assai di comune col farisaismo; ma vi sono alcuni elementi che non possono non apparire estranei al farisaismo o addirittura al giudaismo in generale: ad esempio, l'astensione dal matrimonio, l'astensione, se deve veramente essere ammessa, dai sacrifizî cruenti, e il rito della preghiera rivolta al sole. I tentativi di spiegare questi ed altri elementi estranei al giudaismo ufficiale considerando gli Esseni come rappresentanti di qualche particolare tendenza giudaica (sistema recabitico, concezione sacerdotale del popolo ebraico, scuole apocalittiche, scuole profetiche, opposizione rigoristica al culto ufficiale del Tempio, ecc.) non bastano a risolvere ogni difficoltà. Appare quindi preferibile ritenere che l'essenismo abbia subito influssi estranei al giudaismo. Donde questi influssi siano provenuti è variamente dibattuto; si è pensato al pitagoreismo, all'orfismo, all'ellenismo in generale, al parsismo, al buddhismo, al paganesimo siro-palestinese, in genere al sincretismo religioso dell'epoca; ma tutto è assai malsicuro. Quel che si può affermare è che elementi non giudaici esistono nell'essenismo, ma donde essi siano provenuti non è possibile, allo stato attuale della scienza, determinare. Che l'essenismo abbia contribuito a preparare il terreno per l'avvento del cristianesimo (si noti a questo proposito la concezione sacramentale dei pasti comuni degli Esseni) appare assai probabile. Le varie sette giudeo-cristiane presentano molti punti di contatto con l'essenismo, e non è impossibile che esse ne siano in certo senso la continuazione.
Il significato del nome Esseni (presso Giuseppe Flavio di solito 'Εσσηνοί; presso Plinio Esseni; presso Giuseppe Flavio talvolta, e presso Filone sempre, 'Εσσαῖοι) non è chiaro. L'etimologia presentata da Filone (da ὅσιος) non è da prendersi sul serio; ma anche le proposte moderne (dall'aramaico āsayyā "medici"; dall'aramaico ḥăsayyā "pii"; dall'ebraico ḥăshāyīm "silenziosi"; dall'ebraico ḥăsīdīm "pii") sono o da respingersi o da considerarsi molto dubbie.
Fonti principali: Filone, Quod omnis probus liber, 75-91; id., frammento dell'Apologia pro Iudaeis, in Eusebio, Praep. evang., VIII, 11, 1-18 (perduto è uno scritto di Filone sugli Esseni); Giuseppe Flavio, Bell. Iud., I, 78, 113; II, 119-161, 567; III, 11; V, 145; id., Ant., XIII, 171-173, 311; XV, 371-379; XVII, 346; XVIII, 11, 18-22; id., Vita, 10-11; Plinio, Nat. Hist., V, 17, 4. Le altre fonti o dipendono dalle precedenti ovvero dànno notizie scarse o dubbie. La letteratura rabbinica non ha nessuna notizia che possa sicuramente riferirsi agli Esseni; le varie congetture secondo cui essi vi sarebbero ricordati sotto uno o un altro nome sono estremamente malsicure.
Bibl.: Schürer, Geschichte des jüd. Volkes im Zeitalter Jesu Christi, II, 4ª ed., Lipsia 1907, pp. 651-680 (con esaurienti indicazioni bibliografiche); Bauer, in Pauly-Wissowa, Suppl. vol. IV, coll. 386-430 (con continuazione della bibliografia dello Schürer); Büchler, Types of Jewish Palestinian Piety, Londra 1922; Bousset-Gressmann, Die Religion des Judentums im hellenistischen Zeitalter, Tubinga 1926, pp. 456-465; M.-J. Lagrange, Le Judaïsme avant Jesus Christ, Parig 1931, pp. 307-330.