Espressionismo
Con il termine Espressionismo si indica l'orientamento artistico che si diffuse nella seconda metà degli anni Dieci nell'Europa centrale, avendo come centro di irradiazione la Germania. Le sue origini vanno rintracciate nell'attività svolta nell'ambito delle arti figurative dai gruppi "Die Brücke" e "Der blaue Reiter"; il primo formato a Dresda nel 1905 da E.L. Kirchner, E. Heckel e K. Schmidt-Rottluff, poi arricchito dall'apporto di E. Nolde, O. Kokoschka, M. Pechstein; il secondo nato nel 1911, per iniziativa di W. Kandinsky e F. Marc, ma sostenuto anche da P. Klee e altri. Ricollegandosi alla pittura antinaturalistica di P. Gauguin, V. Van Gogh, H. Matisse ed E. Munch, l'E. intendeva raffigurare il mondo esterno come prodotto di un'attività soggettiva che lo ricrea e lo trasforma, con l'uso accentuato del colore, volto a denotare la situazione emotiva, e con l'adozione di un segno grafico pronunciato, quasi primitivo. Il 'messaggio' trovò ampia accoglienza in altri ambiti artistici, e in particolare nel mondo della cultura e dello spettacolo. Particolarmente significativa, fu l'influenza che l'E. ebbe sulla produzione teatrale, nei drammi di E. Barlach (Der tote Tag, 1906-07), di R.J. Sorge (Der Bettler, 1912) e di W. Hasenclever (Der Sohn, 1914), con l'estrema semplificazione del linguaggio e dell'azione, a vantaggio di una gestualità esasperata, con la messa in scena di temi 'archetipici', come il rapporto tra i sessi e il parricidio, affrontati attraverso una visione palingenetica pervasa di misticismo. Temi e motivi stilistici, questi, che sarebbero usciti rafforzati dalla guerra e dai conseguenti sconvolgimenti politici, in Germania e Austria, anche grazie al rapporto con le altre avanguardie artistiche, nei lavori di E. Toller (Masse-Mensch, 1921), carichi di un cupo pessimismo, in quelli di A. Bronnen (Vatermord), che riprendono il tema della ribellione dei figli, e di G. Kaiser (Von morgens bis mitternachts, 1916), ma anche nei drammi di giovani autori, quali B. Brecht (Trommeln in der Nacht, 1922) e F. Bruckner (Krankheit der Jugend, 1926) che attraversarono l'E. per distaccarsene presto, alla ricerca di una nuova classicità.
In un processo più ampio, ma innescato proprio dalla vicenda espressionista, il cinema tedesco degli anni Venti divenne terreno fertile di confluenza di arti diverse (negli sviluppi imposti a esse dal movimento). La deformazione scenografica, l'uso di prospettive alterate, la tendenza ad attribuire tratti biomorfi all'inanimato, sono il risultato del trasferimento sul terreno del cinema di moduli desunti dalla pittura, dal teatro o dall'architettura. Ancora dal teatro sono tratte le tecniche di illuminazione, grazie alle quali uno spazio drammatico può essere reso attraverso effetti e costruzioni di luce. L'architettura (v.), anche a questo riguardo, può essere un'ulteriore sorgente di ispirazione (H. Poelzig, ma anche le utopie del gruppo della Gläserne Kette, esercitarono un grande fascino). Ma il forte contrasto di luce e ombra, di bianco e nero trova fonti di riferimento anche nelle esperienze figurative (e in particolare nel campo della grafica). Tipici esempi sono le scenografie di Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Dott. Calligari, noto anche come Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene, che fanno pensare a scene di Der Sohn (nell'edizione di Kiel, 1919) e all'epoca richiamarono analogie con la pittura di L. Feininger; gli ambienti di Von morgens bis mitternachts (1922) creati da Robert Neppach per il regista Karlheinz Martin, in un esplicito sviluppo bidimensionale e attraverso segni semplificati come quelli di una xilografia; alcune architetture urbane visibili in Algol (1920; Algol o Le fonti della vita) di Hans Werckmeister, che riprendono le forme di B. Taut e del gruppo della Gläserne Kette; i contributi di César Klein, che trasferì in Genuine (1920) i tratti più tipici della sua figurazione; i film Der Golem, wie er in die Welt kam (1920; Golem ‒ Come venne al mondo) e Lebende Buddhas (1925; Il fantasma di Budda), entrambi di Paul Wegener (il primo in collab. con Carl Boese), e Zur Chronik von Grieshuus (1925; L'erede dei Grishus) di Arthur von Gerlach, scaturiti tutti dalla collaborazione con Poelzig, che rimandano ai più significativi ambiti di ricerca e sperimentazione dell'architetto, dalla accesa dinamizzazione di forme gotiche e barocche alla modulazione di elementi di una grandiosità arcaica e sacrale, al punto tale che in alcune fasi, esaminando i bozzetti preparatori dell'artista, è impossibile distinguere se si riferiscono all'attività cinematografica, a quella teatrale o a quella architettonica. Interni come prigioni, l'universo delle macchine, la scala, la strada, i luoghi della drammaturgia teatrale espressionista, trovarono una diffusione così ampia da costituirsi quasi a 'icone' del cinema muto tedesco.
Dal punto di vista tematico, il cinema riprende dall'E. letterario (Die andere Seite di A. Kubin) e teatrale, ma anche dalla lirica (la poesia di G. Heym, J. van Hoddis ecc.), la dimensione fantastica, visionaria, assieme ai motivi della ribellione. Tuttavia, in molti casi le nuove forme si innestano su materiali anche fortemente eterogenei e convivono con principi e stili differenti, dal romanticismo al simbolismo, dal naturalismo alla Heimatkunst. O, più semplicemente, si incontrano con intrecci, personaggi, temi (e ambienti, iconografie) di quella produzione d'appendice (racconto d'avventura, esotico, melodramma, Kriminalroman) che costituiva la base della narrazione e anche della figurazione cinematografica dell'epoca. In alcuni casi, quando l'operazione si presenta, soprattutto nel 1920-21, con i tratti di una precisa progettualità, si può trovare lo stile espressionista in una posizione dominante, tale da riordina- re e riorientare tutti gli altri principi. In altri contesti l'E. diviene una sorta di 'valore aggiunto', una qualificazione stilistica utilizzata per arricchire il tessuto del film e garantirgli una maggiore operatività. Dall'estetica espressionista emana una fortissima spinta alla soggettivizzazione dell'esperienza e il cinema riprende tale impulso non solo agendo sui materiali profilmici, piegando lo spazio esterno a spazio interiore, ma anche elaborando nuovi principi che porteranno la macchina da presa a trasformarsi in fattore originale di organizzazione dello spazio e protagonista attivo dell'azione. Caligari, rispetto a questi sviluppi, può essere considerato ancora un film 'del passato', ma con gli esiti del titelloser Film (v. oltre), il cinema tedesco dell'epoca di Weimar arriverà a dar vita a una figurazione estetica e a un sistema espressivo che costituiscono una delle più rilevanti conquiste del periodo del muto.
Secondo una tradizione storiografica ormai consolidata, le cui origini risalgono ai lavori di Siegfried Kracauer (1947) e Lotte Eisner (1952, 1965²), la 'vicenda cinematografica' dell'E. inizia con l'uscita sugli schermi, nel febbraio del 1920, di Das Cabinet des Dr. Caligari, diretto da Wiene sulla base di una sceneggiatura di Hans Janowitz e Carl Mayer e prodotto dalla Decla. Per il film ci si avvalse della collaborazio-ne degli scenografi Walter Reimann, Walter Röhrig e Hermann Warm e dell'interpretazione, tra gli altri, di Werner Krauss (protagonista delle rappresentazioni berlinesi di Die Koralle, e Seeschlacht, 1918) e Conrad Veidt (che aveva recitato in ruoli minori negli stessi spettacoli).
Il carattere nero e fantastico della vicenda, l'uso di una scenografia che adotta i moduli della pittura e soprattutto della scenografia teatrale espressionista, la performance di attori che provengono dalle scene del nuovo teatro, non solo produssero un'enorme impressione sugli spettatori dell'epoca, ma inaugurarono una delle stagioni più ricche e vitali del cinema muto. L'impresa non nacque per avventura, per l'iniziativa azzardata e isolata di alcuni giovani artisti, ma come programma preciso, come svolta pianificata dell'industria cinematografica. Il successo del film non fu dovuto a una circostanza casuale e felice: venne costruito con una campagna promozionale di grande impegno, fondata proprio sulla novità e la sorpresa dell'incontro tra il cinema e il movimento espressionista.
L'obiettivo era quello di ridare slancio al sistema cinematografico, innestando sul suo repertorio tematico, sulle sue risorse stilistiche e sulla sua base comunicativa le qualità e le potenzialità dell'avanguardia. Fu un'operazione di aggiornamento varata in una fase di crisi del sistema, contrassegnata da un rapido esaurimento di idee e repertori, dalla stanchezza dello spettatore nei confronti dei modelli tradizionali e del Sensationsfilm in particolare. La carta giocata fu quella del coinvolgimento di personalità (registi, attori, scrittori, scenografi, pittori) che fino a quel momento erano rimaste lontane dal nuovo mezzo e vennero chiamate a fargli compiere un salto di qualità: il passaggio verso un nuovo standard.Il fenomeno aveva avuto un importante precedente in Germania nell'Autorenfilm: nel biennio 1913-14 il cinema tedesco era stato portato a un decisivo mutamento di scala, che ne aveva completamente trasformato i vari livelli (dal registro narrativo e linguistico a quello produttivo e di diffusione), attraverso la collaborazione delle maggiori personalità nel campo della letteratura e del teatro di lingua tedesca (da A. Schnitzler a H. von Hofmannsthal, da G. Hauptmann a M. Reinhardt, da A. Moissi ad A. Bassermann).
In quel quadro, in cui si era compiuto il passaggio da una fase artigianale a una propriamente industriale, si era collocato anche un importante contributo di area espressionista. K. Pinthus aveva riunito, infatti, E. Lasker-Schüler, W. Hasenclever, A. Ehrenstein, L. Rubiner e altri autori per una raccolta di soggetti cinematografici, un Kinobuch (1914), che restò tuttavia (con un'unica eccezione) esclusivamente allo stadio di proposta sostanzialmente isolata.
Dopo il successo del Caligari si moltiplicarono invece i tentativi, anche da parte di piccole case di produzione, di muoversi nella stessa direzione. Anche molte valutazioni retrospettive che, riferendosi a quegli anni, parlano di una "psicosi da Caligari" confermano la diffusione e l'ampiezza del fenomeno. Le stesse modalità con cui veniva organizzata la visione del pubblico si adeguarono alla nuova situazione. Si aprirono sale cinematografiche 'espressioniste' o si ristrutturarono in base ai medesimi criteri locali già esistenti. Vennero rivoluzionate le strategie promozionali. Per mesi la grafica delle pubblicità cinematografiche adottò le forme dell'E., anche quando i film nulla avevano a che vedere con la nuova tendenza artistica. Tutto il settore registrò la circostanza come l'inizio di una nuova era, reagendo ora positivamente ora negativamente. Nello stesso anno in cui uscì Caligari fu annunciato Von morgens bis mitternachts, tratto dal testo teatrale di G. Kaiser. Il film, che non ebbe mai una regolare uscita, venne diretto da K.H. Martin (che già aveva curato la regia della rappresentazione al Thalia Theater di Amburgo nel settembre del 1918), con le scenografie di Neppach e l'interpretazione di Ernst Deutsch (protagonista della messa in scena del 1916 a Dresda di Der Sohn). Il medesimo regista (con la collab. di Rudolf Leonhard per la sceneggiatura) realizzò nel 1920 Das Haus zum Mond (andato perduto), ancora con le scenografie di Neppach e la partecipazione di Fritz Kortner (un altro dei grandi 'nuovi attori' del teatro espressionista). R. Wiene girò Genuine, con scenografie realizzate da César Klein.
Giovandosi dell'apporto di Poelzig, che a differenza dei casi precedenti costruì architetture tridimensionali, ricreando un intero ghetto medioevale, P. Wegener diede vita alla sua già citata versione di Der Golem. W. Reimann lavorò alle scenografie di Algol, di H. Werckmeister. Su un originale progetto di unione di ambientazione in forme espressioniste-cubiste e milieu schiettamente naturalista, Masken (1920), firmato da William Wauer (film andato perduto), seppure giudicato negativamente, fu egualmente considerato dalla critica dell'epoca come ulteriore contributo alla nuova tendenza. Nel 1921 Neppach fu tra i collaboratori di Brandherd, sceneggiato da C. Mayer e diretto da Hans Kobe. E altri film avrebbero ripreso l'impostazione 'programmatica' di queste prime opere: Raskolnikow (1923; Delitto e castigo), sempre diretto da Wiene (con scenografia di Andreev) e Das Wachsfigurenkabinett (1924; Tre amori fantastici) di Paul Leni (con i costumi di Ernst Stern).
Molti altri lavori, non più conservati, furono inoltre segnalati dalle recensioni dell'epoca per l'adozione, anche se parziale, di moduli assimilabili all'E.: Toteninsel di Carl Froelich (scenografia di Warm, Röhrig e Robert Herlth), e Der zeugende Tod di Heinz Sarnow, usciti nel 1920; Das zweite Leben (La seconda vita), diretto da Alfred Halm, Zirkus des Lebens (Corsa al piacere) di Johannes Guter (sceneggiatura di Janowitz, con la recitazione di Werner Krauss), presentati nel 1921. E inoltre: Zwischen Abend und Morgen di Arthur Robison e Der Puppenmacher von Kiang-Ning di R. Wiene (ancora con il contributo di C. Klein), entrambi apparsi nel 1923.
Nel frattempo elementi riconducibili direttamente o indirettamente alla matrice inaugurata dal Caligari si erano estesi alle opere più innovative della produzione tedesca di quegli anni: da Nosferatu ‒ Eine Symphonie des Grauens (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau a Schatten ‒ Eine nächtliche Halluzination (1923) di A. Robison; da Der Schatz (1923; Il tesoro o L'oro della morte) di Georg Wilhelm Pabst a Faust ‒ Eine deutsche Volkssage (1926; Faust) ancora di Murnau. Dai cosiddetti Kammerspielfilme, come Hintertreppe (1921) di Leopold Jessner e P. Leni e Der letzte Mann (1924; L'ultima risata o L'ultimo uomo) di Murnau, agli Strassenfilme, come Die Strasse (1923; La strada) diretto da Karl Grune, che si avvalse della diretta collaborazione di Ludwig Meidner. Fino ad arrivare, naturalmente, a Metropolis (1927) di Fritz Lang, che rappresenta l'opera più eclettica per quanto riguarda i materiali e i riferimenti ma, tuttavia, anche quella che su vari piani (drammaturgico, iconografico, tematico) si pone come ricapitolazione e sintesi in qualche modo di tutte le esperienze che fino a quel momento erano state compiute, tanto da poter essere considerata come un limite estremo del campo in questione.
L'entità del fenomeno è verificabile anche attraverso le reazioni di alcuni settori dell'industria cinematografica, preoccupati proprio dei profondi mutamenti che venivano annunciati, non solo sul piano dei canoni espressivi, ma anche su quello degli stessi modi di produzione. Caligari, infatti, venne valutato positivamente, ma vi fu la tendenza a considerarlo un unicum, quasi a scongiurare l'eventualità che potesse 'fare scuola'. Era soprattutto il ruolo assunto dalle componenti d'avanguardia a suscitare apprensione. Si paventava cioè che l'influenza del film di Wiene facesse evolvere il cinema verso un modello tale da mettere in discussione la diffusione di massa e le caratteristiche popolari, costringendo l'industria cinematografica a mutare metodi produttivi, struttura dei generi ecc.
Il progetto fu accompagnato anche da una valutazione sorprendentemente estensiva circa la portata della nuova tendenza sul piano teorico. L'E. venne giudicato un fattore propulsivo per il cinema nella sua globalità, soprattutto per la sua capacità di corrispondere alla 'natura tecnica' del mezzo. Così H. Jhering considerò il film espressionista come stadio essenziale di un "organico sviluppo" del sistema; oppure si sostenne che era il cinema in sé espressionista. Più che nelle possibilità drammatiche, la sua particolarità fu rintracciata nella dimensione visiva. La nuova tendenza sembrò insomma rispondere perfettamente sia agli aspetti tecnici, sia a quella che veniva considerata dai primi teorici la più autentica inclinazione del cinema, cioè la possibilità di rappresentare il fantastico, il soprannaturale, la dimensione del sogno. Con le parole dello stesso Wiene, "la tecnica del cinema si presta naturalmente alla rappresentazione dell'irreale, ovvero alla sua rappresentazione proprio nel senso dell'espressionismo". Altri commentatori sottolinearono l'affinità tra le caratteristiche della sceneggiatura cinematografica e le scelte del nuovo tipo di poeta. Nella sceneggiatura si affermerebbe uno "stile compresso": "non è la frase l'essenziale, ma la parola immaginifica. Un sostantivo, un verbo sostantivato stanno per una frase. Si procede per schizzi, si rinuncia agli elementi secondari. Questo stile determina concentrazione, produce chiarezza, non ammette vaghezze", come scrisse F. Podehl. Quanto ai temi del fantastico e dell'onirico, oltre alla sintonia tra caratteristiche del cinema e dell'E., si mise in evidenza il contributo che quest'ultimo poteva dare per aprire al film nuove possibilità, con il passaggio dal regime della Vision a quello del Visionäre. Anche la capacità del cinema di costruire un sistema spaziale coerente e di integrarvi lo stesso sviluppo narrativo fu posta in risalto, per es. da H. de Fries, che del Caligari esaltò, rispetto all'intreccio e alla performance degli attori, soprattutto una concezione saldissima e completamente nuova dello spazio.
Riguardo ai processi di soggettivizzazione, la riflessione arrivò, egualmente, ad approdi di notevole rilievo. Quello che caratterizza il cinema espressionista, scrive A. Polgar, non sono "decorazioni sghembe e paesaggi dalle forme cubiste". Ciò che davvero può contraddistinguerlo è la capacità "di proiettare eventi interiori all'esterno [...], questa incredibile opportunità di costruire un universo dalla prospettiva particolare di un particolare personaggio". E si giunse infine a una esatta percezione della funzione assunta in questo contesto dalla entfesselte Kamera (v. oltre). D'altra parte, Béla Balázs si avvicinò alla formulazione di una teoria del cinema proprio a partire dalle caratteristiche dell'espressionismo. Se quest'ultimo è ciò che porta alla luce la "fisionomia latente delle cose […] non c'è nessun'arte in grado di mostrare questo volto delle cose come il cinema. [...].è certo che il cinema è l'ambito più peculiare, forse l'unica legittima patria dell'espressionismo. I film moderni si avvicinano tutti a questo stile, anche senza volerlo, anche senza accorgersene" (1924).
Ma l'aspetto forse più sorprendente nel dibattito di quegli anni sta nell'aver attribuito alla nuova tendenza, inaugurata dal film espressionista, un contributo fondamentale alla riformulazione dello statuto del genere cinematografico. A partire dall'uscita del Caligari, nella maggior parte degli interventi critici l'espressione film espressionista fu utilizzata infatti in senso ampio, e non soltanto con riferimento a singoli film. La fase in questione fu caratterizzata in effetti da nuovi meccanismi di codifica e modellizzazione sul piano produttivo. Da un sistema ancora fortemente 'riproduttivo', in base al quale un'opera di successo poteva dar luogo a una serie di prodotti analoghi, si passò a un sistema di modelli (i 'generi', appunto) dotati di una marcata autonomia e di solidi meccanismi di alimentazione e riproduzione. Questo processo giocò un ruolo nevralgico all'interno dell'apparato cinematografico tedesco, come si deduce da numerose analisi degli anni successivi che avrebbero individuato proprio in questo incompiuto sviluppo della struttura dei generi uno dei fattori di debolezza del sistema. Il film espressionista si inserì dunque in questo quadro, fu assimilato a un genere, anche per controllarne gli effetti di trasformazione su tutto il sistema cinematografico. Non senza coglierne tuttavia un ulteriore, forte elemento di novità, in quanto genere non più ancorato a basi tematiche (come il Kinodrama, il Detektivfilm ecc.), ma stilistiche, che facevano riferimento a precisi aspetti figurativi, plastici, architettonici.
Il passaggio ebbe una grande portata, sia sul piano produttivo sia su quello teorico. E la novità venne puntualmente registrata dai commentatori dell'epoca, che da una parte rendevano conto della molteplice serie di modelli (non di film) che cercavano di affermarsi sulla scena cinematografica; dall'altra contribuirono alla definizione delle originalità stilistiche dei vari canoni. La nozione di stile (applicata a vari livelli: da quello scenografico a quello delle tecniche di ripresa) risultò infatti decisiva in tutto il cinema tedesco del periodo di Weimar, sovrapponendosi ad altri principi (come quello dell'autore) e al contempo acquistando un'autonoma e mobilissima vitalità. Infantilismus, Ballade, Filmnovelle, Stilfilm, fino al Kammerspielfilm, sono solo alcune delle proposte successive al film espressionista che contribuirono alla definizione delle originalità stilistiche dei vari canoni, nei primi anni Venti.
In parte sovrapponendosi alla direzione e all'evoluzione del film espressionista e dello Stilfilm, in parte seguendo una propria, autonoma via, il titelloser Film (o "film senza didascalie") si collocò tra le esperienze cruciali di questa fase di profonda trasformazione del cinema tedesco. Come era avvenuto con il Caligari, il suo ingresso in scena prospettò un rivolgimento globale del sistema cinematografico, lasciando intravedere radicali mutamenti sia sul piano linguistico-espressivo sia su quello produttivo. Anche in questo caso l'industria cinematografica, che pure ebbe una parte fondamentale come diretta protagonista e artefice di questi stessi sviluppi, mostrò preoccupazione per le profonde modificazioni strutturali che avrebbero comportato. E la strategia di difesa fu duplice. Da un lato il titelloser Film fu associato a una scelta 'd'autore', ossia ricondotto alle particolari inclinazioni di alcuni cineasti (C. Mayer, Lupu Pick, A. Robison).
L'atteggiamento prevalente fu tuttavia quello di riservare al film senza didascalia uno spazio autonomo, un ambito specializzato. La nuova tendenza fu riconfigurata secondo i parametri di un genere cinematografico. Il film senza didascalie affermava il principio dell'autonomia del piano visivo-dinamico e della unitarietà stilistica dell'opera; dava impulso a processi di valorizzazione e simbolizzazione dello spazio e degli oggetti, realizzati in particolare attraverso la entfesselte Kamera, come una "macchina da presa vivente"; attivava forme di soggettivizzazione dell'immagine, attraverso cui si compiva la proiezione dello spettatore sulla scena del film. Un rilievo centrale acquistò il principio del montaggio, una componente nevralgica della drammaturgia di C. Mayer. L'analiticità e l'intensità espressiva del linguaggio mimico e gestuale dell'attore (un'altra delle componenti essenziali e più originali del cinema muto tedesco) ricevettero in tale contesto la valorizzazione più forte. Il film divenne "linguaggio del corpo"; non a caso Balázs parlava di "uomo visibile".
All'inizio degli anni Venti un vasto arco di voci si espresse a favore dell'abolizione di ogni testo scritto nel film. Era diffusa la convinzione che le didascalie costituissero un corpo estraneo, come una scritta in un quadro di Rembrandt: si diceva che il film ideale dovesse essere assolutamente muto, integralmente senza didascalie. La didascalia era vista come una presenza difforme, un'anomalia, un residuo eterogeneo e improprio all'interno di un sistema la cui peculiarità e originalità veniva individuata nella dimensione iconica e nella componente del movimento. E anche i registi protagonisti della stagione espressionista si impegnarono nel dibattito, e soprattutto nella concreta pratica realizzativa, per un'abolizione o per una riduzione delle didascalie. Secondo Robison l'accettazione della dimensione scritta avrebbe portato a un'idea di cinema come arte promiscua, composita e soprattutto antitetica a ogni statuto di autonomia, specificità, purezza. Il rifiuto della didascalia "per principio" venne sostenuto da Ewald André Dupont. Ancor più nette furono le posizioni di K. Grune e L. Pick, ribadite in numerosi interventi e dichiarazioni, mentre un atteggiamento più morbido, o forse rassegnato, fu assunto da F.W. Murnau, che da una parte condivideva le stesse opzioni di principio, dall'altra sembrava più arrendevole di fronte agli ostacoli concreti, fino a concedere (nel 1924) che la didascalia, per il momento, non si poteva evitare.
Convenzionale, e sostanzialmente estranea al dibattito, la posizione di F. Lang, mentre si deve a Wiene una delle impostazioni più originali, che lega la presenza e il ruolo della scritta all'affinità drammaturgica del cinema con il teatro espressionista. Per il regista del Caligari la didascalia rappresenta un ponte con la drammaturgia più moderna del teatro espressionista. Chi vive un'esperienza fantastica non racconterebbe quello che pensa in un di-scorso ordinato: si esprimerebbe con esclamazioni, grida, così come farebbe il poeta espressionista. Queste esclamazioni e grida sono le 'didascalie', che anche il film espressionista non può eliminare.
Nella discussione di quegli anni numerose furono, d'altra parte, anche le voci schierate su posizioni contrarie, impegnate a difendere non solo la necessità, ma l'organicità della dimensione scritta rispetto alle caratteristiche espressive e comunicative del cinema. Alcune furono frutto di concezioni arretrate, riconducibili direttamente, talora, alla posizione di retroguardia dei settori della Kinoreform ancora attivi nel dopoguerra, in altri contesti la difesa della sfera scritta fu più legata a motivazioni pratiche, operative. E talvolta la difesa delle didascalie si fondò su considerazioni tutt'altro che arretrate o empiriche, ma estremamente stimolanti e avanzate, anche sul piano teorico. Le scritte avrebbero istituito un regime narrativo diverso, si sosteneva, ma non incomponibile con quello visivo. E si sottolineavano le possibilità originali di integrazione, facendo riferimento alla tradizione tedesca del racconto per immagini (Wilhelm Busch) ma anche a quella americana del fumetto. Si rifiutava uno statuto di 'purezza', di cinema 'assoluto', e si parteggiava piuttosto per l'idea che il film dovesse essere considerato come un compositum, scaturito dalla concorrenza e dalla fusione di arti diverse, come un nuovo, assolutamente autonomo, prodotto chimico, le cui componenti, mescolate diversamente, si potevano ritrovare nei sistemi artistici affini, come scrisse Walter Jonas una posizione che sarebbe stata condivisa anche da Balázs.
In realtà, la separazione tra posizione teorica e compromesso pratico costituiva la linea di condotta indubbiamente più diffusa. Nella concreta esperienza realizzativa, tuttavia, alla parola scritta si assegnava nella maggior parte dei casi un valore funzionale, non le si riconosceva cioè alcuna autonomia, alcuno statuto indipendente.
Ma quale fu l'effettiva diffusione del titelloser Film nella scena tedesca? Se ci si limita alle opere rigorosamente girate senza didascalie, l'elenco non supera la mezza dozzina di film, quasi tutti sceneggiati da Mayer (a eccezione del terzo e del quarto): Scherben (1921) di L. Pick, i già citati Hintertreppe di L. Jessner e P. Leni, Schatten di A. Robison, Die Strasse di K. Grune (che però aveva sette cartelli), Der letzte Mann di Murnau e Sylvester (1924) ancora di Pick. Se invece si prendono in considerazione i film che si ispirarono al medesimo modello e ai medesimi principi, seguendoli in maniera più o meno coerente, il fenomeno si allarga considerevolmente. Vi rientrano Erdgeist (1923) di Jessner, progettato anch'esso da Mayer senza testi scritti, che furono però ripristinati dalla casa di produzione; Der Schatz di Pabst; Nju (1924; Nju o Il fiore selvaggio) di Paul Czinner e altri film diretti o sceneggiati successivamente dallo stesso regista come Eifersucht (1925; Gelosia) di Grune; Varieté (1925) di Dupont. E l'elenco potrebbe continuare.
È la categoria del Kammerspielfilm (v.) ‒ in cui, del resto, i primi film sopra ricordati rientrano, e con un ruolo fondante ‒ che venne direttamente coinvolta da queste trasformazioni, e con essa un filone, anche numericamente ampio (contrariamente a quanto si evince dalle storie del cinema), avviato, forse, da Rausch (1919; Ebrezza) di Ernst Lubitsch e proseguito fin nella seconda metà degli anni Venti. Non si trattò, insomma, di un fenomeno confinato in uno spazio marginale, per quanto di prestigio, promosso da un gruppo di intellettuali amanti della sperimentazione e inscrivibile nell'area dell'avanguardia, ma fu l'industria cinematografica che si mobilitò direttamente in questa direzione, coinvolgendo i vastissimi settori dell'istituzione critica a es-sa strettamente collegati. E anche se il programma del titelloser Film non fu sempre applicato in maniera intransigente, i principi che ne stavano alla base penetrarono in un'area assai vasta e finirono in questo modo con l'imporsi come nuovo, avanzato standard di riferimento per tutta l'istituzione cinematografica.
Il Kammerspielfilm sancì l'assimilazione delle nuove proposte all'interno di un sistema codificato. La definizione del nuovo campo (nei termini di K. Pinthus, "rinuncia il più possibile ai testi di collegamento, successione continua di eventi, pochi personaggi, scavo della dimensione psicologica, il più intenso, minuzioso lavoro del regista sulla recitazione, gli ambienti, l'atmosfera") ereditò e stabilizzò i tratti salienti del titelloser Film. La limitatezza di temi e situazioni drammatiche, rimproverata così spesso al film senza didascalie, si trasformò in fattore di caratterizzazione. Scherben (accanto alle opere di Victor Sjöström e Mauritz Stiller, alla drammaturgia di A. Strindberg ripresa e sviluppata da M. Reinhardt, alla tecnica di H. Sudermann) fu eletto come testo fondante.
In ambito tematico, il Kammerspielfilm privilegiò situazioni intimiste, da dramma (piccolo) borghese, e una drammaturgia della concentrazione, a scapito dei grandi tableaux e intrecci romanzesco-avventurosi e del taglio epico; reimpostò le forme della presentazione spettacolare, eliminando la suddivisione in atti, sopprimendo i cartelli corrispondenti e le pause nella proiezione, rivoluzionò la pratica della sceneggiatura e le tecniche della ripresa, e mutò completamente (secondo prospettive diverse, ma anche riprendendo quelle del film espressionista) la funzione della scenografia. Per le competenze maggiori che richiedeva allo spettatore, il Kammerspielfilm postulava inoltre uno spostamento dal pubblico popolare degli anni Dieci verso settori e ceti medio-borghesi. Così, alla metà degli anni Venti, il cinema tedesco si rivelava profondamente e irreversibilmente mutato, avendo raggiunto nuovi canoni produttivi, narrativi ed espressivi, che lo avrebbero caratterizzato fino alla conclusione della sua parabola, grazie alle novità introdotte (accanto al film espressionista) proprio dal "film senza didascalie".
Su molti aspetti, nell'analisi dei processi di permeabilità del cinema rispetto alle altre arti, al di là dell'evidenza di alcuni dati, il lavoro da compiere è ancora vastissimo. Gli storici del cinema, pur avendo a disposizione un primo importante bilancio, quello tracciato da Rudolf Kurtz nel suo testo del 1926, e il lavoro della Eisner, in cui è approfondita specialmente l'influenza del teatro, sono stati spesso vaghi ed esitanti. E non sono mancate proposte tendenti a relativizzare tale rapporto. Proposte che hanno evidenziato tuttavia un'ingenuità di fondo, soprattutto quando questi legami tra il cinema e gli altri sistemi espressivi sono stati indagati senza tener conto delle mediazioni con materiali diversi, dalla Trivialliteratur allo spettacolo popolare; saltando cioè quel passaggio che era stato invece subito chiaro a Pinthus quando aveva elaborato il suo Kinobuch: "Bisogna assuefarsi all'idea che il Kitsch non può essere eliminato dal mondo umano" (1914; trad. it. 1983). Se, per es., si istituisce una comparazione tra un quadro di Kirchner e un film tedesco dei primi anni Venti, si può rimanere delusi e giudicare che il secondo resta distante o lontanissimo dall'elaborazione formale del primo. Ma il punto non consiste in questo. Il film deve essere valutato, propriamente, come luogo in cui la figurazione, anche quella di Kirchner, si incontra con modelli diversi di figurazione e di spettacolo popolare. Di più: la circostanza va interpretata come approdo di un processo che non era estraneo alle matrici della stessa estetica espressionista.
Se alla base della corrente vi era stata l'esigenza di un contatto diretto tra il poeta e le più ampie masse (e l'utopia di un'opera d'arte totale può essere collocata in questo stesso quadro), al cinema espressionista è possibile guardare come a un esito, e di grande efficacia, di questo percorso. Inoltre, dando vita a un'originale fusione tra elementi dell'avanguardia e della cultura popolare, il film si pone come tappa significativa di quella linea dell'avanguardia tedesca (che passa attraverso il Dada berlinese e la Neue Sachlichkeit, v.) che tende a trasferire il proprio campo d'azione nell'ambito delle forme e dei sistemi della comunicazione di massa.
In questo movimento il cinema è angewandte Kunst, una tra le 'arti applicate', sul cui terreno l'E., nel dopoguerra, progressivamente estese la sua influenza. È la valutazione, del resto, cui era giunto Rudolf Arnheim, pur partendo da un giudizio fortemente critico e limitativo. Le proposte figurative del film vennero giudicate superate dalla comunicazione pubblicitaria: "Quando l'ossessione del Dott. Caligari è rappresentata come attraverso una scritta luminosa mobile ‒ "Devi diventare Caligari!" ‒ che appare sui muri e contro il cielo, adesso nell'anno 1925, il ricordo di insegne luminose e di slogan del tipo: "Puoi fumare solo Velasco!" impedisce di gustare questa scena come si dovrebbe". Nulla meglio di queste considerazioni 'in negativo', legate peraltro a una concezione dell'avanguardia che non sa cogliere uno degli aspetti fondamentali di tale esperienza ‒ vale a dire la tensione a 'uscire da sé', a calarsi sul terreno della narrazione e della figurazione popolare, per misurarsi con i sistemi dell'industria culturale ‒ potrebbe valere come prova del ruolo nevralgico esercitato in questo quadro dal film tedesco dei primi anni Venti.
Appare poi trascurato e sottovalutato il ruolo del cinema come momento di stimolo e termine di riferimento per l'estetica espressionista e per l'attività compiuta nei singoli ambiti artistici. Ciò riguarda il teatro e la letteratura, ma anche la pittura (le componenti astratte dell'E. e le esperienze dell'absoluter Film condotte da Walter Ruttmann, Viking Eggeling, Hans Richter, Oskar Fischinger). Si tratta di una vicenda indagata da contributi relativi a momenti ed esperienze specifici; manca però un bilancio complessivo e articolato. È una ricerca che potrebbe rivelarsi quanto mai produttiva per lo storico della letteratura, del teatro e delle arti figurative, ma i cui risultati potrebbero valere anche per gli studi sul cinema. Un esempio: nel caso del film Von morgens bis mitternachts l'analisi procede da una comparazione con il testo teatrale e con le rappresentazioni precedenti o quasi coeve. Assai meno frequente è l'indagine delle caratteristiche cinematografiche del copione di partenza di Kaiser: un rovesciamento che potrebbe aprire nuove prospettive critiche.
Das Kinobuch, hrsg. K. Pinthus, Leipzig 1914 (trad. it. Il kitsch e l'anima, Bari 1983).
B. Balázs, Der Sichtbare Mensch oder die Kultur des Films, Wien 1924.
R. Kurtz, Expressionismus und Film, Berlin 1926 (trad. it. Milano 1981).
S. Kracauer, From Caligari to Hitler. A psychological history of the German film, Princeton (NJ) 1947 (trad. it. Cinema tedesco, Milano 1954; Da Caligari a Hitler, nuova ed. a cura di L. Quaresima, Torino 2001).
L.H. Eisner, L'écran démoniaque, Paris 1952, 1965² (trad. it. Roma 1955, 1983² e 1991³).