anaforiche, espressioni
Espressioni anaforiche sono quelle forme linguistiche con cui «il parlante fa riferimento ad un referente al quale egli, nel suo discorso, ha già fatto riferimento con un’espressione antecedente» (Conte 1999: 19). Tra antecedente e espressione anaforica vi può essere una relazione diretta, e allora l’anafora riprende il referente esplicitamente introdotto nel testo dall’antecedente; o indiretta (detta anche associativa), nel qual caso l’anafora denota un referente indirettamente generato dall’antecedente sulla base di dati lessicali, testuali o enciclopedici (➔ anafora).
Le espressioni anaforiche possono essere occasionalmente anaforiche o intrinsecamente anaforiche. Le prime sono anaforiche solo in determinate combinazioni: si tratta, in genere, dei sintagmi nominali e dei sintagmi aggettivali; le seconde, fatti salvi i loro impieghi ➔ deittici, sono anafore tutte le volte che compaiono in un testo: si tratta dei pronomi, delle ellissi del soggetto e dei sintagmi nominali il cui nome testa è un nome generale (come cosa, fatto, situazione, ecc.; ➔ parole generali).
Quanto alla relazione con l’antecedente, le espressioni anaforiche funzionano secondo tre diversi meccanismi: la ripetizione, la sostituzione, la contiguità di significato (Andorno 2003; Lo Duca & Solarino 2004; Mortara Garavelli 1979; Sabatini 19902).
Si ha ripetizione quando la testa lessicale dell’espressione anaforica e quella dell’antecedente lessicale sono uguali. La ripetizione può essere esaustiva totale, come in (1) (da Sabatini 19902: 236) o parziale, come in (2), in cui non vengono ripresi né l’aggettivo né il sintagma preposizionale dell’elemento antecedente:
(1) Le molecole sono l’unione di atomi. Sono possibili due tipi di molecole: in un tipo tutti gli atomi delle molecole sono esattamente identici; nel secondo tipo le molecole contengono due o più atomi. Una sostanza pura fatta da molecole che contengono esclusivamente un tipo di atomo viene chiamata elemento (Dalle molecole all’uomo, a cura del BSCS – Biological Sciences Curriculum Study –, Bologna, Zanichelli, 1980)
(2) I club brasiliani di calcio hanno iniziato ad ingaggiare degli assistenti sociali e degli psicologi per rendere meno traumatico il distacco e non creare turbative familiari. […] I club hanno capito che per fare soldi è necessario investire su strutture alberghiere per ospitare giovani calciatori, maestri di sostegno («La Stampa» 4 agosto 2007).
Si ha sostituzione quando l’anafora indica il referente designato dall’antecedente con un’espressione diversa (cfr. anche Harweg 1968). Le anafore per sostituzione formano un ampio insieme.
(a) Vi è anzitutto la classe dei sintagmi nominali. In questo caso, l’espressione anaforica può essere un sinonimo in senso stretto dell’antecedente, iscritta nello stesso sostantivo o nella sua combinazione con altri costituenti, come negli esempi seguenti:
(3) L’autista ci faceva sobbalzare con le brusche frenate. Al conducente le proteste della gente non facevano alcun effetto.
(4) La nostra epoca ha il gusto e il genio della divisione e della suddivisione. In fisica, si disgrega l’atomo: fino a pochi decenni fa disgregare la particella più piccola degli elementi era impensabile.
L’equivalenza referenziale tra il sintagma nominale anaforico e l’antecedente può avere anche una motivazione testuale, nel qual caso la co-referenza ha senso solo nel mondo evocato dal testo. Lo illustra il seguente brano dei Promessi sposi di Manzoni (ricordato da Sabatini 19902: 250):
(5) La mattina, il [1]promesso sposo si presentò tutto giulivo da [2]don Abbondio per fissare l’ora della cerimonia, ma lo trovò svagato e misterioso. La meraviglia [1]del nostro giovane aumentò quando cominciò a sentirsi fare strani discorsi, con citazioni in latinorum, sulla necessità di rinviare il matrimonio: «impedimenti», «imbrogli» [...] La discussione tra i due interlocutori andò avanti un pezzo, finché [1]Renzo fu indotto ad accettare il rinvio di almeno una settimana. […] Dopo pochi passi incontrò Perpetua e pensò di chiedere a lei qualche chiarimento, ma la donna non disse granché, per non tradire [2]il padrone; tuttavia si lasciò sfuggire un accenno a qualche «prepotente». Tanto bastò per far ingigantire i sospetti nella mente del [1]povero raggirato. Tornò infuriato dal [2]raggiratore e gridando e incalzando lo mise alle strette: finché, sbigottito e con un filo di voce, [2]il pavido reverendo pronunciò il nome di don Rodrigo.
Nella catena anaforica [1] riconducibile a Renzo sono sinonimi testuali il promesso sposo, il nostro giovane, il povero raggirato; in quella [2] di Don Abbondio, abbiamo il padrone, il raggiratore, il pavido reverendo. Istituisce un’equivalenza testuale anche l’espressione i due interlocutori, che si collega sia a don Abbondio sia a Renzo.
Il sintagma nominale anaforico può riprendere il referente dell’antecedente anche con un nome di significato più generale. Può trattarsi di un iperonimo, cioè di un nome che si riferisce alla classe, via via più elevata, che include l’antecedente (da Lo Duca & Solarino 2004: 304):
(6) La campionessa di cross Z.B., considerata la più forte fondista in circolazione, ha annunciato la sua intenzione di interrompere per almeno un anno l’attività agonistica. L’atleta ha accampato motivi di salute ma ...
o di un nome generale: oggetto, fatto, questione, situazione, cosa, ecc.
Il riferimento a un’entità già menzionata può essere effettuato anche tramite i nomi propri e le perifrasi sinonimiche: come quando il sintagma l’inventore della relatività si lega a Einstein o ci si riferisce a Venezia con il sintagma la città lagunare. Rispetto alla ripresa con un nome proprio, quella con un nome comune, grazie anche all’aggiunta di altri costituenti, permette di arricchire la descrizione del referente, che viene così riattualizzato (Andorno 2003: 52), sia per quanto riguarda le sue caratteristiche referenziali sia per quanto riguarda la sua valutazione: pensiamo alle anafore il padrone, il raggiratore, il pavido reverendo con cui in (5) viene evocato don Abbondio.
Quando sono costruiti attorno a un nome comune, i sintagmi nominali anaforici di tipo sostitutivo sono tipicamente accompagnati dall’articolo determinativo o da un dimostrativo: questi, quando denotano uno specifico referente, indicano infatti che esso è già dato, cioè presente nel discorso (➔ dato/nuovo, struttura). La scelta del dimostrativo è più marcata, e dunque meno diffusa, rispetto a quella dell’articolo, anche se (come suggerisce Conte 1999: 104) vi sono casi in cui l’articolo definito non è adeguato. Così in (7), in cui occorre un dimostrativo per poter avere una lettura specifica, e non generica (relativa all’intera classe), del riferimento:
(7) Ho fatto piantare due ippocastani nel mio giardino. Questi alberi/*Gli alberi fanno molta ombra.
Il dimostrativo può essere scelto a fini di disambiguazione quando i potenziali antecedenti sono due: ciò vale anche per i pronomi dimostrativi, come nel caso (8), in cui quello evoca il referente più lontano nel testo e questo il più vicino (Lo Duca & Solarino 2004: 312):
(8) Avevo comprato sia il pane che il burro, ma quello era vecchio di almeno due giorni, questo era addirittura rancido.
L’elemento dimostrativo può servire inoltre a indicare, in generale, che l’entità di cui si parla è appena stata nominata, il che diventa necessario o preferibile se il nome non è capace da solo di compiere quel particolare riferimento, come nel caso seguente:
(9) Una porta spalancata, un paio di scarpe da tennis azzurre, una ragazza uccisa da venti coltellate. La giornalista Michela Canova parte da questi scarsi elementi per una sua personalissima indagine sull’omicidio (Dacia Maraini, Voci, Milano, Rizzoli, 1999, quarta di copertina)
La scelta di un determinante dimostrativo al posto dell’articolo determinativo può essere giustificata ancora da vicinanza o lontananza affettive, o empatiche (➔ anafora):
(10) Il Teschio ha cominciato a dire che Melichetti era un pezzo di merda. E sapeva per certo che quel vecchio scemo aveva dato il bassotto da mangiare ai maiali (Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Milano, Garzanti, 2001, pp. 15-16)
(b) Le anafore per sostituzione possono realizzarsi anche in forma di aggettivi possessivi, come in (11):
(11) Accade così che lo Stato rimanga un terreno inespugnato ed inespugnabile per le culture politiche italiane nate nelle aree socialmente forti e dinamiche del paese. Le loro ansie di rinnovamento finiranno regolarmente per sbriciolarsi nell’urto contro i colli fatali di Roma (Ernesto Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna, il Mulino, 1998, p. 80)
o come forme verbali dal significato generale unite a sintagmi nominali, pronomi o avverbi pronominali; lo mostrano le seguenti formulazioni alternative (Mortara Garavelli 1979: 47):
(12) dovrei punirti, ma non lo farò/ma non agirò così/non terrò tale comportamento
(c) Le anafore sostitutive possono manifestarsi come avverbi pronominali. Il testo (13) (da Sabatini 19902: 211) offre un esempio di natura locativa:
(13) [François Mitterand] Si è fermato a Montchanin per pronunciare un breve discorso, e poi ha preso posto nella cabina di pilotaggio, restandovi fino alla capitale. Qui avrebbe dovuto partecipare in diretta al programma televisivo dedicato alla nuova prestigiosa realizzazione nazionale ... («Corriere della sera» 23 settembre 1982)
(d) L’anafora sostitutiva è realizzata inoltre dall’ampia classe dei pronomi, per es. da pronomi personali, come quelli sottolineati in (14), riconducibili a Uto e a gli scarponi:
(14) Così Uto Drodemberg slaccia le fibbie dei suoi scarponi da motociclista, con le dita che gli scivolano dalla stanchezza e la rabbia e il senso di umiliazione, se li sfila e li appoggia sulla scarpiera, come se non gli costasse il minimo sforzo (Andrea De Carlo, Uto, Milano, Bompiani, 2007, p. 18)
o da pronomi dimostrativi:
(15) Qui [François Mitterand] avrebbe dovuto partecipare in diretta al programma televisivo dedicato alla nuova prestigiosa realizzazione nazionale, ma questo è stato annullato a causa delle cattive condizioni atmosferiche («Corriere della sera» 23 settembre 1982)
(e) Rientra nell’insieme delle anafore per sostituzione anche quel particolare tipo di ellissi che è il soggetto non espresso (o sottinteso):
(16) Il marito era morto tre anni prima, di una brutta morte. [soggetto sottinteso] Era stato attratto da una strega contadina con dei filtri d’amore, ed [soggetto sottinteso] era diventato il suo amante. Era nata una bambina (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Milano, Mondadori, 1945, p. 19)
Si tratta di un tipo di anafora molto diffuso in italiano, che – a differenza per esempio del francese o del tedesco – accetta il cosiddetto soggetto zero, vale a dire presente nella struttura sintattica ma non realizzato fonologicamente (➔ personali, pronomi; ➔ soggetto).
L’anafora per contiguità semantica si realizza quando il legame anaforico con il co-testo è indiretto (o associativo): vale a dire quando il referente non è esplicitamente introdotto dall’antecedente, ma generato indirettamente, e in vari modi, da questo (➔ anafora). Nel seguente esempio, il sintagma nominale tante donne si lega a una ragazza uccisa in modo indiretto, allargando lo sguardo dall’elemento all’insieme di cui esso fa parte:
(17) Una porta spalancata, un paio di scarpe da tennis azzurre, una ragazza uccisa da venti coltellate. [...] Perché tante donne sono violentate e uccise? Perché, spesso, aprono spontaneamente la porta a chi poi le assale? (Maraini, Voci, cit., quarta di copertina)
La contiguità semantica tra anafora e antecedente può avere un fondamento enciclopedico, come in (18), in cui la connessione tra la pianura padana e l’Italia si basa su un sapere di tipo geografico:
(18) L’Italia si distingue anzitutto per la sua centralità nell’insieme del continente europeo. La pianura padana costituisce il tramite più breve, ed assai facilmente transitabile nell’accesso da oriente (Galli della Loggia, cit., p. 14, con adattamenti)
oppure può essere sostenuta anche da relazioni semantiche tra le parole coinvolte nel legame anaforico. In questo caso, la connessione tra parole può prendere la forma di una semplice appartenenza allo stesso campo semantico, come con i nomi di parentela:
(19) Sono nato trent’anni fa sul tavolo di un’osteria della posta, o almeno così mi dissero quando fui in età di ragione. Mia madre era una commediante girovaga e passava di terra in terra (Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, Milano, Bompiani, 1988, p. 81)
o di relazioni semantiche più specifiche. Tra le più caratteristiche, vanno ricordate la relazione parte-tutto (illustrata in 20 tramite il collegamento di la facciata rustica, tutte le cornici, ecc. con la casa) e la connessione semantica con base morfologica (illustrata anch’essa in 20 ove i nidi di creta, ecc. si collega ad avevano nidificato):
(20) Come in un sogno stava d’innanzi a noi la casa. Su la facciata rustica, per tutte le cornici, per tutte le sporgenze, lungo il gocciolatoio, sopra gli architravi, sotto i davanzali delle finestre, sotto le lastre dei balconi, tra le mensole, tra le bugne, dovunque le rondini avevano nidificato. I nidi di creta innumerevoli, vecchi e nuovi, agglomerati come cellette di un alveare lasciavano pochi intervalli liberi (Gabriele D’Annunzio, L’Innocente, Milano, Mondadori, p. 155)
Altre relazioni tra parole sfruttate nell’associazione anaforica sono: l’iponimia, che si realizza quando l’anafora denota un referente appartenente alla stessa classe dell’antecedente ma di natura più specifica; l’iperonimia, che è il rapporto inverso, illustrato nell’esempio (17) dalla connessione dell’anafora tante donne con la ragazza uccisa. Un’altra categoria di elemento anaforico è costituita dagli ➔ incapsulatori.
Un’anafora associativa può ancora fondarsi sull’opposizione di significato, in una delle sue tante forme:
(21) Nell’omosessualità maschile la dimensione genitale è uno dei fattori più importanti che sostiene la relazione [...]: ciò di cui si va in cerca è la dimensione sessuale piuttosto che quella spirituale. Nella omosessualità femminile, invece, ciò che è davvero importante non è tanto la sessualità quanto l’amicizia (Aldo Carotenuto, Amare tradire, Milano, Bompiani, 1991, p. 154).
Nella costruzione dei testi, la scelta delle espressioni anaforiche non è del tutto libera (cfr. Berretta 1990, Korzen 2001): in alcuni casi, si riscontrano tendenze nette, che, se disattese, danno luogo a malformazioni della coesione (➔ coesione, procedure di).
Nella tradizione italiana, il grado di tolleranza della ripetizione lessicale con funzione anaforica è per esempio strettamente connessa ai tipi di testo (➔ testo, tipi di). I testi scientifici – soprattutto quelli con obiettivo didattico (cfr. l’es. 1) – e i testi giuridici normativi ne accettano un’alta concentrazione e la manifestazione a contatto, cioè in frasi contigue. Ciò accade perché essi fanno uso di terminologia tecnica sprovvista di sinonimi e perché, in generale, devono essere non ambigui e molto vincolanti dal punto di vista interpretativo.
Nella scrittura d’altro genere, le anafore per ripetizione vengono utilizzate per lo più se l’antecedente è a distanza. Quando si realizzano a contatto, sono tipicamente legate a particolari motivazioni. Le si incontra per esempio nel caso in cui vi sia più di un antecedente possibile, in modo da permettere una corretta individuazione del referente, come nel seguente esempio (da Sabatini 19902: 254), in cui l’uso dell’introduttore relativo senza ripetizione accetta un aggancio sia a il dibattito sia a il problema:
(22) si fa sempre più acceso il dibattito sul problema delle pensioni, dibattito che ormai si prolunga da varie settimane
La ripetizione a contatto viene scelta, ancora, quando si voglia insistere sul referente contrapponendolo a possibili alternative:
(23) Francesca ha accettato, perché Francesca, a differenza di te, è una persona generosa
Per il meccanismo della sostituzione, la situazione è particolarmente complessa. Va osservato anzitutto che la scelta di un sintagma nominale al posto di un pronome si giustifica nei casi in cui sia disponbile più di un antecedente. Questa stessa preferenza si manifesta, poi, quando con l’anafora non si voglia solo mantenere lo stesso referente, ma si desideri inserire nel testo un arricchimento, aggiungendo tratti descrittivi (pensiamo a tutti i casi in cui un nome proprio è ripreso da un sintagma nominale che definisce l’identità, la funzione, la collocazione, ecc. del referente in tutti gli ambiti pertinenti) o valutativi (come quando don Abbondio è definito il pavido reverendo). Al di fuori di questi due casi, vale il seguente principio interpretativo (Korzen: 2001; Berretta: 1990): nell’anafora sostitutiva, più il referente è saliente nel mondo testuale, più la sua rappresentazione attraverso la lingua può essere semanticamente ‘povera’, più ci sono cioè probabilità che venga scelto un nome generale, un pronome o un soggetto sottinteso.
La salienza testuale si fonda su diversi tipi di proprietà, che operano spesso in combinazione. Una di queste riguarda la distanza dell’antecedente nel testo: più questo è distante, più è necessario ricorrere a una sua ri-nominalizzazione attraverso un nome proprio o un sintagma nominale semanticamente ricco. La salienza è determinata anche dalla struttura del testo (➔ testo, struttura del). Così per es., quando si passa da un tipo di sequenza testuale a un’altra (narrazione-descrizione, esposizione-argomentazione, ecc.), la salienza dei referenti diminuisce e si tende a evitare il pronome e a scegliere o la sostituzione lessicale o la ripetizione.
Questa tendenza spiega perché all’inizio di un capoverso, che è spesso associato a uno scarto nella struttura del testo, si ha per lo più un sintagma nominale pieno anche se il referente è appena stato nominato. Nell’esempio seguente (Korzen 2001: 113), non si ha selezione del pronome o del soggetto sottinteso sia perché l’antecedente è testualmente (abbastanza) distante sia perché vi è il passaggio da una sequenza presentativa a una sequenza descrittiva in senso stretto:
(24) C’è una strada che a Borgoforte, provincia di Mantova, segue l’argine del Po fino ad un punto in cui il fiume Oglio si innesta nel Po, e lì sull’Oglio c’è uno dei rari ponti di barche rimasti in piedi, tra i tanti che esistevano in queste zone. Quella strada non è asfaltata, tranne per un tratto iniziale. Intorno ci sono molte vecchie case in rovina (Gianni Celati, Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 60).
Andorno, Cecilia (2003), Linguistica testuale. Un’introduzione, Roma, Carocci.
Berretta, Monica (1990), Catene anaforiche in prospettiva funzionale: antecedenti difficili, in Anaphoric relations in sentence and text, edited by M.E. Conte, «Rivista di linguistica» 2, pp. 91-120.
Conte, Maria-Elisabeth (1999), Deissi testuale e anafora, in Ead., Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, Alessandria, Edizioni dell’Orso [riedizione ampliata del volume edito nel 1988 a Firenze per i tipi La Nuova Italia], pp. 11-27.
Harweg, Roland (1968), Pronomina und Textkonstitution, Fink, München.
Korzen, Iørn (2001), Anafore e relazioni anaforiche: un approccio pragmatico-cognitivo, «Lingua nostra» 62, 3-4, pp. 107-126.
Lo Duca, Maria G. & Solarino, Rosaria (2004), Lingua italiana. Una grammatica ragionevole, Padova, Unipress.
Mortara Garavelli, Bice (1979), Il filo del discorso. Corso di linguistica applicata. Anno accademico 1978-79, Torino, Giappichelli.
Sabatini, Francesco (19902), La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica dei testi, analisi logica, storia della lingua. Scuole secondarie superiori, Torino, Loescher (1a ed. La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica, analisi e storia della lingua italiana. Scuole secondarie superiori, 1984).