Spazio, esplorazione dello
di Paolo Santini
SOMMARIO: 1. Le missioni spaziali. 2. Gli enti spaziali. 3. Sistemi di trasporto spaziale: a) l'Ariane; b) i vettori Chang Zheng (Lunga Marcia); c) lo Space Shuttle; d) l'Energia e il Proton; e) l'H 2 e il Tsyklon. 4. Le nuove missioni scientifiche. 5. Le stazioni spaziali: a) il progetto Mir; b) i progetti statunitensi. 6. L'esplorazione dello spazio: a) la Luna; b) Marte. 7. I piccoli satelliti. 8. Il ruolo dell'Italia. □ Bibliografia.
1. Le missioni spaziali
Con l'espressione ‛missione spaziale' si intende il complesso delle attività che si vuole far eseguire a una sonda, a un'astronave, a un satellite, lanciati generalmente dalla Terra, anche se in alcuni casi ci si può riferire al lancio da stazioni spaziali, a loro volta raggiunte mediante una missione spaziale (v. cap. 5).
La missione viene caratterizzata in base ai seguenti elementi: 1) tempo, o epoca, del lancio; 2) poligono di lancio (ad esempio, Cape Canaveral, in Florida, o Vanderberg, in California, per gli Stati Uniti; Baikonur, nel Caucaso, per la Russia; Kourou, nella Guiana Francese, per l'ESA; San Marco, in Kenya, per l'Italia); 3) tipo di missione (orbitale, transorbitale, abitata, non abitata); 4) sequenza di eventi (lancio, acquisizione dell'orbita, compimento delle operazioni assegnate, partenza verso la Terra, rientro; missioni più complesse comportano il sorvolo di pianeti - per ispezionarli o per sfruttare l'energia cinetica fornita dal pianeta stesso, il cosiddetto ‛calcio planetario'; v. Santini, 1995 - e il rilascio di sistemi destinati all'atterraggio). Inoltre, a seconda degli scopi della missione viene fissato il ‛carico utile', chiamato anche ‛carico pagante' o payload, ossia l'insieme delle attrezzature per le misure e/o del personale le cui operazioni costituiscono l'obiettivo della missione. Nel caso, ad esempio, di missioni scientifiche o di osservazione, si tratta della strumentazione atta a rilevare i parametri da misurare e a ritrasmetterli a Terra. Per questo scopo è necessario disporre anche di stazioni al suolo che effettuino ricezioni o assolvano compiti di telemetria e/o di inseguimento (tracking) dei corpi spaziali lanciati. Va osservato che i carichi paganti stanno diventando sempre più sofisticati e delicati.
Nell'analisi di una missione va anche tenuto conto dell'ambiente spaziale, devono cioè esser prese in considerazione le condizioni in cui la missione stessa deve svolgersi, quali ad esempio il campo gravitazionale e l'atmosfera terrestri, l'effetto dei corpi celesti, le particelle cosmiche (vento solare), i meteoriti e i detriti spaziali prodotti dalla decomposizione dei satelliti (i detriti, urtandosi fra loro, producono una specie di reazione a catena che genera una certa preoccupazione negli operatori spaziali). Alcuni di questi fattori sono prevedibili, altri no. Va comunque ricordato che, durante il volo, il veicolo spaziale è continuamente controllato nei suoi parametri esterni (coordinate rispetto a un sistema di riferimento, assetto) e interni o di housekeeping (ad esempio, temperatura, pressione, ecc.), e che inoltre va costantemente effettuato il ‛monitoraggio' di tutti i sistemi di bordo.
Le missioni orbitali si svolgono in condizioni di microgravità. Se si considera, per semplicità, un'orbita circolare, si ha una forza gravitazionale che diminuisce con il quadrato della distanza dal centro della Terra, a cui si contrappone una forza centrifuga che cresce invece all'aumentare della distanza. Queste due forze sono uguali, e quindi in equilibrio, solo in un punto, cioè nel centro di massa; negli altri punti la differenza tra di esse (gravità apparente) non è nulla, anche se piccolissima (dell'ordine del milionesimo di quella che mantiene in orbita il veicolo spaziale): è appunto questa differenza che viene definita microgravità, che può avere effetti rilevanti sui fenomeni che avvengono a bordo.
Tra le orbite più importanti va segnalata l'orbita geostazionaria, un'orbita circolare equatoriale cui corrisponde una velocità angolare pari a quella della rotazione terrestre, per cui un satellite posto su tale orbita appare immobile rispetto alla Terra, in una posizione definita unicamente dalla longitudine, in quanto l'altezza è determinata (circa 36.000 km). L'orbita geostazionaria è stata per lungo tempo l'unica possibile per i satelliti per telecomunicazioni, anche se possono essere impiegati altri sistemi - che presumibilmente saranno sempre maggiormente utilizzati in futuro - basati però su un numero talvolta assai grande di satelliti (costellazioni). Importanti sono anche le orbite polari (che si svolgono in un piano meridiano terrestre) e orbite del tipo di quelle del sistema Molniya, caratterizzate da elevate velocità nelle vicinanze del perigeo (il punto dell'orbita più vicino alla Terra) e piccole velocità all'apogeo (il punto più distante), di modo che, nelle zone di interesse, si può disporre di un tempo abbastanza lungo di osservazione o di ricezione a Terra.
2. Gli enti spaziali
La tecnologia e le attività spaziali hanno raggiunto un livello così elevato di complessità che si sono resi necessari mezzi e organismi di raccordo e di coordinamento tra le varie fasi e le diverse componenti della comunità spaziale. Tali componenti sono, da sempre, gli enti di ricerca (comprese le università), le industrie, le strutture politiche e statali.
La funzione delle prime due è evidente, anche se bisogna rendersi conto che il loro lavoro deve necessariamente seguire modalità basate su forme di collaborazione, nazionale o internazionale, a causa delle dimensioni, del costo e, ancor più, del carattere fortemente interdisciplinare dell'attività spaziale in ogni suo aspetto.
La funzione delle strutture politiche (governative e intergovernative) è dettata invece soprattutto dai forti investimenti richiesti dal settore spaziale, i quali debbono corrispondere a precise esigenze generali. Così, ad esempio, la decisione di procedere alla costruzione di un lanciatore europeo fu presa dal Consiglio dei ministri della ricerca dei paesi dell'ESA (European Space Agency), nella consapevolezza che un'attività indipendente doveva poter contare su mezzi di lancio propri. Si trattò quindi di una vera e propria scelta politica, anche se dettata da precise esigenze tecniche. Per questo motivo, esistono da tempo enti nazionali e internazionali, che coordinano il lavoro spaziale a vari livelli, ai quali è devoluto il compito di organizzare, decidere e controllare le spese sostenute e i risultati raggiunti. La più grande, e la più importante, di tali agenzie è senz'altro la NASA (National Aeronautics and Space Administration) che opera sotto questo nome dal 1958, anno in cui prese il posto della NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), che era stata istituita negli anni venti. Come è evidente dal nome stesso, la NASA si occupa anche del settore aeronautico, pur se in misura ridotta, dato che l'attività aeronautica, nonostante la sua imponenza, ha minore necessità di supporti statali. La NASA, comunque, non ha solo compiti gestionali, in quanto a questo ente fanno capo anche centri di ricerca scientifica e tecnologica altamente qualificati. Può dare un'idea delle sue dimensioni la cifra del bilancio di previsione per il 1998, che ammonta a 12,9 miliardi di dollari, con una leggera flessione rispetto al 1997 (13,1 miliardi di dollari); la tab. I indica come è stato ripartito il bilancio complessivo tra le varie attività negli anni più recenti.
Anche la maggior parte degli altri paesi impegnati nelle attività spaziali si è dotata di agenzie statali, o comunque pubbliche, che rappresentano i propri paesi presso gli enti internazionali. Quasi sempre, poi, esse promuovono, gestiscono e coordinano i programmi nazionali (che in realtà, nella maggioranza dei casi, sono frutto di accordi bilaterali o multilaterali). Citiamo alcune delle più importanti di tali agenzie con il loro bilancio: 1) DARA (Deutsche Agentur für Raumfahrt Angelegenheiten; Germania), con 1 miliardo di dollari; 2) CNES (Conseil National d'Études Spatiales; Francia), con 2,3 miliardi di dollari; 3) NASDA (National Aero-Space Development Agency; Giappone) con 1,5 miliardi di dollari, in continua crescita; 4) RKA (Russkaja Kosmiceskaja Aghienzija; Russia), con 0,9 miliardi di dollari per il 1997, nonostante le continue difficoltà nel reperire i finanziamenti; 5) INRO (Indian National Research Organization; India), con 0,8 miliardi di dollari; 6) ASI (Agenzia Spaziale Italiana) con un bilancio di 1.000 miliardi di lire. Va comunque notato che le cifre suddette non possono costituire la base di un confronto, dal momento che non tutte le agenzie costituiscono, nei rispettivi paesi, l'unico centro di finanziamento e di spesa in campo spaziale.
Per ciò che riguarda gli enti spaziali internazionali, l'idea di istituire un ente spaziale europeo nacque nell'immediato dopoguerra e fu realizzata negli anni settanta con la creazione dell'ESA, che venne successivamente ingrandita e sviluppata. All'ESA partecipano 14 nazioni; queste non coincidono esattamente con i paesi dell'Unione Europea, ma tra i due organismi esistono rapporti informali e cordiali. Gli Stati aderenti all'ESA - Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Eire, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Svizzera - partecipano alla gestione e al finanziamento dell'ente con quote variabili da Stato a Stato. Tuttavia l'ESA non è un ente puramente di gestione, in quanto da essa dipendono vari centri di ricerca; sotto le direttive di un Consiglio centrale, l'Agenzia assegna e ripartisce le commesse di lavoro relative ai suoi programmi tra i vari Stati partecipanti - in termini di appalti, distribuzione di risorse, posti di lavoro - in misura quasi proporzionale al rispettivo impegno economico. Il bilancio dell'ESA per il 1997 ammontava a 2,8 miliardi di dollari.
Tra gli organismi internazionali non vanno dimenticati quelli formati dai paesi emergenti, come la Conferencia Internacional de las Américas, che raggruppa e coordina, sia pure in forma non ufficiale, le attività spaziali delle nazioni del continente americano, ma che è ovviamente rivolta soprattutto a promuovere iniziative tra gli Stati dell'America Latina.
In questa breve rassegna non possiamo dimenticare gli enti internazionali di cultura spaziale. La IAF (International Astronautical Federation) promuove annualmente un importantissimo congresso, giunto nel 1997 alla sua 48a edizione, che costituisce l'occasione per scambiare idee e risultati e per mantenere i contatti tra tutti gli operatori del settore. Analoga funzione svolge il COSPAR (Committee for Space Research), che rivolge la sua attenzione ai contributi scientifici arrecati alla fisica dalla ricerca spaziale. Infine va ricordata anche l'importante funzione della IAA (International Academy for Astronautics), alla quale appartengono i migliori specialisti mondiali in campo spaziale. Nel corso dei congressi di queste organizzazioni sono stati assai spesso presentati gli eventi più significativi del settore, specie agli inizi dell'era spaziale.
3. Sistemi di trasporto spaziale
Varie nazioni hanno costruito mezzi di trasporto spaziale (v. tab. II); alcuni dei principali vettori saranno trattati più ampiamente dato il loro particolare rilievo per la storia recente dell'esplorazione dello spazio.
a) L'Ariane.
Come si è visto (v. spazio, la conquista dello, vol. VIII), il programma Ariane è uno dei cardini della politica e della tecnologia spaziale europea. Già dagli anni sessanta, molto prima della costituzione formale dell'ESA, alcune nazioni europee, tra cui l'Italia, avevano deciso di sviluppare un vettore di lancio che potesse rendere l'Europa indipendente, anche se non in misura totale, dal monopolio economico e politico delle grandi potenze spaziali. Dopo il fallimento dei vettori della serie Europa si è passati al programma dei lanciatori Ariane, di cui si sono avute finora cinque versioni. La fig. 1, relativa ai primi 86 lanci di Ariane rispetto ai 100 finora effettuati (esclusi quelli di Ariane 5), permette di rendersi conto del continuo incremento della percentuale di lanci riusciti e della potenzialità, misurata in base ai successivi aumenti del carico pagante: infatti, si è passati dai 1.935 kg dell'Ariane 1 (1979) ai 6.800 kg dell'Ariane 5 (1996), che però ha fallito il primo volo di prova e ha avuto un successo parziale nel secondo, e può quindi essere preso in considerazione solo come sistema di trasporto da rendere ancora operativo. Va sottolineato che i valori indicati nella figura rappresentano valori medi e indicativi, in quanto l'Ariane 4, ad esempio, ha una capacità di carico pagante che varia dai 1.900 kg per l'orbita di trasferimento geostazionaria ai 5.000 dell'orbita eliosincrona (apparentemente immobile rispetto al Sole) o dell'orbita terrestre bassa.
La fig. 2 mostra l'andamento temporale dei costi di sviluppo delle varie fasi: tra questi spicca l'enorme costo del programma Ariane 5, che ammonta a oltre 6.500 milioni di Ecu, corrispondenti a circa 13.000 miliardi di lire. Naturalmente, a un impegno economico tanto imponente non poteva non corrispondere un altrettanto imponente sforzo di commercializzazione dei prodotti del programma (a partire dall'Ariane 1); questo sforzo ha richiesto la costituzione di una società, l'Arianespace, a capitale prevalentemente francese, il cui compito è stato - ed è tuttora - essenzialmente quello di negoziare e stipulare con enti e governi contratti di lancio ed effettuare quindi i lanci stessi con proprio personale, assistito da personale dell'industria. Una parte non trascurabile dei costi di lancio è rappresentata dai premi assicurativi, che in tutto il mondo hanno recentemente raggiunto dimensioni fino a poco tempo fa impensabili.
Certamente una tappa fondamentale del programma è stata rappresentata dall'Ariane 4, che ha avuto, e ha tuttora, un grande successo tecnologico e commerciale. La decisione di procedere allo sviluppo del progetto Ariane 4 fu presa dall'ESA all'inizio del 1982 e ha comportato un notevole impegno finanziario da parte dell'Agenzia e dei paesi partecipanti (v. spazio, la conquista dello, vol. VIII). I più importanti obiettivi fissati all'inizio del programma possono essere così riassunti: a) aumento considerevole della capacità di lancio (valutata in termini di massa e di volume del carico pagante) rispetto alle versioni precedenti; b) mantenimento della capacità di lanci multipli; c) creazione di una gamma di configurazioni adattabili a varie missioni; d) miglioramento della flessibilità delle operazioni di lancio.
Lo sviluppo del programma e la qualificazione tecnica hanno richiesto sei anni di lavoro e il primo lancio riuscito risale al 15 giugno 1988. Da allora l'Ariane 4 ha costituito il principale sistema di lancio per i programmi non solo europei, nazionali e comunitari, ma anche di alcuni paesi extraeuropei. Il programma iniziale prevedeva la costruzione di 70 esemplari, con una possibile permanenza in servizio fino al 1998; tale data è stata spostata in un primo tempo al 2000, a causa dei ritardi subiti dal programma Ariane 5, e successivamente al 2002, per il forte numero di ordinazioni pervenute. All'Ariane 4 partecipano circa 250 ditte con 10.000 addetti.
Assai più ambizioso è stato il programma Ariane 5 che, già in progetto da molti anni (v. spazio, la conquista dello, vol. VIII), ha avuto inizio nel 1987 e ha visto il primo lancio nel giugno 1996. Già dalle due figure precedenti appare chiaro il considerevole aumento delle dimensioni e della potenzialità del vettore, aumento che giustifica l'entità del costo totale. I due lanci di prova (AR 501 e 502) avrebbero dovuto concludere la fase di sviluppo di un programma decennale, che inizialmente prevedeva un primo volo nell'aprile 1995, e che ha subito vari ritardi.
Ariane 5 costituirà certamente il primo lanciatore concepito e realizzato nel quadro di una sostanziale economia, imposta dalle crescenti difficoltà di bilancio dei vari possibili utenti. Questo obiettivo, nelle intenzioni dei costruttori, doveva essere raggiunto non tramite una riduzione dei prezzi di vendita, ma fornendo allo stesso prezzo un carico pagante assai più elevato di quello di Ariane 4. Inoltre, negli intenti dei responsabili del programma, l'affidabilità di Ariane 5 avrebbe dovuto raggiungere il 98,5%, un obiettivo che si rendeva necessario a causa del tipo di missioni a cui era destinato, e cioè orbite geostazionarie o veicoli abitati in orbita bassa. Questo secondo ruolo è diventato ancora più importante dopo la cancellazione - decisa nel 1992 dai ministri della ricerca scientifica dell'ESA - del programma Hermes, che è stato limitato a ricerche pilota nel settore della dinamica dei fluidi fortemente ionizzati e rarefatti.
Dal punto di vista tecnologico, l'Ariane 5 presenta importanti innovazioni e miglioramenti rispetto all'Ariane 4; ricordiamo, tra i principali, l'aumento di 15 volte della capacità del serbatoio per lo stadio criogenico, un indice strutturale tra i migliori del mondo (con una massa al decollo di 710 t per una massa a vuoto di 12,5 t) e un calcolatore centrale di bordo circa 20 volte più grande e potente. Al programma Ariane 5 partecipano 250 ditte, per un totale di 6.000 addetti (la riduzione di personale rispetto ad Ariane 4 è dovuta alla crescente automazione dei mezzi di produzione), con la seguente ripartizione di bilancio: Francia 46,2%, Germania 22%, Italia 15%, Belgio 6%, Spagna 3%, Paesi Bassi 2,1%, Svezia 2%, Svizzera 2%, Norvegia, Danimarca, Austria e Irlanda con contributi minori. Tali percentuali sono suscettibili di aggiornamenti e di variazioni. È intanto allo studio il programma Ariane 5 Evolution, la cui operatività è prevista per il 2003.
Il primo lancio di prova di Ariane 5, contrassegnato, come si è detto, dalla sigla AR 501, fu effettuato il 4 giugno 1996, ma il risultato fu un fallimento. Può risultare interessante riportare la storia del volo fallito del primo Ariane 5 e i risultati dell'inchiesta condotta dalla commissione incaricata subito dopo l'incidente. Il volo si era svolto regolarmente fino a 36 secondi dopo il lancio, quando, a una quota di 4.000 m, i sistemi di guida del vettore, in particolare quelli inerziali, cessarono di fornire informazioni corrette provocando la perdita di assetto e il conseguente fallimento della missione. Tali sistemi provenivano, praticamente senza modificazioni, da Ariane 4, e proprio per questo motivo non si era ritenuto necessario effettuare prove particolari per adattarli al nuovo razzo. Le reazioni successive sono facilmente immaginabili. L'allora direttore generale dell'ESA ammise le proprie e le altrui responsabilità, ma, di fatto, nessuna sanzione fu imposta e - se si prescinde dalla normale rotazione che rientra nella prassi dell'ESA come di ogni altro organismo internazionale - nessun dirigente fu sostituito.
La perdita complessiva causata dal fallimento del lancio ammonta a circa 1.000 miliardi, cifra alla quale va aggiunto il costo del payload, consistente in quattro satelliti Cluster da mettere in orbita, per un valore di circa altri 800 miliardi. Una delle principali critiche mosse alla missione è stata proprio quella di voler effettuare nel primo lancio di un nuovo vettore un esperimento di grande valore, difficoltà e costo. I quattro satelliti Cluster, infatti, ciascuno del peso di 1,2 t, dovevano essere posti in un'orbita polare di 125.000 km di apogeo e 25.000 km di perigeo, per formare successivamente un tetraedro, configurazione ottimale per la misura del plasma in tre dimensioni. Altri esperimenti previsti, la cui preparazione aveva richiesto tredici anni di lavoro, riguardavano la misura del vento solare. La commissione d'inchiesta, oltre a individuare le cause del disastro, ha formulato le raccomandazioni per la continuazione del programma. Il programma di qualificazione del vettore messo a punto dopo il lancio fallito prevedeva il successivo volo di prova (AR 502) tra febbraio e marzo 1997 con un carico utile meno sofisticato (due satelliti per telecomunicazioni). Dopo cinque o sei mesi avrebbe dovuto aver luogo il terzo lancio di prova, AR 503, il cui vettore avrebbe dovuto effettuare il primo volo commerciale; con ciò l'Ariane 5 sarebbe stato definitivamente qualificato.
Il secondo lancio di prova ha subito rinvii su rinvii, causati da difficoltà tecniche. Il 30 ottobre 1997 il lancio è finalmente avvenuto, stavolta con un carico pagante assai meno sofisticato e costoso del primo; inoltre, l'orbita ottenuta non è stata esattamente quella prevista. Il terzo lancio è programmato per gli ultimi mesi del 1998 e comporterà alcune modifiche al sistema di controllo d'assetto. I vettori Ariane, nelle varie versioni, vengono lanciati dal poligono di Kourou, che trovandosi vicino all'equatore è adattissimo per il lancio di satelliti geostazionari, quali quelli per telecomunicazioni. Va ricordato che il primo poligono equatoriale costruito al mondo è stato l'italiano San Marco, su una piattaforma al largo delle coste del Kenya (v. cap. 8). Il poligono di Kourou, eccellente dal punto di vista delle installazioni di lancio, lo è un po' meno dal punto di vista di quelle del check pre-lancio, che appaiono inadeguate per il ritmo che si vorrebbe raggiungere, di 10-12 lanci l'anno.
b) I vettori Chang Zheng (Lunga Marcia).
La Cina è stata sempre un paese che ha sviluppato importanti programmi in campo spaziale; tuttavia, finché il Congresso della IAF tenutosi a Pechino nell'ottobre 1996 non fornì dati più precisi, scarse erano le notizie sui successi e/o gli insuccessi ottenuti.
Un'attività spaziale vera e propria ebbe inizio in Cina nel 1970, con la costruzione del vettore CZ-1 (Chang Zheng, Lunga Marcia) - denominazione intesa evidentemente a celebrare i fasti del regime di allora - e il lancio del satellite DFH 1, che doveva effettuare ricerche sulla distribuzione di particelle ad altissima quota (439 km di perigeo, 2.384 di apogeo) e aveva una massa di appena 173 kg. Da allora sono stati compiuti molti progressi, con diversi nuovi lanciatori sempre della serie Chang Zheng (il più recente è CZ-4), ma anche quelli delle serie precedenti sono ancora impiegati; si tratta infatti di una questione di dimensioni. La tab. III fornisce alcuni dei più importanti dati relativi ai satelliti cinesi.
Come si vede, non mancano esempi di orbite equatoriali geostazionarie che possono essere ottenute o effettuando il lancio da un poligono equatoriale, come il San Marco o Kourou, oppure predisponendo l'iniezione su un'orbita iniziale inclinata e attuando poi il trasferimento attraverso costosissime manovre che comportano un notevole dispendio energetico, nonché l'impiego di sofisticati sistemi di guida e controllo in base alla tecnica ‛a zampa di cane' (doglegging), così chiamata perché tale è la forma che assume la proiezione dell'orbita sulla superficie terrestre.
I carichi utili, già dal 1975, sono stati dell'ordine di varie tonnellate (competitivi, quindi, rispetto ai satelliti lanciati dalle altre potenze spaziali), spesso con orbite fortemente eccentriche e con inclinazioni assai forti (dell'ordine di 60-70°) da porre in relazione alla latitudine del poligono di lancio (dato che l'inclinazione orbitale non può essere inferiore alla latitudine del poligono).
Tra i programmi futuri spicca lo studio di un lanciatore pesante, capace di porre un satellite di 20 t in orbita bassa e quindi adeguato al trasporto di una mininavetta, e degli elementi di una stazione spaziale di cui, sembra, sia già stato iniziato lo studio negli uffici di progettazione e sviluppo della CASC (China Space Corporation).
Ma attualmente il vero problema dei lanciatori cinesi è il recupero della credibilità che, già messa in discussione da una serie di incidenti verificatasi nel biennio 1991-1992, è stata ulteriormente scossa da un nuovo susseguirsi di insuccessi a partire dal gennaio 1995: fino alla metà del 1996, su sei lanci di varie edizioni dei Chang Zheng, si sono avuti ben tre fallimenti. Di conseguenza, l'affidabilità dei vettori cinesi, che nei primi venti anni di attività era stata assai elevata (fino al 78%), è scesa nell'arco degli ultimi anni ed è attualmente del 50%.
Questa situazione è fonte di notevoli preoccupazioni per i possibili clienti dell'industria cinese, come ad esempio l'americana Echostar, che aveva già lanciato un primo satellite nel dicembre 1995 e che si è poi rivolta, per la continuazione dei suoi programmi, a fornitori statunitensi ed europei. I dirigenti cinesi sono consapevoli di questa situazione, al punto che il presidente della Accademia cinese dei lanciatori ha dichiarato pubblicamente che la priorità non sta più nel fornire satelliti a basso costo, ma nel migliorare l'affidabilità dei Chang Zheng.
Un passo avanti, almeno dal punto di vista della credibilità, si è avuto con il lancio - coronato da successo - del satellite nazionale di telecomunicazioni DFH 3A2, con un Chang Zheng CZ-3A; è stato questo il secondo lancio riuscito di questo razzo, dopo il volo inaugurale del novembre 1994. Il prossimo lancio riguarderà un satellite geostazionario per applicazioni meteorologiche.
c) Lo Space Shuttle.
Il programma Shuttle (v. spazio, la conquista dello, vol. VIII) subì una battuta d'arresto a causa del drammatico incidente del 28 gennaio 1986; la commissione d'inchiesta subito nominata accertò la causa del disastro e formulò le raccomandazioni per evitare il ripetersi di simili incidenti. Risultarono comunque gravi responsabilità a carico del personale NASA addetto al lancio e della ditta costruttrice, la Thiokol Co., e furono vivacemente criticati i sistemi di controllo di qualità e le procedure di sicurezza. Fu appurato che l'incidente era stato causato dalla rottura di un giunto di collegamento tra il corpo centrale del booster di destra e la sua sezione di poppa, che contenevano ambedue propellente solido, rottura a sua volta provocata da un anormale raffreddamento dovuto alla fuoriuscita di ossigeno e idrogeno liquido dal motore centrale.
L'incidente produsse un forte rallentamento del programma Shuttle, tanto che si ebbero due soli voli nel 1986 (l'anno dell'incidente) e nessun volo nel 1987. L'attività riprese poi lentamente, fino a raggiungere i 7-8 voli annui a partire dal 1992 (sette ne sono stati effettuati nel 1996, otto nel 1997). Attualmente sono in servizio quattro navette denominate rispettivamente Columbia (la più vecchia), Discovery, Atlantis, Endeavour; altre unità sono in costruzione e si sta pensando a una futura versione potenziata.
Lo Shuttle rappresenterà un mezzo di lavoro insostituibile nella costruzione della stazione spaziale Alpha (v. cap. 5), e già adesso ha avuto un ruolo fondamentale nei molti voli verso la stazione russa Mir. Tra i più spettacolari va ricordato quello della fine del 1994, durante il quale il Columbia si avvicinò pericolosamente alla Mir, per fortuna senza conseguenze. Un'altra missione da ricordare è quella del settembre 1996, in cui lo Shuttle Atlantis, dopo essere restato ancorato alla Mir per cinque giorni, ha effettuato due giorni di volo indipendente, a conferma della piena efficienza del sistema.
La durata media dei voli Shuttle finora effettuati ha oscillato tra una settimana e quindici giorni circa.
d) L'Energia e il Proton.
Come è ben noto, l'ex Unione Sovietica è stata certamente la prima nazione al mondo a sviluppare mezzi di lancio potenti, sicuri e affidabili. Ma anche dopo la crisi dei primi anni novanta e lo smembramento dell'URSS, i vettori russi continuano a essere prodotti e a riscuotere un certo successo commerciale. Vanno soprattutto ricordati, oltre a quelli tradizionali, gli attuali Energia M (capace di un carico utile di 34 t), Energia (per un carico utile da 35 t) e Proton K (da 20 t). Quest'ultimo, per la sua grande flessibilità d'impiego, si sta rivelando utilissimo nella costruzione e nel servizio delle stazioni spaziali. Il Proton K ha comunque già effettuato due lanci commerciali: il primo dopo il satellite Astraif nell'aprile 1996, il secondo come vettore di lancio del satellite di telecomunicazioni Inmarsat 3F 2, destinato a sistemi di assistenza alla navigazione. Molti altri lanci con vettori Proton sono previsti per gli anni prossimi. Tra il 1997 e la prima metà del 1998 sono stati effettuati più di 15 lanci; le commesse commerciali attuali sono per 19 unità.
Anche altri tipi di vettori meno moderni vengono impiegati per lanci russi, o sono acquistati da altri paesi. Negli ultimi anni di esistenza dell'URSS fu realizzato il sistema di trasporto Buran, simile allo Shuttle, in cui viene utilizzato il razzo Energia, dotato di quattro motori a propellente criogenico e di quattro boosters a propellente liquido. Gran parte dei vettori russi viene lanciata dal poligono di Baikonur (oggi denominato Gagarin Launching Complex) nel Caucaso, che ha una latitudine di circa 57°; perciò i satelliti (come quelli della serie Molniya, per telecomunicazioni) hanno un'inclinazione sempre assai elevata.
e) L'H 2 e il Tsyklon.
Tra gli altri paesi produttori di vettori non vanno dimenticati il Giappone e l'Ucraina, la quale ha in parte ereditato la dotazione missilistica dell'Unione Sovietica. Per quanto riguarda il primo dei due paesi citati, è attualmente in servizio, tra gli altri, il vettore H 2, capace di portare un carico utile di 4 t in orbita di trasferimento geosincrona, o 2 t in orbita geostazionaria. Ma è già allo studio il lanciatore H 2 migliorato che, con le stesse prestazioni del precedente, costerà il 30% di meno, per giungere finalmente all'H 2A, per il quale è previsto un prezzo di 85 milioni di dollari, con un risparmio complessivo del 50% rispetto alla versione attuale.
Una delle realizzazioni più significative della tecnologia spaziale ucraina è rappresentata dal razzo Tsyklon, di circa 180 t, estremamente affidabile, ma non del tutto soddisfacente quanto a precisione. Il razzo è stato impiegato in oltre 200 lanci a partire dal 1969 nella versione a due o tre stadi. È appunto la versione tristadio, denominata Tsyklon 3, che potrebbe essere lanciata dal poligono di Kourou a partire dalla fine dell'anno 2000; per tale lancio sono da tempo in atto i relativi studi di fattibilità, che dovrebbero soprattutto accertare se è possibile l'‛europeizzazione' del vettore, accogliendo una precisa richiesta da parte della DASA (Deutsche Aero-Space Aktiengesellschaft) tedesca.
4. Le nuove missioni scientifiche
Nell'ultimo decennio sono state effettuate numerose nuove missioni a scopo scientifico, soprattutto fisico e astronomico, che testimoniano un rinnovato interesse per gli studi spaziali, interesse che, in verità, non si era mai del tutto spento, ma che forse era rimasto un po' nell'ombra durante la fase di commercializzazione dei prodotti spaziali.
Il posto d'onore spetta senz'altro al telescopio orbitante Hubble (v. telescopi, vol. XI), che ha comportato un onere finanziario di sei miliardi di dollari (rispetto ai 600 milioni inizialmente previsti). La sua strumentazione ottica non è eccessivamente ampia, ma la sua posizione al di fuori delle perturbazioni e degli assorbimenti dell'atmosfera terrestre è eccezionale; basti pensare che ha una portata ottica che può raggiungere 20 miliardi di anni luce, tale, quindi, da rendere possibile l'osservazione di oggetti formatisi all'inizio dell'evoluzione dell'universo.
Tra i risultati più eccezionali si possono citare la prova sperimentale - da molto tempo ricercata - dell'esistenza dei buchi neri, l'osservazione dettagliata di Giove e del suo satellite Io, la determinazione più accurata della costante di Hubble. Tale costante - che stabilisce il rapporto tra la velocità di allontanamento di due galassie e la loro distanza - è di importanza fondamentale per lo studio della cosmologia. Essa era stata introdotta e misurata (in modo geniale, ma con i mezzi, che a noi appaiono primitivi, degli anni venti) appunto dal grande astronomo statunitense E. P. Hubble, ma le misurazioni del telescopio orbitante ne hanno ora permesso una determinazione assai più accurata. Sensazionale, inoltre, è stata l'impresa di fotografare la superficie di Plutone, che Hubble è riuscito a mostrare per l'85%.
Nella vita del telescopio (lanciato nel 1993) vanno ricordate le fasi di manutenzione a cui esso è stato sottoposto. Anzitutto, pochi mesi dopo il lancio, ci si accorse che i sistemi ottici erano stati dimensionati senza tener conto delle deformazioni strutturali indotte dalla cosiddetta ‛assenza di gravità'. Sebbene l'errore di misura derivante fosse sistematico, e quindi compensabile in fase di riduzione ed elaborazione dei dati, la NASA, in considerazione della delicatezza della missione, decise di inviare una squadra di sette astronauti per provvedere alle riparazioni e alle sostituzioni necessarie, con una spesa aggiuntiva di circa 700 milioni di dollari. Un secondo intervento, previsto per il febbraio 1997, è stato regolarmente effettuato con una missione apposita di tre astronauti a bordo di uno Shuttle nel corso della quale furono montati strumenti ottici estremamente sofisticati. La strumentazione scientifica sarà definitivamente completata con due nuovi interventi (1999 e 2002), e la missione del telescopio, che doveva terminare nel 2005, potrà quindi essere prolungata fino al 2010.
Nell'attività e nei programmi della NASA figurano molti altri osservatori astronomici orbitanti. Tra gli altri vanno menzionati il GRO (Gamma Ray Observatory, messo in orbita nel 1991 dalla navetta Atlantis per l'esame del cielo gamma), unico mezzo attualmente disponibile per studiare l'emissione gamma del Sole, e l'AXAF (Advanced X-Ray Astrophysics Facility), al momento in fase di preparazione e di prova, il cui lancio è previsto per il 1999.
Nel 1989 venne lanciata dalla NASA la sonda Magellan, destinata a realizzare la cartografia di Venere, pianeta studiato agli inizi dell'era spaziale, ma poi quasi dimenticato. La sonda (del costo totale di mezzo miliardo di dollari) ha compiuto le rilevazioni da un'orbita acquisita intorno al pianeta e, una volta ultimata la missione, ha contribuito all'analisi del campo gravitazionale venusiano attraverso le perturbazioni della propria orbita. Infine, la NASA stabilì di far rientrare Magellan nell'atmosfera di Venere per risparmiare il costo della sua osservazione e controllo da Terra; decisione che peraltro suscitò non poche polemiche. Va rilevato che la pratica di distruggere una sonda, o di rinunciare a una parte dei dati che essa potrebbe fornire durante l'ultima fase della sua attività, potrà diventare in futuro sempre più frequente, tenendo conto dei costi di gestione di una missione, anche da Terra, in termini di attrezzature, materiali e personale. Comunque, anche durante quest'ultima fase, Magellan fornì preziosi dati sulla composizione dell'atmosfera del pianeta.
Del progetto Giotto si è già detto (v. spazio, la conquista dello, vol. VIII). A missione ultimata si riscontrò che la struttura e la strumentazione funzionavano ottimamente e che il propellente per il controllo era quasi intatto. Si stabilì, quindi, di ‛ibernare' la sonda per un paio di anni e di dirigerla successivamente verso la cometa Grigg-Skjellerup (1992); anche questa missione fu coronata da successo, tanto che fu decisa una seconda ‛ibernazione' in vista di un'ulteriore missione da compiere, probabilmente, nel 1999. La tecnica di ‛ibernazione', che consiste nel lasciare la sonda sulla sua traiettoria dopo aver spento tutte le utenze di bordo che consumano energia, fu applicata per la prima volta proprio su Giotto; comunque essa non è esente da rischi, e a ogni risveglio va verificata la funzionalità della strumentazione e dei sistemi. Anche la missione Galileo, sempre della NASA, ha avuto inizio nel 1989, con destinazione Giove. En passant, la sonda ha fornito informazioni anche su Venere, pianeta sorvolato per riceverne il ‛calcio planetario'. Ma forse ancora più straordinario è stato il sorvolo dell'asteroide Ida, per la sua stranissima forma a patata, per i numerosissimi crateri sulla sua superficie e per il fatto di possedere - unico, per il momento, tra gli asteroidi - un piccolo satellite (forse di 2 km di diametro). Galileo ha sorvolato e fornito informazioni sui satelliti galileiani di Giove, Ganimede e Callisto, e ha successivamente ripreso immagini della superficie di Europa, il solo dei satelliti galileiani ad avere un diametro inferiore a quello della Luna.
La sonda Ulysses, di produzione europea, lanciata dalla NASA, è stato il primo oggetto costruito dall'uomo a esplorare la terza dimensione spaziale, cioè a muoversi al di fuori (quasi perpendicolarmente) del piano dell'eclittica; questa caratteristica, insieme alle grandi dimensioni (circa un miliardo di km) e alla forte eccentricità dell'orbita, permette alla sonda di rilevare alcuni parametri solari, quali la distribuzione e le proprietà magnetiche di particelle ionizzate. Nel 1993 Ulysses ha raggiunto la sua massima distanza dal piano dell'eclittica.
Particolarmente interessante la vicenda della sonda Clementine, concepita in ambiente militare e successivamente utilizzata dalla NASA per analizzare (da orbita) le condizioni dell'ambiente lunare. L'interesse è derivato soprattutto dalla strumentazione impiegata, estremamente innovativa, oltreché dal suo bassissimo costo (100 milioni di dollari) e dai risultati scientifici ottenuti. La sonda mancò invece quello che era il suo vero obiettivo, cioè il sorvolo dell'asteroide Geographos. Recentemente è stata decisa la realizzazione di una seconda sonda, Clementine 2, che dovrebbe visitare tre asteroidi, depositandovi moduli destinati a inviare informazioni a Terra.
5. Le stazioni spaziali
Numerose sono le ragioni (v. Santini, 1995) che hanno sempre guidato la mente dei pionieri e dei ricercatori verso la realizzazione delle stazioni spaziali. Riassumendo e completando quanto si è detto altrove, si possono così elencare schematicamente le motivazioni: 1) la possibilità di aumentare la nostra conoscenza scientifica, specialmente per quanto riguarda settori come l'astronomia e la cosmologia; da questo punto di vista, l'intervento dell'uomo a bordo, con le sue possibilità di decisione e di scelta, rende la stazione spaziale nettamente superiore ai carichi utili orbitanti, anche se questi risulterebbero in generale meno costosi; 2) l'opportunità di impiegare grandi stazioni spaziali per il lancio di sonde destinate al deep space, con notevole risparmio energetico per quanto riguarda la spinta, che è nettamente inferiore a quella necessaria per il lancio da Terra; 3) l'effetto di microgravità, che modifica profondamente i processi fisici e meccanici dei fluidi e del loro moto, offrendo grandi vantaggi per certi tipi di lavorazioni industriali (leghe speciali non ottenibili sulla Terra per l'immiscibilità dei componenti); va peraltro osservato che si è ancora ben lontani dallo sfruttamento industriale di tali opportunità, a causa delle limitatissime quantità di materiali ottenibili; 4) la possibilità di produrre cristalli estremamente puri e di prodotti farmaceutici speciali; 5) lo studio di fenomeni fisiologici e medici legati all'ambiente di microgravità. Sussistono però ancora molti problemi, e principalmente: a) l'abitabilità delle stazioni - che va pensata in termini di lunga durata, vale a dire di anni o addirittura decenni, e che deve essere compatibile, sul piano fisiologico e psicologico, coi risultati indicati al precedente punto 5) - e la compatibilità tra i suoi abitanti, a cui è più difficile far fronte; b) il costo, che potrà essere superiore di vari ordini di grandezza a quello delle missioni attuali più impegnative; c) gli aspetti logistici, cioè i rifornimenti (di viveri, acqua potabile, pezzi di ricambio, vestiario, medicinali, accessori) e la produzione di energia.
a) Il progetto Mir.
Quali che siano i problemi ancora aperti, sta di fatto, comunque, che la prima stazione spaziale sovietica, ora russa, chiamata Mir (‛pace' o anche ‛mondo') è ancora pienamente operativa. La Mir, in preparazione dal 1966, fu lanciata il 19 febbraio 1986 - per l'esattezza, fu lanciato il primo modulo operativo (Kvant 1) dei sei che il progetto prevedeva - ed essendo in orbita da oltre 12 anni, ha già compiuto circa 70.000 rivoluzioni intorno alla Terra. Il peso della stazione inizialmente raggiungeva le 21 t, con 13 m di lunghezza e 4 di diametro massimo. Il suo corpo centrale era stato concepito per assicurare il massimo comfort a un equipaggio di due uomini. Il modulo successivo fu lanciato poco dopo, ma i due seguenti furono inviati assai più tardi (1989 e 1990). Solo nel 1996 si è avuto l'invio del quinto modulo, con il quale la massa totale della Mir ha raggiunto e superato le 90 t, rispetto alle 21 iniziali. Tra le tante prospettive è stata ventilata la possibilità di trasferire l'intera Mir sulla nuova stazione Alpha, ma i Russi sembrano intenzionati a sfruttare la loro stazione per un numero ancora imprecisato di anni, certamente almeno fino al 1999. Si parla anzi addirittura di un prolungamento di missione fino al 2005, per un totale di 10.000 astronauti × giorni (circa 27,5 di astronauti × anni) di occupazione, anche se una operatività così elevata non sembra esente da rischi - come, ad esempio, incendi a bordo, perforazione delle pareti della stazione e dei suoi moduli, impatto contro i cosiddetti ‛relitti spaziali'.
A parte le visite fatte da astronauti americani, la Mir ha ricevuto circa 50 ospiti (di cui 3 donne), alcuni ciclicamente e per periodi variabili, altri permanenti e per periodi anche superiori a un anno. In particolare, dal 1994 sono diventate sempre più frequenti lunghe permanenze di astronauti americani, con un'inversione di tendenza rispetto al passato. Questa collaborazione russo-statunitense rientra in un accordo che prevede un finanziamento da parte degli Stati Uniti di 100 milioni di dollari annui per un periodo di quattro anni. La fig. 3 mostra il complesso Mir come si è presentato alla vista dallo Shuttle-Atlantis al momento del terzo rendez-vous tra i due veicoli spaziali, nel marzo 1996. Il record assoluto di durata nello spazio appartiene comunque a Valeri Poliakov, con i suoi 678 giorni, totalizzati in due permanenze successive.
A partire dagli inizi del 1997, la Mir ha subito una serie di incidenti che ne hanno compromesso il funzionamento e hanno messo in pericolo la stessa incolumità degli occupanti: spesso si è trattato di guasti ai pannelli che captano l'energia solare, di importanza vitale per il condizionamento e la climatizzazione della cabina e per la disponibilità di aria e acqua. La conseguenza di tali inconvenienti è, anzitutto, una ridotta efficienza dell'equipaggio - che non riesce più ad assolvere adeguatamente i suoi compiti - e quindi il rinnovo più frequente degli astronauti. La ragione dei guasti dipende certamente dal logorio degli impianti e delle strutture della Mir, in servizio, come si è detto, da oltre dodici anni, rispetto ai cinque-sei per i quali essa era stata progettata.
b) I progetti statunitensi.
Come in molti altri casi, gli Stati Uniti sono stati superati dalla Russia nella progettazione e nell'allestimento di una stazione spaziale. Per molti anni è stata allo studio una stazione americana che doveva chiamarsi Freedom, ma il progetto originario è stato abbandonato e sostituito dal progetto internazionale Alpha, che annovera tra gli enti che vi collaborano, oltre alla NASA, le agenzie spaziali russa, canadese e giapponese. Complessivamente saranno 15 le nazioni coinvolte, tra cui l'Italia, alla quale sarà riservata una notevole parte del lavoro (costruzione del modulo di rifornimento della stazione).
La nuova stazione dovrebbe essere sensibilmente più grande della Mir, con 100 m di lunghezza, 120 m di larghezza e un volume abitabile di 1.600 m3, capace di ospitare sei astronauti più, ovviamente, le attrezzature necessarie alla sopravvivenza e al lavoro. L'orbita prevista, alla quota di circa 400 km con una inclinazione di 51,6°, presenta due caratteristiche estremamente positive: essa può essere raggiunta dai veicoli di lancio di tutti i partners internazionali, offrendo quindi una grande flessibilità per l'invio di materiale e personale umano alla stazione; la sua configurazione permette un'ottima osservazione della Terra, con una copertura totale dell'85% della superficie del globo e il sorvolo del 95% della popolazione del pianeta.
Il contributo statunitense dovrebbe ammontare a circa 2,1 miliardi di dollari annui, a cui vanno aggiunti 400 milioni corrisposti alla Russia a titolo di consulenza. Quest'ultima, in virtù della grande esperienza specifica acquisita con la stazione Mir, farà un po' la parte del leone nella ripartizione delle commesse, almeno rispetto ai partners non statunitensi. Va peraltro ricordato che la partecipazione della Russia viene periodicamente messa in discussione, a causa della sua reticenza e dei suoi ritardi nel contribuire alle spese di costruzione. Si valuta in non meno di 13.000 il numero di persone impegnate nel progetto; attualmente le fasi di costruzione dei vari moduli sono in pieno sviluppo.
Il primo modulo a essere lanciato sarà il russo FGB (Functional Cargo Block) per mezzo di un vettore Proton, dal poligono di lancio russo di Baikonur: la data del lancio, fissata all'inizio del programma, era prevista per la fine di novembre 1997, ma è stata successivamente spostata al dicembre del 1998. Seguiranno ovviamente i lanci dei successivi moduli, finché Alpha non raggiungerà la sua configurazione definitiva nel 2002. Tra i problemi organizzativi e politici da superare resta quello della navetta di soccorso, che ognuno dei due maggiori associati desidera allestire per proprio conto, almeno per il salvataggio del proprio equipaggio.
6. L'esplorazione dello spazio
a) La Luna.
Come è noto, l'ultima missione sulla Luna risale al 1976, con la fine del programma Apollo, anche se l'interesse per il nostro satellite non è mai del tutto cessato, come dimostra il lancio della sonda Clementine (v. Santini, 1995). Di recente sono stati proposti vari programmi, soprattutto da parte statunitense e da parte europea, anche se per il momento non sono ancora state prese decisioni definitive. In particolare per l'Europa permane il problema di potersi servire di un vettore sufficientemente potente e affidabile, che, come si è visto a proposito dell'Ariane 5, non sembra ancora disponibile. L'esplorazione lunare (con missioni abitate o no) dovrebbe preludere alla costruzione di basi permanenti sulla superficie della Luna stessa, anche per un eventuale sfruttamento delle sue risorse minerarie.
b) Marte.
Anche per l'esplorazione di Marte possiamo parlare di ripresa di interesse; basti pensare che si sono svolte 23 missioni dal 1960 (Mars 1, sovietico) al 1975 (Viking 1 e 2, statunitensi); si sono avuti poi due voli sovietici nel 1988 (missioni Phobos 1 e Phobos 2, ambedue fallite) e la sonda statunitense Mars Observer, nel settembre 1992. Quest'ultima giunse in prossimità del pianeta rosso circa un anno più tardi, ma al momento di entrare in orbita disparve alla vista dei telescopi e fu perduta, suscitando nell'opinione pubblica statunitense vivaci polemiche, anche in considerazione del fatto che la missione era costata un miliardo di dollari. Un costo analogo è previsto per il programma a lungo termine della NASA che comprende almeno sei voli (di cui uno giapponese) fino al 1999.
Anche la Russia è impegnata, nonostante le croniche difficoltà economiche, nella corsa verso Marte. Purtroppo, però, la prima sonda della serie più recente, Mars-1996, ha subito un pesante scacco, pregiudicando anche le missioni future.
Il rinnovato interesse per Marte dipende dalla diffusa convinzione che nella parte più esterna della sua crosta possano trovarsi forme elementari di vita. Se i campioni di suolo marziano (i primi potrebbero arrivare sulla Terra nel 2005) dovessero confermare tale circostanza, potrebbe essere ripresa in esame la possibilità di voli abitati su Marte, che per il momento non viene data per scontata, pur essendo presa seriamente in considerazione, come è stato recentemente dichiarato dai responsabili della NASA.
Una tappa molto importante è stata segnata nell'estate 1997 dall'impresa Pathfinder, quando un piccolo veicolo, poco più grande di un giocattolo, ha raggiunto la superficie del pianeta e ha esplorato un'ampia zona circostante il punto di arrivo. Non si sono raggiunti risultati sensazionali, in quanto la piccola sonda non ha prelevato campioni di terreno per accertarne il contenuto e si è limitata a osservazioni locali fornendo dati in parte già noti; tuttavia la missione ha avuto un forte impatto sull'opinione pubblica mondiale, avendo dimostrato la possibilità di inviare su Marte veicoli che potrebbero essere eventualmente impiegati in futuro dagli astronauti.
7. I piccoli satelliti
Il settore dei piccoli satelliti ha riscosso una sempre maggiore attenzione nell'ultimo decennio e il suo mercato (se così si può dire) è in crescente espansione. Il motivo di questo successo va ricercato principalmente nel grande sviluppo delle tecniche di miniaturizzazione che, permettendo di ottenere payloads e sistemi di volo caratterizzati da peso, volume e complessità assai minori rispetto al passato, consentono quindi un alleggerimento della struttura e dei sistemi propulsivi. Si parla oggi di minisatelliti (1.000-100 kg), microsatelliti (100-10 kg) e nanosatelliti (meno di 10 kg). Questa tendenza è sorta e sempre più si sta sviluppando negli Stati Uniti, dove sono impegnati nella ricerca sia la NASA (New Millennium) che l'USAF (Mighty Sat); sono allo studio anche nanosatelliti da 1 e da 7 kg. Non bisogna d'altronde pensare che i piccoli satelliti costituiscano un ripiego rispetto ai mezzi tradizionali; la loro attrattiva, infatti, sta anche nel fatto che è possibile, in certi casi, usarli per missioni identiche a quelle più costose.
La lista dei piccoli satelliti già lanciati o allo studio nei prossimi anni (fino al 2000) è estremamente nutrita. Ma la considerazione più importante è che, come si è detto, per mezzo di essi un numero sempre crescente di nazioni riesce finalmente a entrare in quello che una volta veniva chiamato il ‛clan spaziale' e che ora appare molto meno ristretto. Nella lista si trovano, oltre ai paesi tradizionali, come Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito, anche paesi come Belgio, Israele, Cile, Sudafrica, Finlandia e Taiwan. Si assiste anche a una sempre maggiore partecipazione delle nazioni dell'America Latina, come Argentina, Brasile e Messico.
Un notevole interesse riveste in primo luogo l'esame delle missioni già effettuate o proposte, per le quali ci limitiamo ad alcuni esempi. In Francia il CNES, attraverso l'uso di piattaforme spaziali, ha da tempo progettato ricerche sull'ambiente terrestre e ricerche astronomiche in relazione a particolari problemi, come la cosiddetta ‛convezione stellare' (per queste particolari missioni siamo nell'ordine di grandezza dei 500 kg). La Germania, in collaborazione col Marocco, sta preparando due satelliti (Tubsat-C) ciascuno da 35 kg, da usare per il telerilevamento spaziale e, in collaborazione con l'ESTEC (ente operativo dell'ESA), un satellite per il traffico radiofonico a livello amatoriale, l'Amsat, da 400 kg, che dovrebbe essere imbarcato su Ariane 5. L'Argentina mostra da tempo una notevole attività in questo settore, che ha portato a un paio di lanci: il Micronsat, di 33 kg, a bordo di un lanciatore russo insieme a carichi utili assai più pesanti, realizzato in 45 mesi di lavoro e fin dal luglio 1996 impiegato per lo studio dei raggi gamma, e il Sac-B, del novembre 1996, parzialmente fallito per cause associate al lanciatore.
È anche interessante osservare che, tra gli enti che partecipano allo sviluppo dei piccoli satelliti, sempre più numerosi appaiono gli enti di ricerca, soprattutto universitari. Così, ad esempio, i satelliti tedeschi Tubsat-C sono stati costruiti e realizzati dalla Technische Universität di Berlino. Tra l'altro, questa circostanza rende possibile l'impiego di tecnologie che escono finalmente dai laboratori in cui sono state concepite e analizzate e si impongono per applicazioni assai vaste. Un esempio è fornito dal satellite Bird, sempre tedesco, il primo di una serie di nuovi minisatelliti, che verrà lanciato alla fine del 1998 e che avrà a bordo un microprocessore funzionante con una piccola rete neuronale; si tratta sostanzialmente di una tecnica basata sul principio di riprodurre processi tipici della mente umana per scopi di controllo. Con un'attrezzatura di questo tipo, Bird potrà dimostrare che i piccoli satelliti sono in grado di aprire una via relativamente poco costosa per la climatologia, la meteorologia e la sorveglianza antincendio nelle foreste. Ma le possibilità offerte non si limitano a queste: con nuove stazioni a Terra, e in tempi relativamente brevi, si potrebbero offrire a buon mercato operazioni per ogni tipo di telerilevamento, compresi l'interferometria spaziale e lo studio della Luna. Questa politica ha quindi anche l'effetto di attuare quel ravvicinamento tra mondo della ricerca e mondo industriale che purtroppo, specie nel nostro paese, stenta a decollare.
Come conseguenza naturale dello sviluppo dei piccoli satelliti si è assistito allo sviluppo dei piccoli lanciatori, specialmente negli Stati Uniti. La tab. IV fornisce alcune delle caratteristiche più importanti della serie di piccoli lanciatori americani. Tra questi, particolare attenzione merita l'X 34, che sarà il primo minilanciatore riutilizzabile - erede della navetta spaziale - e che dovrebbe effettuare due voli di prova nel 1998 e nel 1999, per divenire poi commerciale nel 2000.
8. Il ruolo dell'Italia
L'Italia partecipa intensamente all'attività spaziale e può senz'altro essere considerata a riguardo la terza nazione spaziale in Europa (dopo Germania e Francia) e tra le più importanti del mondo.
Nel 1988 fu costituita l'Agenzia Spaziale Italiana, con compiti di gestione e supervisione delle attività scientifiche e industriali, che ha avuto vita non facile; attualmente appare più organizzata, e in grado di fornire un efficiente servizio di coordinamento e di indirizzo. Il bilancio annuale dell'ASI ammonta in media a 1.000 miliardi di lire.
L'Italia ha anche una posizione di prestigio nell'ESA e partecipa a quasi tutti i relativi programmi; esistono inoltre programmi nazionali bilaterali di collaborazione che la legano a vari paesi impegnati nella ricerca e nell'attività spaziale.
Tra i programmi più importanti citiamo l'Italsat, satellite per telecomunicazioni recentemente posto in un'orbita geostazionaria a 16° di longitudine est, che sarà utilizzato per telefonia, televisione, teleconferenze e trasmissione di dati. Tra le realizzazioni più recenti va segnalato anche il satellite SAX (Satellite per Astronomia in raggi X), frutto della collaborazione di vari istituti universitari italiani con due istituti olandesi. Costruito dall'Alenia Spazio insieme ad altre ditte italiane e olandesi, il SAX è stato lanciato con successo da Cape Canaveral il 30 aprile 1996 su un'orbita di 600 km. La durata della missione, inizialmente prevista in due anni, è stata prolungata fino al 2000.
È opportuno anche ricordare il satellite Tethered (‛tenuto a guinzaglio'), il quale è collegato allo Shuttle mediante un filo di 19 km che si svolge dopo l'acquisizione orbitale. Poiché il filo taglia le linee del campo magnetico terrestre, vi si produce una tensione elettrica (che dovrebbe raggiungere i 3.000 V); tale tensione forma un circuito che si chiude attraverso le zone ionizzate dell'atmosfera terrestre e si è perciò pensato a una possibile utilizzazione del Tethered per la produzione di energia elettrica per la stazione spaziale. Purtroppo le prime due missioni (luglio 1992 e febbraio 1996) sono fallite: la prima per il mancato svolgimento del filo (200 m invece di 19 km) e la seconda per il tranciamento del filo stesso - quando era stato quasi raggiunto l'assetto definitivo - che ha comportato la perdita del satellite. In ambedue i casi sembrano escluse responsabilità italiane (il programma è frutto di una collaborazione Italia-Stati Uniti).
L'Agenzia Spaziale Italiana collabora inoltre alla costruzione della stazione spaziale Alpha sia nel quadro della partecipazione ESA, sia direttamente a titolo proprio; in particolare è prevista la costruzione di due successivi moduli, in cambio di un'utilizzazione italiana della stazione stessa.
Attraverso il programma San Marco, l'Italia gestisce anche un poligono di lancio da una piattaforma ancorata al largo delle coste del Kenya, collocazione che, consentendo lanci in orbita equatoriale e verso est, può considerarsi ottimale, in quanto permette di sfruttare la velocità dovuta alla rotazione della Terra intorno al suo asse (circa 0,463 km/s all'equatore) con conseguente risparmio energetico. Dal San Marco sono stati lanciati numerosi satelliti italiani e stranieri. A completare il programma, anche se con ruolo a sé stante, contribuisce una stazione di telemetria costruita a Malindi e spesso utilizzata per l'osservazione e il tracking di numerosi satelliti (ESA, NASA, ecc.).
BIBLIOGRAFIA
‟Air & cosmos", annate 1996 e 1997.
‟Aviation week & space technology", annate 1995-1997.
‟Launchspace", annata 1997.
‟Space news", annate 1995-1997.
Santini, P., Spaziale, stazione, in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Appendice V, Roma 1995, pp. 81-84
Vallerani, E., L'Italia e lo spazio: i moduli abitativi, Milano 1995.