esodare
v. tr. e intr. Allontanare qualcuno dal luogo in cui si è stabilito; rimuovere qualcuno dall’incarico che ricopriva.
• «definire “aguzzini” i marinai della Guardia di Finanza (e, con loro, tutti gli uomini dello Stato che devono applicare le norme sull’immigrazione) non si può condividere. A noi poliziotti, carabinieri e finanzieri non piace quasi mai sfrattare la gente, evacuare baraccopoli, far esodare i nomadi, respingere o espellere immigrati, confrontarci fisicamente con operai e disoccupati che protestano (spesso a ragione) per i loro diritti, e, in generale, prendercela con gli ultimi» [Giovanni Aliquò]. (Repubblica, 20 maggio 2009, p. 32, Commenti) • la versione definitiva del decreto ‒ firmato e in attesa di essere pubblicato in Gazzetta ufficiale ‒ sui lavoratori salvaguardati rispetto alle nuove regole per il pensionamento conferma in 65.000 la platea dei beneficiari, per una spesa di 5,070 miliardi, dal 2013 al 2019. Una platea di salvaguardati, appunto, da molti considerata insufficiente. Tanto che l’Idv chiede di «esodare» il ministro dal suo incarico. (Adige, 14 giugno 2012, p. 3, Attualità) • «Non condividiamo atteggiamenti vittimistici ‒ spiega il portavoce [del Comitato Sanremo] Diego Sala ‒ dichiarazioni come “così si mettono delle famiglie sulla strada”. […] Ora si deve dare l’opportunità ad altre aziende e altri cittadini di poter fare un’offerta di servizi alla città, nel rispetto della libera concorrenza. Non si sta esodando nessuno, si sta procedendo a riassegnare un bene pubblico». (Giorgio Giordano, Secolo XIX, 25 marzo 2014, p. 19, Sanremo).
- Derivato dal s. m. esodo con l’aggiunta del suffisso -are1.
- Già attestato nella Nuova Stampa del 23 marzo 1955, p. 5, con riferimento a un esule, usato come v. intr.; nell’Unità del 9 luglio 1973, p. 4, Echi e Notizie, con riferimento a un lavoratore, usato come v. intr.