Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La filosofia esistenzialistica si sviluppa in Europa nei primi decenni del Novecento in polemica con lo scientismo e il razionalismo che caratterizzano larga parte della filosofia dell’Ottocento. Riprendendo taluni motivi della filosofia di Kierkegaard, autori come Karl Jaspers e Martin Heidegger gettano le basi per una filosofia dai toni sostanzialmente pessimistici e drammatici, ponendo al centro della propria riflessione temi come la morte, il caso, la colpa, il dolore, l’angoscia. Sviluppatosi inizialmente in area tedesca, l’esistenzialismo conosce una stagione di grande fioritura in Francia (in particolare per opera di Jean-Paul Sartre), presentandosi in versioni atee (Sartre appunto), ovvero recuperando la tradizione spiritualistica e cristiana (così, per esempio, in Gabriel Marcel). In Italia, le manifestazioni più significative di questa corrente sono riconducibili ai filosofi Nicola Abbagnano e Luigi Pareyson.
Un concetto di difficile definizione
Jean-Paul Sartre
La libertà e l’angoscia
L’essere e il nulla
Si tenterà di ritorcerci un’obiezione di cui noi stessi ci siamo spesso serviti: se la coscienza annullatrice esiste solo come coscienza di annullamento, bisognerebbe definire un modo continuo di coscienza, presente come coscienza, che sia coscienza di annullamento. Esiste questa coscienza? Ecco dunque la nuova questione che qui si solleva: se la libertà è l’essere della coscienza, la coscienza deve essere come coscienza di libertà. Quale forma prende questa coscienza di libertà? Nella libertà l’essere umano è il suo passato (come anche il suo avvenire) sotto forma di annullamento. Se le nostre analisi non si sono smarrite, deve esistere per l’essere umano, in quanto è cosciente d’essere, una certa maniera di porsi di fronte al suo passato e al suo avvenire come essente e non essente insieme questo passato e questo avvenire. Possiamo dare a questo problema una risposta immediata: è nell’angoscia che l’uomo prende coscienza della sua libertà o, se si preferisce, l’angoscia è il modo d’essere della libertà come coscienza d’essere, è nell’angoscia che la libertà è in questione nel suo essere in quanto tale.
Kierkegaard, descrivendo l’angoscia prima della colpa, la caratterizza come angoscia davanti alla libertà. Heidegger, che si sa quanto abbia subíto l’influenza di Kierkegaard, considera invece l’angoscia come la percezione del nulla. Queste due descrizioni dell’angoscia, non appaiono contraddittorie: al contrario, si implicano a vicenda.
J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Milano, Il Saggiatore, 1972
Karl Jaspers
L’inquietudine di poter scegliere
Nella storicità determinata della situazione questa profondità dell’esserci dell’esistenza non è semplicemente data con la storicità della coscienza come tale, ma è realizzata con la chiarificazione esistenziale della situazione, intesa come situazione-limite. Questa chiarificazione non la si può trasmettere, ma ognuno, nella sua origine insostituibile, è responsabile di ciò che è. Poiché non agisce in un mondo in generale, e poiché ciò che c’è di generale nella mia situazione serve solo per orientarsi, il mio trovarmi in una situazione sempre determinata significa che io esisto tanto più decisamente, quanto più esercito la mia azione nella situazione unica e irripetibile. In questa azione non sono libero per aver realizzato un dominio sulla materia dopo averne annullato la resistenza, né per aver raggiunto, in una perfetta comunicazione spirituale, quell’accordo che nasce dall’annullamento di ogni incomprensione, ma sono libero nel senso trascendente della storicità originaria della mia esistenza nell’esserci, ossia, perché il mio me-stesso si trova nell’inquietudine di poter scegliere in vista della possibile certezza di una verità solo in questa situazione, al di là di ogni chiarezza e di ogni fondazione.
K. Jaspers, Filosofia, Bologna, Utet, 1978
L’esistenzialismo è un movimento filosofico nato nella prima metà del XX secolo in Germania e diffusosi presto in tutta Europa. Esso è una tipica forma culturale che esprime lo sbandamento sociopolitico dell’Europa tra le due guerre mondiali. L’esistenzialismo è caratterizzato da un sostanziale pessimismo, dalla sfiducia nella pretesa di cogliere il senso complessivo della realtà e di dominarla attraverso gli strumenti della razionalità. Questa diffidenza si estende a tutte quelle prospettive storicistiche (l’idealismo, il marxismo) che pretendono di conoscere il senso e il significato profondo della storia. La fiducia nei confronti della filosofia intesa come sistema compiuto e del sapere scientifico che pretende di dare una spiegazione onnicomprensiva della realtà viene sostituita dalla predilezione per la prospettiva di auto-riflessione, di indagine del se stesso singolo e irripetibile nella sua concretezza, destinato inevitabilmente a sfuggire alle oggettivazioni della scienza. Il protagonista della riflessione filosofica non è più, come per le correnti idealistiche e positivistiche ottocentesche, l’umanità nel suo incessante progresso storico e scientifico, ma piuttosto l’individuo limitato e finito, scaraventato in un contesto assurdo, indecifrabile e problematico.
“Non si può definire in modo soddisfacente il termine esistenzialismo” (Jean Wahl, Petite histoire de l’existentialisme, 1947). Si tratta infatti una categoria difficile da precisare in maniera univoca e definitiva. Basti dire che Martin Heidegger, l’autore del libro più importante e influente in questa corrente, Essere e tempo (1927), giunge a sconfessare apertamente le interpretazioni esistenzialistiche del suo capolavoro, che, nelle intenzioni, vuole essere solo la prima parte di una ricerca intorno all’essere. Taluni interpreti parlano di esistenzialismo, in senso lato, come di un movimento di pensiero sviluppatosi in seguito alla crisi dell’hegelismo, ovvero al definitivo tramonto del razionalismo metafisico della filosofia moderna. Vi sono poi storie dell’esistenzialismo che fanno rientrare in esso personalità come lo scrittore Franz Kafka, o che – soprattutto in ambito francese – spingono a riconoscerne un precursore in un filosofo lontano nel tempo come Blaise Pascal o in certi personaggi tormentati dei romanzi di Dostoevskij. Certamente, alle radici della riflessione esistenzialistica c’è l’opera di rottura con il razionalismo della tradizione occidentale svolta da Nietzsche e Kierkegaard, i quali, come suggerisce Karl Jaspers, “hanno portato alla coscienza moderna la considerazione che non c’è più per noi alcun terreno sicuro” (Ragione ed esistenza, 1971).
Soprattutto il filosofo danese Søren Kierkegaard va tenuto presente per comprendere la storia di questo movimento. Di “rinascita kierkegaardiana” si parla nella cultura di lingua tedesca del primo dopoguerra. Una rinascita che si manifesta per esempio nel libro del teologo svizzero Karl Barth, L’Epistola ai Romani (1919; 1922), un originale commentario della lettera di San Paolo condotto alla luce del principio kierkegaardiano della “infinita differenza qualitativa tra il tempo e l’eternità”. L’opera di Barth ha un impatto notevole nella cultura europea del tempo, anche se non può essere considerata espressione del pensiero esistenzialistico in senso stretto, fortemente caratterizzata come è da preoccupazioni di natura religiosa e dall’ansia di tornare al testo biblico. I motivi più propriamente filosofici e psicologici – motivi non “oggettivi”, legati al problema astratto della verità delle cose, ma “soggettivi”, e dunque attinenti alle “individualità esistenti nei loro guai” – derivati dall’immensa e complessa produzione di Kierkegaard passano piuttosto nelle opere dei due principali esponenti dell’esistenzialismo tedesco (Heidegger e Jaspers) e poi ancora in Francia, dove Jean Wahl, studioso originale del pensiero hegeliano, pubblica nel 1938 gli importanti Studi kierkegaardiani.
Heidegger e Jaspers
Un punto fermo nella storia dell’esistenzialismo è la pubblicazione nel 1927 del già ricordato Essere e tempo di Martin Heidegger, una delle personalità più controverse nella cultura europea del Novecento. Heidegger si compromette infatti con il regime hitleriano nel 1933 – divenendo Rettore dell’Università di Friburgo con un programma conformato alla politica culturale nazionalsocialista – e, dopo il 1945, con un certo atteggiamento revisionistico che lo porta sistematicamente a minimizzare gli orrori nazisti. A dispetto di ciò egli esercita una vera e propria fascinazione sui suoi allievi, spesso di origine ebraica, tra i quali si possono ricordare tanti importanti pensatori (Leo Strauss, Hannah Arendt, Herbert Marcuse, Karl Löwith). Scrittore suggestivo e difficile, apparentemente compiaciuto della propria oscurità, Heidegger ha una formazione fenomenologica, avendo avuto per maestro Edmund Husserl. La predisposizione all’analisi particolareggiata da questi derivata, che è un fattore peculiare dell’analitica esistenziale che caratterizza Essere e tempo, viene a essere affiancata da un’attitudine kierkegaardiana, secondo la quale l’esistenza non può essere mai una considerazione disinteressata, neutra, “scientifica” della realtà, ma è sempre caratterizzata da preoccupazione e partecipazione. L’analitica esistenziale si occupa di quell’ente (l’uomo, appunto) che si interroga sul senso dell’essere. L’esistenza è il modo di essere caratteristico dell’uomo, per indicare il quale Heidegger utilizza il termine “esserci” (Dasein in tedesco). Il filosofo sottolinea così come l’uomo si trovi sempre in un rapporto attivo con la realtà che lo circonda, in una situazione che implica possibilità, progetto, apertura al mondo, essere-nel-mondo e essere-con-gli-altri. L’esistenza si presenta dunque come apertura, autoprogettarsi nel mondo, avere cura di ciò che ci circonda. Ma questa dimensione esistenziale che costantemente si replica senza mai giungere a una conclusione lega l’uomo alla finitudine dei suoi bisogni, gli rivela la sua “gettatezza”, il suo essere abbandonato nella realtà. La possibilità sempre in agguato di perdere se stessi nella dimensione inautentica della chiacchiera si contrappone all’assunzione consapevole del proprio essere-per-la-morte: la morte è l’unica possibilità che inevitabilmente si realizza, il nulla di fronte al quale si rivela il carattere finito della nostra esistenza temporale.
Il cammino filosofico di Heidegger si svolge poi in una direzione che lo porta lontano dall’esistenzialismo. Nel 1946, Heidegger pubblica una Lettera sull’umanismo che denuncia le interpretazioni esistenzialistiche del suo pensiero. Essere e tempo, infatti, vuole essere per il proprio autore soltanto la prima parte di una ricerca che avrebbe dovuto condurre, attraverso l’analisi dell’esistenza, ad affrontare il vero problema che stava a cuore a Heidegger, il problema dell’essere. Proprio questo problema (e non quello dell’esistenza), in un costante confronto con Nietzsche e con la tradizione razionalistica europea che, a parere di Heidegger, non poteva che giungere ad esiti nichilistici, sarà oggetto della riflessione di questo filosofo a partire dagli anni Trenta del Novecento. Con un capovolgimento di prospettiva, il pensiero dovrebbe abbandonare la soggettività per spostarsi dalla discussione del senso del problema dell’essere dell’esserci (esistenza) e del suo senso (temporalità) al problema del senso dell’essere in generale, verso la luce dell’essere, superando la tradizionale prospettiva della metafisica occidentale.
Già prima della pubblicazione di Essere e tempo alcune tematiche tipiche dell’esistenzialismo avevano trovato espressione nelle opere di un altro filosofo tedesco che, partito da posizioni vicine a quelle heideggeriane, passerà dall’iniziale collaborazione a un’aperta ostilità, filosofica e personale, dopo l’adesione di Heidegger al partito nazionalsocialista con l’episodio del Rettorato: Karl Jaspers. Psichiatra di formazione, Jaspers si avvicina alla filosofia in seguito a una progressiva critica della prospettiva scientistica in psicologia. Anche per Jaspers la riflessione filosofica si presenta come ricerca intorno all’essere. Questa prospettiva, tipica dell’impostazione di pensiero della metafisica occidentale, deve essere però svolta prendendo spunto dalla situazione concreta in cui l’essere si manifesta. Questa situazione è l’esistenza dell’uomo: “Che cos’è l’essere? Perché esiste qualcosa e non il nulla? Chi sono io? Che cosa propriamente voglio?” (K. Jaspers, Filosofia, 1932). L’impulso a questa comprensione conduce però allo scacco: “Se voglio afferrare l’essere in quanto essere sono irrimediabilmente votato al naufragio”, l’Assoluto è sempre al di là delle possibilità conoscitive dell’uomo. Grande importanza hanno inoltre quelle che Jaspers chiama le “situazioni-limite” (la morte in primo luogo, il caso, la colpa, il dolore), quelle condizioni che mettono in risalto l’impotenza dell’uomo. L’uomo non può che subire queste situazioni estreme, incomprensibili e inevitabilmente indirizzate al naufragio che però al tempo stesso possono portare allo sbriciolamento dei modi di vivere rigidi e preconcetti e possono far presagire ciò che trascende l’esistenza finita.
L’esistenzialismo in Francia: Sartre
A dispetto di Heidegger, l’assunzione del tema della consapevole e angosciata condizione di finitudine dell’uomo esposta in Essere e tempo diventa lo stimolo principale della fioritura della letteratura esistenzialistica negli anni Trenta. Grazie in primo luogo all’opera e alla fortissima personalità di Jean-Paul Sartre, l’esistenzialismo conosce una stagione di vasta popolarità negli ambienti francesi. Sartre è saggista, romanziere, drammaturgo, polemista, intellettuale engagé e sempre strenuamente in prima fila nei dibattiti culturali e politici del suo secolo. Già prima della seconda guerra mondiale, egli si impone con il romanzo La nausea (1938), il cui titolo esprime la particolare emozione che coglie il protagonista Antoine Roquentin di fronte all’assurdità dell’esistenza: il mondo si presenta all’uomo come un infinito numero di possibilità esistenziali equivalenti e dunque gratuite, prive di senso. L’opera filosofica più importante di Sartre è L’essere e il nulla (1943), chiaramente ispirata a Essere e tempo di Heidegger. I concetti tipicamente esistenzialistici (la libertà umana, la gratuità dell’esistenza) vengono sottoposti a raffinate analisi che disegnano un quadro di intersoggettività drammatico, riassunto da Sartre nella frase: “l’inferno sono gli altri”. Per fare un esempio, un posto centrale riveste la categoria dello “sguardo”, messa a fondamento del contesto sostanzialmente violento e inospitale entro il quale si inserisce la condizione umana. L’altro, che inizialmente mi appare come oggetto, nel momento in cui rivolge su di me il suo sguardo mi oggettivizza a sua volta, degrada il mio essere a un “essere-visto-da-altri”.
Gli accenti fondamentalmente tragici de La nausea e di L’essere e il nulla lasciano spazio, nelle opere che seguono la seconda guerra mondiale – e dunque l’impegno di Sartre nella resistenza contro l’occupazione nazista – a una tonalità nuova. La conferenza parigina intitolata L’esistenzialismo è un umanismo (1946) fa il punto sulle riflessioni passate e al contempo accentua il motivo dell’impegno dell’uomo nel mondo, sulla base del principio che “l’esistenza precede l’essenza”. La scoperta della gratuità del mondo, piuttosto che condurre a indugiare sull’assurdità dell’esistenza umana, viene declinata da Sartre per negare ogni forma di riduzionismo deterministico e per esaltare conseguentemente la libertà dell’uomo, la cui natura non è determinata da alcunché. Sartre difende l’esistenzialismo dall’accusa di mettere in risalto “il lato deteriore della natura umana”. La condizione di abbandono dell’uomo nel mondo, invece di portare a una sorta di “quietismo di disperazione”, si presenta come fondamento dell’assoluta responsabilità alla quale nessun uomo può sottrarsi. L’uomo ha la responsabilità totale della propria esistenza, delle proprie scelte.
L’influenza di Sartre sulla cultura francese è decisiva, tanto che si è giunti a parlare del Novecento come del “secolo di Sartre” e dell’esistenzialismo francese nei termini di una moda culturale. L’impegno politico messo in pratica sempre e comunque, secondo molti, ha inquinato il rigore logico che inizialmente apparteneva all’esistenzialismo sartriano: Norberto Bobbio (1909-2004), per esempio, parla di Sartre come di un geniale poligrafo che “ha immolato il proprio genio all’idolo dell’ engagement a tutti i costi, anche a costo della coerenza e della ponderazione” (Enciclopedia del Novecento Treccani, voce Intellettuali). L’aver sposato a tratti incondizionatamente la causa del comunismo conduce Sartre, nella seconda fase della sua produzione filosofica, al tentativo, non sempre riuscito, di sposare il tema esistenzialista dell’impegno con il marxismo (Critica della ragion dialettica, 1960). Queste scelte sono tra i motivi che lo portano alla rottura insanabile con l’altro intellettuale francese di spicco di quegli anni, suo amico fin dalla giovinezza e con lui animatore dal 1945 della rivista “Les temps modernes”, Maurice Merleau-Ponty, un autore che più decisamente si manteneva fedele alla fenomenologia di Husserl.
L’esistenzialismo in Francia non si esaurisce comunque con l’opera di Sartre, ma può contare su altri importanti interpreti. Spicca la figura di Albert Camus: anche in questo caso, l’espressione di motivi esistenzialistici si svolge non soltanto in forme filosofiche (del Camus saggista si possono ricordare Il mito di Sisifo, del 1942, e L’uomo in rivolta, del 1952), ma anche – e soprattutto – letterarie (i romanzi Lo straniero e La peste, rispettivamente del 1942 e del 1947). Inoltre, se Sartre si compiace della coerenza dell’ateismo del proprio esistenzialismo (se Dio non è più, allora il centro di tutto rimane davvero la soggettività, e l’esistenza precede qualsiasi essenza intesa come modello dato da Dio), altri autori tentano di delineare un esistenzialismo che recuperi la tradizione spiritualistica francese e i valori del cristianesimo. È il caso, quest’ultimo, di Gabriel Marcel, che indirizza il proprio esistenzialismo (sviluppato con una certa autonomia: il suo importante Giornale metafisico viene infatti pubblicato nel 1927, lo stesso anno dell’heideggeriano Essere e tempo) nella direzione di un “socratismo cristiano”, poggiante su di un impegno concreto della propria personalità nella ricerca dell’Assoluto. Strettamente legati all’ambiente culturale francese sono anche i nomi di due pensatori esuli dalla Russia che a tutti gli effetti rientrano nella storia dell’esistenzialismo: Lev Šestov (1866-1938) e Nikolaj Berdjaev. Grazie a questi autori si ha la penetrazione di motivi teologici della tradizione religiosa e spirituale russa e lo sviluppo filosofico di tematiche sollevate dai grandi romanzi dostoevskiani.
L’esistenzialismo in Italia
Nel gennaio 1943, la rivista “Primato” ospita due articoli di Nicola Abbagnano ed Enzo Paci che aprono un’inchiesta intorno all’esistenzialismo alla quale partecipano alcune tra le voci più importanti della filosofia italiana di quegli anni. Seppure con sfumature diverse, i due filosofi avanzano la proposta di una forma di esistenzialismo caratterizzata dal rigetto degli esiti fondamentalmente negativi di questa filosofia (fondata com’è su categorie come morte, gettatezza, naufragio, gratuità dell’esistenza ecc.) raggiunti da Heidegger e Jaspers. In particolare, “esistenzialismo positivo” sarà la denominazione della versione di questa filosofia formulata da Abbagnano già prima dell’inchiesta di “Primato” (in La struttura dell’esistenza, 1939; e Introduzione all’esistenzialismo, 1942). Anche in Abbagnano la collocazione dell’uomo nel mondo va in primo luogo interpretata alla luce delle categorie di instabilità, precarietà, rischio, incertezza e problematicità dell’esistenza; l’esistenza è però anche possibilità e libertà, e dunque si prospetta un atteggiamento costruttivo e operativo, diretto essenzialmente verso il futuro. In un altro esponente dell’esistenzialismo italiano, Luigi Pareyson, le istanze esistenzialistiche vengono recepite e sviluppate in modo da rifondare il concetto di “persona” in una prospettiva cristiana. L’esito della crisi del razionalismo moderno, secondo Pareyson, consiste in un’alternativa perentoria: bisogna decidersi pro o contro il cristianesimo, ripensando l’esistenzialismo anche qui in maniera positiva, ma in una direzione teistica e cristiana.