Esecuzioni fiscali: opposizioni e limiti
La recente sentenza della Corte costituzionale, 31.5.2018, n. 114 è intervenuta sull’annosa questione riguardante la improponibilità delle opposizioni all’esecuzione nella esecuzione forzata tributaria. Al di là della questione specifica sottesa al giudizio di legittimità costituzionale, conclusasi con la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 57 del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, nella parte in cui escludeva radicalmente dette opposizioni, la decisione ha una notevole rilevanza nell’ambito dell’esecuzione forzata tributaria, incidendo sull’intero assetto delle forme di tutela con una radicale riscrittura dei relativi limiti. Appare pertanto interessante riesaminare, nel suo complesso, la tutela del contribuente in tale specifica fase, alla luce della importante sentenza della Consulta.
Le esecuzioni fiscali consistono in procedure speciali e “privilegiate”, quasi sempre “espropriative”, finalizzate ad ottenere l’adempimento del contribuente o, in ultima analisi, a sostituirvisi1. In passato esse venivano definite, solitamente, con il termine “esecuzione esattoriale” ovvero “esecuzione mediante ruolo” anche per distinguerle dall’esecuzione speciale tributaria fondata sull’ingiunzione fiscale (parzialmente ancora operante nel settore dei tributi locali), disciplinata dal R.d. 14.4.1910, n. 6392. L’esecuzione forzata tributaria trova, infatti, le sue origini nelle procedure speciali vigenti negli Stati preunitari, generalmente eseguite dagli “esattori”, poi recepite, all’atto dell’unificazione del Regno, nella legge Sella (l. 20.4.1871, n. 192), rispetto alla quale la disciplina vigente contenuta nel Titolo II del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, presenta ancora alcune similitudini3. Le modifiche normative intervenute nel corso degli anni suggeriscono, tuttavia, di abbandonare le definizioni di esecuzione esattoriale o di esecuzione mediante ruolo: infatti, non sarebbe propriamente corretto riferirsi ad essa con il termine di esecuzione esattoriale, poiché la figura dell’esattore è scomparsa a partire dal 1988 ed è stata dapprima sostituita dai concessionari del servizio della riscossione e, a partire dal 2005, dall’agente della riscossione le cui funzioni sono attualmente attribuite all’Agenzia delle entrate riscossione. Né pare ormai corretto utilizzare il termine di esecuzione in base al ruolo, visto che la medesima procedura esecutiva di cui al citato d.P.R. n. 602/1973 può essere iniziata per dare attuazione ad altri titoli esecutivi, quali gli avvisi di accertamento “esecutivi” o la stessa ingiunzione fiscale (si veda a tale ultimo proposito, ad esempio, l’art. 7, co. 2, lett. gg-quater d.l. 13.5.2011, n. 70). Proprio per tale ragione è, probabilmente, più corretto l’utilizzo del termine “esecuzione forzata tributaria” oppure “esecuzioni fiscali” per identificare le procedure finalizzate a dare attuazione ai titoli tributari4. Una tra le questioni più annose e maggiormente dibattute in materia di esecuzioni fiscali (specie relativamente all’attuazione del ruolo e degli accertamenti esecutivi) concerne le forme di tutela5. Infatti, per ciò che riguarda l’esecuzione forzata vi è un limite materiale alla giurisdizione tributaria contenuto nell’art. 2, co.1, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, nella parte in cui dispone che «Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica». Tale disposizione, combinata con il successivo art. 19, indicante gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario6, ha determinato non pochi problemi interpretativi nella individuazione del giudice munito di giurisdizione in materia di atti successivi alla cartella e all’intimazione di pagamento, pur non appartenenti propriamente all’esecuzione forzata nel senso tradizionalmente inteso (penso, ad esempio, al fermo e all’ipoteca7). Inoltre, mentre la sottrazione alla giurisdizione tributaria farebbe pensare alla attribuzione di tali liti al giudice ordinario (ex art. 9 c.p.c.; sempreché si ritenga che la situazione giuridica soggettiva tutelata appartenga al novero dei diritti soggettivi e non a quello degli interessi legittimi, conclusione da sempre avallata pacificamente dalla Suprema Corte8), l’art. 57 d.P.R. n. 602/1973 limita fortemente la proponibilità delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi. Sotto questo profilo, quindi, in taluni casi si potrebbe verificare un assoluto vuoto di tutela9: si pensi al contribuente che ha provveduto a pagare dopo la notifica della intimazione e che, per errore, riceva un pignoramento; oppure al caso di un contribuente che ottiene un’autotutela su un’iscrizione a ruolo (come anche una sentenza favorevole) e, nelle more della comunicazione dello sgravio da parte dell’agente della riscossione, riceva un pignoramento; oppure al caso del pignoramento non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo (casi che, purtroppo, ancora oggi, si verificano spesso nella prassi)10. In tutte queste situazioni, a stretto rigore letterale, il pignoramento non sarebbe impugnabile né in commissione tributaria, stante il limite sancito dagli artt. 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992, né davanti al giudice ordinario, in ragione del disposto dell’art. 57, d.P.R. n. 602/1973. Era a tutti evidente che tale sistema comportasse restrizioni inaccettabili11 e, come si evidenzierà nel successivo paragrafo, in dottrina ed in giurisprudenza si sono, dunque, ipotizzati diversi rimedi per colmare l’evidente vuoto. Il quadro delle tutele, tuttavia, non era comunque soddisfacente, anche a causa della disomogeneità (come si vedrà infra) dei rimedi ipotizzati e di frequenti contrasti giurisprudenziali in tema di giurisdizione. Tale contesto normativo è stato, da ultimo, oggetto di un’importante decisione della Corte costituzionale che ha colmato la maggior parte delle lacune, riscrivendo anche i confini della giurisdizione in materia di esecuzione forzata tributaria. Infatti, i giudici delle leggi hanno ritenuto illegittimo l’art. 57 nella parte in cui «non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile»12.
È interessante, pertanto, osservare come cambiano le tutele nelle esecuzioni fiscali alla luce di questa importante decisione.
La principale funzione dell’art. 57 d.P.R. n. 602/1973 (e prima di esso dell’art. 54 dello stesso decreto, in epoca antecedente alla sostituzione del Titolo II o dell’art. 209, d.P.R. 29.1.1958, n. 64513) era quella di evitare una sovrapposizione di giurisdizioni, ossia di impedire che, attraverso una opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, il contribuente, di fatto, fosse rimesso in termini per contestare un’iscrizione a ruolo non impugnata tempestivamente. Il mezzo, tuttavia, era ampiamente sproporzionato rispetto al fine e, per giunta, il legislatore ne era perfettamente consapevole: prova ne è il successivo art. 59 nella parte in cui dispone che «chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell’esecuzione stessa ai fini del risarcimento dei danni», nonché, in tempi più recenti, l’art. 7, co.1, lett. m), d.l. n. 70/2011 in cui si legge addirittura: «attenuazione del principio del ‘solve et repete’. In caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno». In dottrina si erano creati diversi orientamenti: il primo è quello che riteneva indispensabile un intervento della Corte costituzionale che sancisse la illegittimità dell’art. 57 per violazione dell’art. 24 Cost. a causa dell’assoluto vuoto di tutela14; la dottrina maggioritaria, invece, riteneva più utile procedere ad una interpretazione adeguatrice delle norme e, tra le varie soluzioni, quella più interessante concludeva per l’impugnabilità del pignoramento in Commissione tributaria sempreché il contribuente non fosse decaduto dall’impugnazione di un atto prodromico correttamente notificato15. Tale impostazione, tuttavia, presentava un problema pratico ed uno giuridico: sotto il primo profilo, soprattutto per ciò che concerne la tutela analoga all’opposizione all’esecuzione, avente ad oggetto vizi sopravvenuti ad un atto impugnabile in Commissione tributaria (unico caso in cui sussisteva un concreto vuoto di tutela), l’accesso a tale giurisdizione risultava ostacolato anche dall’individuazione dell’atto impugnabile16; sotto il secondo profilo, l’adozione dell’interpretazione adeguatrice non poteva non tenere conto del fatto che il sistema “positivo” delle tutele era stato, comunque, salvato in passato dalla Consulta con una sentenza che, sostenendo il carattere amministrativo dell’esecuzione forzata tributaria, individuava nel ricorso all’intendente di finanza il rimedio atto a colmare la lamentata lacuna17. Alcuni autori acutamente e provocatoriamente ritenevano reintrodotta una forma di solve et repete visto che la “negata” giustizia si poteva riacquistare solo in via “differita” attraverso l’azione risarcitoria di cui al citato art. 59 d.P.R. n. 602/1973 (provocazione evidentemente non colta dal legislatore del 2011)18. Ad ogni modo, il quadro delle tutele, come tracciato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, era così riassumibile. Fino all’entrata in vigore del d.lgs. 26.2.1999, n. 46, che ha sostituito il Titolo II del d.P.R. n. 602/1973, come detto, l’allora vigente art. 209 cit. (identico al cit. art. 54 nel vecchio Titolo II ed omologo, benché diverso, all’attuale art. 57) era ritenuto legittimo, visto il precedente di giustizia costituzionale: conseguentemente, la giurisprudenza della Suprema Corte concludeva per una “improponibilità assoluta della domanda” con riferimento alle opposizioni precluse dalla norma19. Con l’entrata in vigore del nuovo Titolo II (e la contestuale soppressione di rimedi amministrativi), la giurisprudenza di legittimità è caratterizzata da un minimo ed espresso comune denominatore: «l’inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi stabilita dal d.P.R. n. 602/1973, art. 57 non va intesa (pena la violazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.) come assoluta esclusione della tutela giudiziale delle situazioni soggettive prese in considerazione da dette opposizioni»20. Se il punto di partenza è condiviso da tutte le decisioni, non può dirsi lo stesso per quello di arrivo. In primo luogo, non si ravvisano molti arresti significativi aventi direttamente ad oggetto la questione circa l’opposizione all’esecuzione21: ciò è dovuto al fatto che, in caso di corretta notifica del titolo, la tutela (equiparabile a quella che viene definita opposizione preventiva o “a precetto”, regolata dall’art. 615, co.1, c.p.c.) è espressamente attribuita alle Commissioni tributarie22. Un vuoto di tutela potrebbe, invece, verificarsi, come accennato, in caso di vizi sopravvenuti al titolo correttamente notificato (riesame del titolo, annullamento giudiziale, sospensione, intervenuto pagamento, prescrizione, etc.) con notificazione del pignoramento nonostante l’impossibilità sopravvenuta a procedere ad esecuzione. A questo proposito, il vuoto di tutela era stato colmato, indirettamente, dalla giurisprudenza di legittimità, attraverso l’impugnabilità in Commissione tributaria di altri atti, quali il diniego di autotutela, oppure ritenendo ammissibile un ricorso contro la cartella non correttamente notificata la cui conoscenza da parte del ricorrente fosse avvenuta in un momento successivo, come, ad esempio, all’atto della richiesta di un estratto dei ruoli all’agente della riscossione23. Era, invece, pacifico che le questioni aventi ad oggetto la pignorabilità dei beni ovvero i limiti alla pignorabilità fossero devolute al giudice ordinario24. In tutti gli altri casi, riguardanti vizi tali da pregiudicare radicalmente l’esecuzione e non suscettibili di essere fatti valere nelle opportune sedi per mancata notifica del titolo, secondo la giurisprudenza maggioritaria, si rientrava in una opposizione agli atti esecutivi contemplata dall’art. 57, co. 1, lett. b), cit.25. Relativamente a quest’altra tipologia di azioni (opposizioni agli atti esecutivi) si possono individuare, poi, due opposti orientamenti: il primo di essi stabilisce che l’opposizione agli atti esecutivi si risolve nell’impugnazione del titolo non notificato e, pertanto, l’opposizione è ammissibile e va proposta davanti al giudice tributario ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, estensivamente interpretato26; l’altro, dando maggiore risalto al testo dell’art. 2, co. 1, ultimo periodo, d.lgs. n. 546/1992, afferma la giurisdizione ordinaria perché in tali casi è pur sempre impugnato un atto dell’esecuzione forzata tributaria successivo alla notificazione della cartella di pagamento (con alcuni contrasti circa la rilevanza del vizio dedotto27); pertanto «il giudice ordinario dovrà verificare solo se ricorra il denunciato difetto di notifica all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità del consequenziale pignoramento basato su crediti tributari»28. È prevalso il primo orientamento che, peraltro, coincide anche con quello dottrinario sopra descritto29. Quando il sistema delle tutele sembrava essersi “stabilizzato”, è arrivato l’ormai inatteso intervento della Corte costituzionale. Va evidenziato che il caso sottoposto all’attenzione della Consulta riguardava un pignoramento preceduto da un titolo tempestivamente opposto in Commissione tributaria, in relazione al quale si era verificata una causa di sospensione. L’opposizione proposta in tribunale veniva dunque, correttamente, qualificata come opposizione all’esecuzione ed il giudice a quo, non riuscendo ad individuare una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme esaminate e ritenendo che l’opposizione dovesse essere dichiarata “ingiustamente” improponibile ai sensi del più volte citato art. 57, ha rimesso gli atti alla Corte. Quest’ultima, ripercorrendo l’evoluzione normativa (per giunta confermando la correttezza del precedente degli anni ‘60 che aveva salvato il sistema previgente), ha evidenziato che, se per un verso apparivano aumentate le tutele del contribuente rispetto al passato, dall’altro era venuta meno quella sostitutiva rispetto all’opposizione all’esecuzione (ossia il ricorso all’intendente) e, dunque, il vuoto di tutela, sebbene circoscritto, era concreto. Con una motivazione molto dettagliata quanto ai vuoti di tutela che dovevano essere colmati, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non consente la proposizione delle opposizioni all’esecuzione nelle controversie che riguardano atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’intimazione. Pertanto, alla luce di tale rilevantissima decisione, con riguardo alla forma di tutela qualificabile come opposizione all’esecuzione, come è stato chiarito dalla motivazione della sentenza, la tutela va esercitata entro 60 giorni in Commissione tributaria se concerne uno degli atti ivi impugnabili (quindi, atto impoesattivo, ruolo, cartella, intimazione nonché fermo ed ipoteca); in tutti gli altri casi (riguardanti, in estrema sintesi, vizi sopravvenuti agli atti sopra indicati), la giurisdizione appartiene al tribunale e si può esercitare senza alcun limite di tempo. Resta salva la regola della translatio iudicii, anche per ciò che concerne i termini di decadenza30. Quanto, invece, alla forma di tutela qualificabile come opposizione agli atti, la Corte costituzionale afferma espressamente la correttezza dell’ultimo orientamento della giurisprudenza di legittimità che, come visto, coincide con quanto proposto dalla dottrina. La sentenza in questione, certamente apprezzabile e condivisibile quanto al risultato raggiunto, lascia aperta, in ogni caso, qualche problematica che sarà esaminata nel paragrafo successivo.
In prima battuta va evidenziato nuovamente che la decisione della Corte costituzionale deve essere accolta con estrema soddisfazione dato che, all’esito della stessa, le tutele del contribuente nella fase delle esecuzioni fiscali migliorano decisamente. La stessa decisione, tuttavia, offre lo spunto per qualche riflessione su alcuni aspetti che, probabilmente, saranno chiariti dalla giurisprudenza di merito una volta che il nuovo sistema delle tutele entrerà effettivamente a regime. Un aspetto interessante che emerge dalla decisione è relativo ad una difformità tra il dispositivo e la motivazione31. Infatti, mentre nella motivazione ben si comprende che le opposizioni all’esecuzione oggi ammesse sono tutte quelle non sovrapponibili con tutele già attribuite al giudice tributario, nel dispositivo si legge che sarebbero ammesse tutte le opposizioni all’esecuzione proposte avverso atti successivi alla notificazione della cartella e della intimazione di pagamento. A questo proposito nascono alcune problematiche relative alla corretta interpretazione del dispositivo che, come vedremo, dovrebbero essere risolti senza particolari difficoltà. Quid iuris, relativamente ad una opposizione all’esecuzione che si intendesse proporre successivamente alla notifica di un fermo amministrativo o di un’ipoteca32? Quid iuris, in caso di pignoramento preceduto dalla corretta notifica della cartella di pagamento non impugnata tempestivamente? Invero, in tutti i casi suddetti, si tratta probabilmente di un falso problema poiché, al di là del dato testuale del dispositivo della sentenza della Consulta (dovuta, probabilmente, al tentativo di coordinare l’art. 57, lett. a, con l’art. 2 d.lgs. n. 546/1992), non sarebbe comunque ammissibile una opposizione all’esecuzione per sollevare questioni non proposte tempestivamente nelle opportune sedi (nella specie davanti al giudice tributario), come non è ammissibile, ad esempio, una opposizione all’esecuzione per contestare il merito di un decreto ingiuntivo o di una sentenza ormai definitivi. L’unica osservazione che, a tale riguardo, sembra degna di nota, attiene al tipo di intervento utilizzato dalla Corte costituzionale: era veramente necessaria una sentenza manipolativa additiva? Da quanto evidenziato poc’anzi, probabilmente la soluzione migliore sarebbe stata quella di dichiarare illegittima l’intera lett. a) dell’art. 57 citato, per poi lasciare al giudice di merito la decisione circa l’ammissibilità o meno dell’opposizione, caso per caso (come avviene da sempre per i titoli giudiziali civili). Un altro problema riguarda il riparto di giurisdizione in relazione ad altri atti la cui impugnabilità in Commissione tributaria, come accennato supra, era stata ammessa probabilmente con il tentativo di colmare i vuoti di tutela esistenti dinnanzi al giudice ordinario: mi riferisco al diniego di autotutela ed all’impugnazione di un atto non notificato e conosciuto solo successivamente alla richiesta dell’estratto dei ruoli. Nel primo caso, trattandosi di un atto “facoltativamente impugnabile” in Commissione tributaria33, l’eventuale scelta del contribuente di proporre l’opposizione all’esecuzione non dovrebbe essere pregiudicata dall’esistenza dell’atto, anche se non impugnato davanti al giudice tributario34. Nel caso invece di una cartella non correttamente notificata e conosciuta solo in un momento successivo, come visto, hanno giurisdizione le Commissioni tributarie35. Altre problematiche, infine, attengono all’applicazione alla esecuzione forzata tributaria del rito disciplinato agli artt. 615 e 616 c.p.c.. Tali norme stabiliscono che l’opposizione si propone a mezzo di atto di citazione, qualora l’esecuzione non sia ancora iniziata (art. 615, co.1, c.p.c.) e, in caso contrario, con ricorso (art. 615, co.2, c.p.c.). La scelta risponde a ragioni pratiche: successivamente alla notifica del pignoramento esiste già un numero di ruolo dell’esecuzione, perché l’Ufficiale giudiziario deve provvedere al deposito del fascicolo in tribunale. Il legislatore, in tali ipotesi, ha stabilito che l’opposizione si debba depositare con ricorso per far sì che il Giudice dell’esecuzione, assegnatario della procedura, possa conoscere anche dell’opposizione (ex art. 616 c.p.c.). Per ciò che concerne una opposizione all’esecuzione in ambito tributario ci troviamo nel caso di cui all’art. 615, co.2, c.p.c., dato che la tutela analoga a quella regolata dal co. 1 si esercita davanti al giudice tributario36. Tuttavia, i pignoramenti tributari non sono iscritti a ruolo, in tribunale, se non nella fase finale37. A questo proposito sarebbero ipotizzabili due diverse soluzioni: l’opposizione si presenta sempre a mezzo citazione (dato che, nel momento in cui si propone, generalmente, mancherebbe un ruolo generale dell’esecuzione); l’opposizione si presenta comunque a mezzo ricorso, potendo il debitore (peraltro come avviene anche nell’esecuzione ordinaria) depositare il pignoramento anche prima che lo faccia il creditore (ed immediatamente dopo può depositare il ricorso in opposizione). Nella prassi dei tribunali sembra esserci una preferenza per tale seconda soluzione che, a ben vedere, ha anche il pregio di consentire l’ottenimento di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione in tempi più rapidi rispetto all’altra. Sempre sul fronte del rito, poi, l’opposizione all’esecuzione tributaria risulta particolare rispetto alle altre opposizioni civilistiche di cui all’art. 615, co.2, c.p.c. e, soprattutto, 618 bis, c.p.c. (in materia di previdenza e lavoro). Infatti, il tribunale a cui viene assegnata, in prima battuta, l’opposizione deve fissare un termine perentorio per avviare il procedimento di merito davanti a sé, qualora competente, ovvero, in caso contrario, per consentire la riassunzione. Nelle opposizioni tributarie, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, co.1, d.lgs. n. 546/1992 e 9, c.p.c., il tribunale civile è sempre competente anche per il merito (oltre che per la fase preliminare camerale ex. 185 disp. att. c.p.c.). Pertanto, in ambito tributario la causa di merito viene definitivamente sottratta alla commissione tributaria a differenza di quanto avviene, invece, in altri casi come, ad esempio, nelle controversie previdenziali. Tale ultima questione lascia un dubbio circa l’attuale assetto di tutele, derivante dalla sentenza della Consulta: l’esigenza di un alto grado di specializzazione dei giudici dovrebbe fare riflettere il legislatore circa l’opportunità di attribuire al giudice tributario anche le controversie tributarie relative alla fase esecutiva, visto che, tra l’altro, sembrerebbe in atto l’ennesimo tentativo di una radicale riforma della giurisdizione tributaria38.
1 Una tra le particolarità più significative delle esecuzioni fiscali risiede nel fatto che l’esecuzione forzata può avvenire, in taluni casi, anche attraverso procedure non espropriative. Le procedure di esecuzione forzata regolate nel Libro III del codice di procedura civile e, in generale, dai principi del codice civile (artt. 2910 ss. c.c.) presentano, sin dall’atto prodromico a quello introduttivo (ossia il precetto ex art. 480 c.p.c.), un indubbio carattere coercitivo, nel senso che mirano, comunque, a favorire l’adempimento del debitore prima del compimento della procedura; tuttavia, in caso di prolungato inadempimento, esse terminano con un effetto espropriativo: ossia, il creditore, attraverso gli strumenti riconosciutigli dall’ordinamento, sostituisce l’adempimento del debitore con un atto che, mediato dal potere giurisdizionale, gli consente, in ultima analisi, l’assegnazione di somme originariamente riferibili al debitore (generalmente somme ricavate da crediti o dalla vendita di beni del debitore). Nell’esecuzione forzata tributaria, invece, l’attuazione del tributo avviene, in prima analisi (almeno nella prassi dell’agente della riscossione), attraverso atti meramente coercitivi privi di una efficacia espropriativa (fermo amministrativo, ipoteca, pignoramento presso terzi esattoriale), non mancando, però, altri atti dotati di tale carattere (pignoramento mobiliare ed immobiliare; un discorso più complesso andrebbe fatto, poi, in relazione ad altri strumenti che stanno assumendo, più di recente, un carattere espropriativo “di fatto”, pur non appartenendo al novero degli atti dell’esecuzione forzata; penso alla particolare procedura derivante dal combinato disposto degli artt. 48 bis e 72 bis, d.P.R. n. 602/1973 ed al relativo d.m., 18.1.2008, n. 40). Infine, come accennato nel testo, l’esecuzione fiscale appartiene ai cd. “privilegia fisci” perché caratterizzata da forme semplificate rispetto alla procedura ordinaria e, nelle procedure espropriative, dalla presenza di un giudice dell’esecuzione solo al compimento dell’ultimo atto di assegnazione, salvo particolari interventi anticipati richiesti dalle parti. Sul punto, per un approfondimento della tematica generale, si rinvia alle fonti citate in Odoardi, F., Esecuzione forzata tributaria, in Diritto online Treccani, 2014.
2 La Medica, D., Espropriazione forzata: II Espropriazione forzata esattoriale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1.
3 Per un approfondimento circa l’evoluzione storica si vedano Uckmar, V., Evoluzione della disciplina della riscossione tributaria, in Tosi, L., a cura di, La nuova disciplina della riscossione dei tributi, Milano, 1996, 28; Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, Roma, 2012, 21 ss.
4 Potrebbe essere dubbia l’operatività dell’art. 57 d.P.R. n. 602/1973 alle esecuzioni fondate sull’ingiunzione fiscale, quantomeno per una questione attinente la portata letterale del rinvio operato dall’art. 7, lett. gg-quater, d.l. n. 70/2011; contra, Cass., S.U., 23.10.2017, n. 24965.
5 Si veda nuovamente quanto affermato alla nota precedente. Si cfr. inoltre Puri, P., I confini della giurisdizione tributaria nella riscossione dei tributi, in Basilavecchia, M.– Cannizzaro, S.–Carinci, A., La riscossione dei tributi, Milano, 2011, 386.
6 In base ad una consolidata giurisprudenza, l’elenco dell’art. 19, d.lgs. n. 546/1992 è sì tassativo, ma va letto non in base al mero nomen del singolo atto indicato, bensì in base alla funzione (ragione per cui sono ritenuti impugnabili, in alcuni casi, gli “avvisi bonari”, Cass., 18.5.2011, n. 10987; Cass., 11.5.2012, n. 7344; Cass., 5.10.2012, n. 17010; Cass., 28.11.2014, n. 25297; Cass., 17.7.2015, n. 15029; Cass., 8.9.2015, n. 15957; Cass., 19.2.2016, n. 3315, le risposte agli interpelli, Cass. n. 17010/2012, il diniego di autotutela, Cass., S.U., 10.8.2005, n. 16776 e, più di recente, Cass., 23.8.2017, n. 20314; Cass., 28.3.2018, n. 7616; Cass., 26.1.2018, n.1965, una cartella conosciuta solo al momento della richiesta dell’estratto dei ruoli all’agente della riscossione, Cass., S.U., 2.10.2015, n. 19704. Appare interessante, ai fini dell’indagine, evidenziare la relazione tra la norma in questione e l’interesse ad agire nel processo tributario (come evidenziato da autorevole dottrina: Russo, P., Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1967, 464; si cfr. Cass., 6.7.2010, n. 15946. Si veda anche Porcaro, G., La fase esecutiva tra giurisdizione ordinaria e tributaria, in Rass. trib., 2002, 1381).
7 Si vedano, tra le tante, Cass., S.U., 11.5.2009, n. 10672; Cass., S.U., 5.8.2010, n. 18208. Problematica, poi, risolta sul piano legislativo con l’introduzione di tali atti tra quelli impugnabili in Commissione tributaria, ad opera dell’art. 35, co. 26-quinquies, d.l. 4.7.2006, n. 223.
8 La soluzione di tale problematica passa per un’altra annosa questione dibattuta in materia di esecuzione forzata tributaria concernente la sua natura amministrativa o giurisdizionale. A tale riguardo, per motivi di sintesi, si rinvia a Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, cit., in part. 82 e ss. e alla dottrina ivi citata.
9 Problematica che, come vedremo, è stata risolta dalla Corte costituzionale.
10 Casi che sono figli dell’anacronistica idea di mantenere tuttora distinte le funzioni di “accertamento” da quelle di “riscossione”, in base ad un modello che, mutuato dagli Stati preunitari, ha determinato una conclamata inefficienza della riscossione dei tributi. Con il passaggio delle funzioni di riscossione alla Agenzia delle entrate riscossione sembra più vicina l’unificazione in un unico soggetto delle due funzioni attuative del tributo, ciononostante, ancora oggi si assiste, nella prassi quotidiana, ad una paradossale incomunicabilità tra i due enti che determina le situazioni indicate nel testo.
11 È sintomatico rispetto a quanto si è osservato l’art. 7, co. 1, lett. m), d.l. n. 70/2011.
12 V. C. cost., 31.5.2018, n. 114. Si vedano, tra i primi commenti, oltre alle note di Raggi, N., La Consulta “rottama” i limiti alle opposizioni contro l’Esattore, in Corr. trib., 2018, 31, 2429 e di Randazzo, F., La Consulta ammette entro certi limiti l’opposizione all’esecuzione in materia tributaria, in GT Riv. giur. trib., 2018, 89, 658, anche: Scalinci, C., Dal divieto di opporsi all’esecuzione tributaria “a valle” della cartella di pagamento emerge un incostituzionale vuoto di tutela, in Riv. dir. trib. online; Carinci, A., La consulta rimuove il divieto all’opposizione all’esecuzione: cade una (altra) specialità dell’esecuzione esattoriale, in Il Fisco, 2018, 2642; Leda, R.C., Riscossione esattoriale: la Consulta censura le inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione, in Diritto & Giustizia, 2018, 97, 5; Messina, G., Corte costituzionale: ammissibile l’opposizione all’esecuzione per crediti di natura tributaria, in Ilprocessocivile.it, 28.6.2018.
13 L’art. 209 del Testo unico sulle imposte dirette (c.d. t.u.i.d.), stabiliva che «Le opposizioni regolate dagli articoli da 615 a 618 del codice di procedura civile non sono ammesse», mentre il precedente art. 208 disponeva la possibilità di presentare ricorso all’Intendente di finanza. Le due disposizioni sono state poi riprodotte agli artt. 53 e 54 della prima versione del Titolo II del d.P.R. n. 602/1973.
14 Così Scala, A., La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. trib., 2008, 1299 ss.; nonché Emanuele, E., L’esecuzione esattoriale, Milano, 1981, 56 ss. È un’opinione assolutamente condivisibile sul piano teorico e, a tale riguardo, risultano incomprensibili le evidenti e fortissime resistenze che in passato aveva manifestato la Corte costituzionale. A tal proposito, a fronte di pochissime sentenze che hanno dichiarato la infondatezza della questione (tutte riguardanti l’art. 209, t.u.i.d.), tra le quali si ricorda la più volte citata C. cost., 7.7.1962, n. 87, nonché la manifesta infondatezza con l’ordinanza C. cost., 29.6.1983, n. 198, vi è un nutrito gruppo di decisioni concluse per ragioni di rito: C. cost., 13.4.2011, n. 133 ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione; C. cost., 27. 3.2009, n. 93 ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione; C. cost., 17.7.2007, n. 297 ha restituito gli atti al giudice a quo in tema di fermo amministrativo a seguito dell’introduzione dell’art. 19, co.1, lett. e-bis) ad opera dell’art. 35, d.l., 4.7.2006, n. 223; C. cost., 6.7.2001, n. 242 ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione; C. cost., 16.6.2000, n. 204 ha restituito gli atti al giudice a quo a seguito della modifica apportata dall’art. 16, d.lgs. n. 26.2.1999, n. 46; C. cost., 11.3.1991, n. 112; C. cost., 26.3.1986, n. 68; C. cost., 29.10.1985, n. 252.
15 Si veda, tra i più recenti, Boletto, G., Tutela del contribuente nella fase di esecuzione forzata in caso di omessa o irregolare notifica del titolo esecutivo, in Glendi, C.,Uckmar, V., a cura di, La concentrazione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, 475 ss.; Randazzo, F., Le problematiche di giurisdizione nei casi di riscossione tributaria non preceduta da avviso di mora, in Riv. dir. trib., 2003, II, 914; Id., Esecuzione forzata tributaria: il raccordo tra giudizio ordinario e tributario per una efficace tutela, in Corr. trib., 2011, 2745 ss.; Russo, P.–Fransoni, G., La giurisdizione in materia di fermo di beni mobili registrati, in Il Fisco, 2004, 1191; Porcaro, G., La fase esecutiva tra giurisdizione ordinaria e tributaria, cit., 1381; La Rosa, S., La tutela del contribuente nella fase di riscossione, cit., 1178. La dottrina maggioritaria ha ipotizzato di equiparare l’avviso con il quale viene notificato l’atto esecutivo, agli avvisi in senso stretto o alla intimazione, pur riconoscendo che «si tratta di una forzatura di non lieve momento, giustificabile solo in considerazione della ben più grave lacuna che essa è diretta a colmare». Il virgolettato è di Russo, P.Fransoni, G., op. cit., 1191. A soluzioni analoghe giunge Mercatali, A., La riscossione delle imposte. Nuove norme e nuovi problemi, in Boll. trib., 2000, 4; nonché La Rosa, S., La tutela del contribuente, cit., 1137. Ad una attenta lettura dell’art. 19, co.3, d.lgs. n. 546/1992, non mi sembra affatto preclusa l’impugnabilità in qualunque momento di un atto autonomamente impugnabile (come è il titolo esecutivo) non notificato, poiché l’ultimo alinea, nella parte in cui stabilisce «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo», è una disposizione che dovrebbe tendere a favorire la giurisdizione tributaria e non certo ad escluderla.
16 Ossia dall’individuazione di un atto impugnabile equiparabile per funzione ad uno di quelli indicati all’art. 19, d.lgs. n. 546/1992.
17 Rimedio che tuttavia era solo apparente, dato che il Consiglio di Stato riteneva non impugnabile dinanzi al TAR il diniego dell’intendente, sul presupposto di una asserita sovrapponibilità di tutele con il ricorso in commissione tributaria avverso il ruolo (cfr. Cons. St., 28.12.1984, n. 1067).
18 Si veda Glendi, C., Abolizione dell’avviso di mora: si torna al solve et repete, in Corr. trib., 1999, 2833.
19 L’ultimo precedente in tal senso è rappresentato da Cass., S.U., 9.4.1999, n. 212. Di fatto, quindi, la giurisprudenza riteneva, implicitamente, preclusa e non necessaria alcuna interpretazione adeguatrice dato che il sistema era stato ritenuto costituzionalmente legittimo.
20 Da ultimo Cass., S.U., 7.9.2018, n. 21929 e Cass., S.U., 5.6.2017, n. 13913. Vedasi anche: Glendi, C., Disorientamenti giurisprudenziali al vertice sull’opposizione agli atti esecutivi in materia tributaria, in Corr. giur., 2018, 5, 677; Carnimeo, D., È devoluta al giudice tributario la cognizione dell’opposizione avverso un atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della presupposta cartella di pagamento, in Boll. trib., 2017, 19, 1437; Cané, D., Pignoramento ‘‘a sorpresa’’ e giurisdizione tributaria, in Giur. it., 2018, 5, 1109 – anche i commenti di: Gavioli, F., Opposizione al pignoramento per la mancata notifica della cartella: decide il giudice tributario, in Diritto & Giustizia, 2017, 96, 1; Gobbi, C., È della c.t.p. la competenza per l’opposizione a pignoramento fondato su cartella non notificata, in Iltributario.it, 26.6.2017; Lauropoli, G., Le sezioni unite sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e tributario nel caso di opposizione agli atti esecutivi in materia di tributi, in Ilprocessocivile.it, 4.8.2017; Tabet, G., In tema di pignoramento «a sorpresa», in Rass. trib., 2017, 4, 1114; Glendi, C., Impugnabile davanti al giudice tributario l’atto di pignoramento, in Riv. giur. trib., 2017, 10, 762; Russo, A., Al giudice tributario le liti sui pignoramenti non preceduti da cartella di pagamento, in Il Fisco, 2017, 2587.
21 Unico precedente degno di nota sembra Cass., S.U., 5.7.2011, n. 14667, la quale ha stabilito che la giurisdizione del giudice tributario include anche la controversia relativa ad una opposizione all’esecuzione, nella specie attuata con un pignoramento presso terzi promosso con riguardo al mancato pagamento di tasse automobilistiche, quando oggetto del giudizio sia la fondatezza del titolo esecutivo, non rilevando la formale qualificazione come “atto dell’esecuzione” del predetto pignoramento ed invece contestandosi le cartelle esattoriali emesse per tasse automobilistiche che si ritengano non dovute, in quanto relative ad auto già demolite.
22 Ossia, in questi casi, si impugna il titolo in Commissione tributaria per vizi propri. Si veda Cass., S.U., 22.9.2017, n. 22080.
23 Peraltro, la conferma della giurisdizione tributaria, in tali casi, si ricavava incidentalmente dalla motivazione dell’ultima sentenza della Suprema Corte in tema di opposizione agli atti esecutivi (Cass., S.U., n. 13913/2017). Nel più recente caso, Cass., S.U., n. 21929/2018, riguardante una opposizione agli atti esecutivi deciso in modo conforme al precedente orientamento, il contribuente aveva impugnato anche il titolo esecutivo oltre al pignoramento.
24 Si vedano, ad esempio, Cass., 2.8.2013, n. 18505 e Cass., 4.10.2011, n. 20294.
25 V. anche Cass., 27.10.2016, n. 21690. In senso conforme sembra anche la recente Cass. S.U. 28.6.2018, n. 17126.
26 Questo orientamento è espresso, da ultimo, dalla citata Cass., S.U., n. 13913/2017, nonché, tra le altre pronunce, da Cass., S.U., n. 14667/2011; Cass., 6.12.2016, n. 24915.
27 Sulla rilevanza del vizio dedotto si assiste ad un contrasto tra Cass., 7.5.2015, n. 9246 e Cass., S.U., n. 13913/2017, contra a cui appartiene il virgolettato nel testo.
28 Tale orientamento è espresso, tra le altre pronunce, da Cass., S.U., n. 21690/2016; Cass., S.U., 29.4.2015, n. 8618; Cass., 27.11.2015, n. 24235 e la citata Cass., n. 9246/2015.
29 Ciò si desume sempre dalla Cass., S.U., n. 13913/2017; conforme Cass., S.U., n. 21929/2018; si veda anche quanto detto da Russo, P.–Fransoni, G., op. cit., 1191.
30 V. art. 59, l. 18.6.2009, n. 59.
31 Non è raro imbattersi in tale problematica specie nelle sentenze manipolative: ad es. in quelle additive, come la più volte richiamata C. cost. n. 114/2018; ma anche in quelle ablative, come ad es. C. cost., 6.10.2014, n. 228. Una possibile ragione potrebbe risiedere in un mero fatto pratico che preclude di trascrivere tutti i passaggi logici della motivazione nel dispositivo. A tale ultimo riguardo è interessante osservare come vi sia un contrasto in Cassazione in merito alla prevalenza del dispositivo (soluzione storicamente predominante) rispetto alla motivazione (orientamento più moderno; v., ad es. in relazione alla sentenza della Consulta sopra citata, Cass., 9.8.2017, n. 19806).
32 Atti che possono essere notificati solo dopo la cartella di pagamento e che, secondo il dispositivo della sentenza, sarebbero quindi opponibili in tribunale.
33 Si v., quali esempi di atti facoltativamente ovvero “autonomamente” impugnabili, Cass. n. 17010/2012 e Cass., 11.11.2015, n. 23061 con effetti radicalmente opposti in caso di loro mancata impugnazione. Quanto al diniego di autotutela si rinvia, invece, alla precedente nota VI.
34 Si riconosce però che tale soluzione ricorda molto quanto affermato da Cass. n. 9246/2015, secondo cui la giurisdizione poteva cambiare in base al petitum, soluzione criticata da Cass., S.U., n. 13913/2017.
35 Si richiama a tale riguardo la precedente nt. 25.
36 In passato, l’opposizione avverso l’ipoteca iscritta per un importo inferiore al minimo legale è stata però equiparata all’opposizione avverso il pignoramento per impignorabilità di beni (citata Cass., S.U., n. 18505/2013). Quindi si tratta di una forma di tutela rientrante nel primo comma dell’art. 615 c.p.c. Oggi, però, con l’introduzione dell’ipoteca tra gli atti impugnabili in Commissione tributaria, la questione sembra essere stata risolta. Inoltre, da ultimo, si è affermata la giurisdizione tributaria nel caso di opposizione riguardante l’atto di precetto che si assuma viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento di natura tributaria o degli altri atti presupposti (si veda la cit. Cass., S.U., n. 17126/2018).
37 Per giunta, il pignoramento presso terzi, invece, potrebbe non essere conosciuto mai da un giudice dell’esecuzione (salvo il caso di opposizione).
38 V., ad es., d.d.l. 10.4.2018, n. 243, presentato al Senato della Repubblica.