ESECUZIONE
. Diritto. - Il termine è usato nel linguaggio giuridico con varie accezioni. Per il diritto privato, v. processo. In diritto pubblico sono di particolare importanza: l'esecuzione amministrativa, e, nel campo proprio del diritto penale, l'esecuzione delle condanne penali; l'esecuzione capitale e l'esecuzione d'ordine.
Esecuzione amministrativa.
In diritto amministrativo la parola "esecuzione" ha anzitutto il comune significato generico di "compimento", "attuazione"; inoltre designa l'operazione o il complesso delle operazioni occorrenti per dare effetto alla volontà manifestata in un atto amministrativo. In questo speciale senso l'esecuzione si presenta come svolgimento della "esecutorietà" dell'atto amministrativo. Le opposizioni all'esecuzione di tale atto che assumano forma legale mediante ricorsi, azioni giudiziarie, ecc., possono trovare accoglimento presso le competenti autorità, ma, di regola, l'esecuzione non resta sospesa dalla semplice presentazione di esse.
L'esecuzione amministrativa coattiva, che corrisponde a una forma di tutela del principio di autorità, può avere luogo in varî modi, di cui i principali sono: l'esecuzione di ufficio dell'atto compiuta a cura di agenti o incaricati dell'amministrazione e a spese dell'inadempiente; l'uso della forza sulle cose contemplate dall'atto o verso le persone obbligate a dargli effetto o a rispettarlo; la comminazione e l'applicazione di sanzioni amministrative; l'esecuzione patrimoniale, mercé il concorso di autorità giudiziarie, di atti che portano obbligo di pagamento. L'esecuzione d'ufficio è talora subordinata dalla legge alla ricorrenza di circostanze di urgenza o di esigenze di grave necessità pubblica. La possibilità dell'esecuzione coattiva diretta dei proprî atti da parte dell'autorità amministrativa è considerata in dottrina come un "privilegio" di tale autorità nei rapporti con i privati, giustificato dalla qualità dei fini che la medesima si propone e dalla presunzione di legittimità inerente nelle manifestazioni del suo volere.
Anche l'esecuzione delle decisioni delle autorità amministrative dotate di giurisdizione viene fatta, tranne che per la parte relativa alle spese, in via amministrativa, mentre in questa parte tanto le decisioni quanto le successive ordinanze di tassazione costituiscono "titoli esecutivi" a senso e per gli effetti del codice di procedura civile. Quando la decisione ponga a carico dell'amministrazione un obbligo di fare in favore di un privato, questi non può ottenerne l'adempimento coattivo con mezzi diretti, ma ha aperte dinnanzi a sé varie vie per procurare di conseguire ciò che gli spetta, come, ad esempio, l'impugnativa dell'atto di espresso rifiuto dell'esecuzione, la denunzia dell'omissione all'autorità gerarchicameme superiore a quella che dovrebbe eseguire, o analoga denuncia all'autorità che esercita vigilanza o tutela su quest'ultima, tanto più se abbia anche il potere di sostituirsi ad essa, l'azione di danni contro l'amministrazione, ecc.
Bibl.: U. Borsi, L'esecutorietà degli atti amministrativi, Torino 1901, p. 138 seg.; id., Fondamento giuridico dell'esecuzione forzata amministrativa, in Studi senesi, XXII (1906), p. 69 seg. F. Cammeo, Cammentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano s. a., p. 690 seg.; id., L'esecuzione di ufficio nei riguardi dei regolamenti comunali, in Giurisprudenza ital., 1928, p. 1; U. Borsi, La giustizia amministrativa, Padova 1930, pp. 28 seg., 233 seg.; R. H. Herrnritt, Grundlehren des Verwaltungsrechts, Tubinga 1921, p. 350 seg.; O. Dupont, Les conditions de la légalité de l'execution forcée par la voie administrative, in Revue du droit public, 1925, p. 347 seg.; R. Fernández De Velasco, El acto administrativo, Madrid 1929, p. 239 seg.; O. Ranelletti, Lezioni di diritto amministrativo, I, Napoli 1921, p. 122 segg., III, ivi 1924, p. 212 segg.; S. Romano, Corso di diritto amministrativo, Padova 1930, p. 231 segg.; M. Hauriou, Précis de droit administratif, 11ª ed., Parigi 1927, p. 475 segg.
Esecuzione delle condanne penali.
La fase ultima e definitiva del processo penale è quella di esecuzione. Essa ha per presupposto l'accertata legittimità della pretesa punitiva dello stato, ed è diretta alla concreta realizzazione del diritto giudizialmente riconosciuto allo stato, mediante l'assoggettamento del condannato all'espiazione della pena. L'esecuzione delle sentenze penali si attua, prevalentemente, con l'esercizio di funzioni amministrative. È ammesso tuttavia l'intervento del giudice, che vi esplica una funzione giurisdizionale quando sorgano controversie fra il diritto dello stato ad attuare coattivamente la sanzione e il diritto del condannato all'applicazione, anche in questa fase, della legge penale e della sentenza. Altre manifestazioni di attività giurisdizionale incidono nel processo esecutivo e sono determinate: 1. dal sopravvenire di cause di estinzione del reato o della pena (amnistia, prescrizione, liberazione condizionale, riabilitazione, ecc.); 2. dal verificarsi di un evento che risolva una condizione posta nella sentenza (es.: sospensione condizionale della pena) o in un provvedimento amministrativo (amnistia, indulto o grazia condizionati); 3. dalla necessità di provvedere all'identificazione delle persone che debbono essere assoggettate alla pena; 4. da correzione di errori materiali nella sentenza.
La sentenza che ha definito il giudizio può avere esecuzione così agli effetti penali come a quelli civili. Nel primo caso ha per oggetto l'esecuzione delle pene, principali (detentive o pecuniarie) e accessorie, e delle misure di sicurezza; nel secondo concerne il pagamento delle spese processuali, le garanzie patrimoniali di esecuzione per l'attuazione delle disposizioni relative al risarcimento del danno, e la destinazione legale delle cose poste sotto sequestro.
Affinché una decisione del giudice penale possa avere esecuzione è necessario che essa sia divenuta eseguibile e cioè sia divenuta irrevocabile per non essere ormai contro di essa ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Normalmente i giudicati penali non hanno esecuzione provvisoria, stante il carattere di irreparabilità che è proprio dell'esecuzione penale. Il codice di procedura penale italiano (1930) prevede che la legge possa autorizzare l'esecuzione provvisoria delle sentenze penali (art. 576). Un esempio di esecuzione provvisoria è stabilito per le pene accessorie o le misure di sicurezza negli articoli 485 e 486. Anche i provvedimenti che il giudice dispone con la sentenza di condanna per adulterio e concubinato (art. 562 cod. pen.) si eseguono provvisoriamente.
L'esecuzione è affidata a organi del potere esecutivo. Vi provvedono, d'ufficio, il pubblico ministero per le sentenze dei tribunali e delle corti, e il pretore per le proprie sentenze. A tali organi è affidata pure la determinazione della pena complessiva, risultante dal concorso di pene inflitte contro la stessa persona con sentenze o decreti diversi, la conversione in pena detentiva delle pene pecuniarie non soddisfatte e la applicazione delle norme sul differimento dell'esecuzione della pena. L'interessato che ritenga uno dei provvedimenti emessi dagli organi esecutivi lesivo di un suo diritto può reclamare e promuovere un incidente di esecuzione, la soluzione del quale è attribuita al giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna, osservata la garanzia del contraddittorio e mediante provvedimenti (ordinanze) soggetti al sindacato della Corte di cassazione.
L'esecuzione delle pene è differita, obbligatoriamente o facoltativamente, nei casi di cui agli articoli 146 e 147 cod. pen. L'esecuzione di una pena detentiva può altresì essere sospesa se al condannato sopravvenga un'infermità psichica (art. 147 cod. pen.). Un caso di sospensione è previsto nell'art. 155 del testo unico delle leggi sul reclutamento del R. Esercito (r. decr. 5 agosto 1927, n. 1437), per cui le pene inflitte ai renitenti sono scontate dopo che essi vengono inviati in congedo illimitato.
Il codice di proc. pen. italiano (art. 579) stabilisce che nel caso in cui siano divenute irrevocabili più condanne pronunciate contro la stessa pena per lo stesso fatto, la Corte di cassazione dispone l'esecuzione della sentenza che ha pronunciato la condanna meno grave. Altro organo di esecuzione è il giudice di sorveglianza (art. 144 del cod. pen.), il quale vigila sull'esecuzione delle pene detentive. Si tratta di funzione essenzialmente amministrativa, onde tutti i provvedimenti sono deliberati con ordini di servizio, revocabili e non soggetti a reclamo.
L'esecuzione delle misure di sicurezza, che pur essendo provvedimenti di carattere amministrativo sono applicate dal giudice, è pure diretta e controllata dal giudice con opportune garanzie giurisdizionali. La competenza per l'applicazione (fuori dell'istruzione e del giudizio), per la modificazione, sostituzione e revoca delle misure di sicurezza e per ogni altro provvedimento ad esse relativo appartiene al giudice di sorveglianza, il quale provvede con decreti, anche d'ufficio, senza formalità di giudizio, sentiti il pubblico ministero e l'interessato. Tali decreti sono soggetti ad impugnazione: sul ricorso decide un consigliere della Corte d'appello delegato dal primo presidente, con provvedimento che, a sua volta, è soggetto a ricorso per revisione su cui decide un consigliere di Cassazione delegato.
L'esecuzione della condanna alle spese processuali è affidata, sotto la direzione e la vigilanza del pubblico ministero, al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna ed è regolata dalle norme contenute nella tariffa penale. Vi concorre la polizia tributaria (istituita con la legge 7 gennaio 1929, n. 4), svolgendo un'attività d'informazione e vigilanza, per stabilire la solvibilità del condannato. L'effettiva espiazione delle pene detentive è disciplinata dalle norme contenute nel regolamento carcerario.
Esecuzione capitale.
Le pene vanno considerate nel momento (legislativo) della minaccia, in quello (giudiziale) dell'inflizione e in quello (amministrativo) dell'esecuzione. L'esecuzione capitale non è, pertanto, che il momento terminale della pena di morte o capitale.
Dal punto di vista storico, l'esecuzione capitale richiama alla mente le più atroci modalità: l'impiccamento, lo squartamento, il mazzolamento, il rogo, la ghigliottina, ecc. L'Inghilterra ha conservato l'impiccamento; la Francia, dall'epoca della Rivoluzione, ha adottato la ghigliottina; l'America del Nord ha la sedia elettrica.
Nell'ordinamento penale militare, la pena capitale si esegue mediante la fucilazione nel petto o nella schiena, a seconda della minore o maggiore gravità del delitto. L'Italia che ha ripristinato (1925) la pena di morte per i delitti più gravi contro lo stato e la sua costituzione politica, e l'ha poi estesa con il nuovo codice penale (1930) ai più gravi delitti comuni, ha adottato il sistema militare della fucilazione (art. 21 cod. pen.).
L'esecuzione, di regola, è effettuata nell'interno di uno stabilimento penitenziario, qualora il ministro della Giustizia non disponga che abbia luogo in pubblico. L'esecuzione della pena di morte presuppone che il condannato sia in potere dell'autorità: pertanto (art. 580 cod. proc. pen.), se il condannato non è detenuto, il pubblico ministero deve emettere l'ordine di carcerazione contro di lui. Di regola, le sentenze sono esecutive quando sono divenute irrevocabili (art. 576 cod. proc. pen.); però l'esecuzione di una condanna capitale rimane sospesa, nel caso di presentazione di domanda di grazia, se prima non sia stato deciso sulla medesima (n. 3 dell'art. 146 cod. pen.). Peraltro, anche se non vi sia domanda di grazia, il pubblico ministero, prima di provocare l'esecuzione, deve attendere le disposizioni del ministro della Giustizia (art. 580 cod. proc. pen.). Devono assistere all'esecuzione (art. 580 ora citato) un rappresentante del pubblico ministero, il segretario del medesimo, un medico e, ove il condannato ne esprima il desiderio, un ministro del culto da lui professato. Il medico constata la morte; il segretario redige verbale dell'avvenuta esecuzione, della quale deve farsi menzione sull'originale della sentenza di condanna. Per l'art. 39 del r. decr. 28 maggio 1931, n. 602, le dichiarazioni che il condannato alla pena di morte intendesse eventualmente fare debbono essere ricevute dal procuratore del re, occorrendo anche sul luogo dell'esecuzione, e cioè senza alcun rinvio dell'esecuzione stessa. Sulla condizione giuridica del condannato a morte (incapacità civile) dispone l'art. 38 cod. pen. equiparando il condannato stesso a colui che ha riportato condanna all'ergastolo; con che si ha, fra l'altro, la nullità del testamento che il giustiziato avesse fatto anche prima della condanna (2° capov. dell'art. 32 cod. penale).
Esecuzione d'ordine.
L'esecuzione d'ordine è, accanto all'esecuzione di legge, alla legittima difesa, al consenso dell'offeso, ecc., una delle cause di esclusione della responsabilità penale; in altre parole, il comando di un superiore può, in determinati casi e circostanze, scriminare l'atto di chi è chiamato ad eseguirlo. Ciò non solo quando si tratti di un ordine legittimo, ma anche nel caso in cui l'ordine sia illegittimo, e il superiore venga, conseguentemente, chiamato a risponderne. A quest'ultimo caso particolarmente si riferisce l'istituto, mentre il primo rientra agevolmente fra le ipotesi di esecuzione di legge.
L'istituto ha origmi remote. Negli ordinamenti giuridici dei popoli primitivi il suo campo di applicazione era molto più vasto, poiché l'efficacia scriminante dell'ordine del superiore si esplicava con singolare energia anche nel campo dei rapporti di famiglia. La natura politica deg]i antichi aggregati familiari e il pieno diritto di disposizione del capo di famiglia sulla persona e sulla volontà di tutti i soggetti al suo potere spiegano il fenomeno: di fronte al capo i figli e i servi appaiono non uomini ma cose, semplici strumenti di quell'unica volontà. Velle non credìtur qui obsequitur imperium patris vel domini. Ma quando per l'incessante lavorio di dissolvimento operato dallo stato e per il prevalere delle concezioni elleniche e cristiane, la natura dell'aggregato familiare si trasforma da società indipendente e sovrana, in società domestica, l'ordine dell'autorità perde ogni efficacia nel campo dei rapporti di famiglia e l'ambito dell'istituto si restringe ai soli rapporti di diritto pubblico.
L'efficacia dell'istituto nel diritto pubblico è giustificata dalla struttura gerarchica dello stato per cui l'inferiore non può sindacare gli ordini impartiti dal superiore. Tale sindacato non solo sarebbe dannoso, ma rovescerebbe addirittura il sistema di organizzazione delle autorità e il principio della subordinazione gerarchica. L'inferiore è conseguentemente tenuto all'esecuzione dell'ordine ricevuto, sempre che sussistano questi tre requisiti: a) che l'ordine rientri nella sfera di competenza dell'autorità che lo ha impartito; b) che sia dato nella forma dovuta; c) che la sua esecuzione rientri nella sfera di competenza di colui che è chiamato ad eseguirlo. Il dovere di esaminare gli ordini ricevuti si riporta, pertanto, alla sola legalità formale dei medesimi (forma e competenza). Quando l'ordine è formalmente legale l'inferiore è tenuto ad eseguirlo, in virtù del dovere di obbedienza verso i suoi superiori gerarchici. L'efficacia scriminante dell'ordine del superiore è una logica conseguenza di questi principî. Se non è possibile concedere agl'inferiori un sindacato sull'intrinseca legalità dell'ordine che sono chiamati ad eseguire, se essi sono tenuti all'esecuzione tutte le volte che l'ordine appaia formalmente legittimo, è ovvio che non debbano rispondere dell'esecuzione di esso, poiché, anche se l'ordine è intrinsecamente illegittimo, essi, eseguendolo, hanno adempiuto a un loro preciso dovere. L'atto che compiono è non soltanto lecito, ma addirittura doveroso.
Taluni autori reputano, tuttavia, che l'impunità dell'inferiore che esegue un ordine illegittimo non derivi dalla liceità dell'atto di esecuzione, ma da mancanza di colpa. Secondo questa teoria non è ammissibile che il medesimo atto sia considerato lecito nei confronti di chi lo esegue, e illecito nei confronti del superiore che lo ha ordinato e che è tenuto a rispondere della sua esecuzione. La illiceità è una qualifica obiettiva del fatto, e come tale o sussiste o non sussiste nei confronti di quanti sono concorsi a produrlo. Sussisterebbe perciò anche nei confronti dell'inferiore, per quanto egli non sia tenuto a rispondere del reato cosi commesso, per difetto di colpa, avendo agito nella fondata convinzione di compiere un atto lecito. Ma gli argomenti addotti a sostegno di questa opinione non sono decisivi. Il diritto non valuta il fatto in sé, ma, sempre e necessariamente, nei confronti del soggetto che lo ha compiuto. Nulla vieta perciò che il medesimo fatto apparisca lecito ed illecito, a seconda dell'angolo visuale dal quale si considera.
Il difetto di colpa, come causa d'impunità dell'inferiore, può venire in considerazione soltanto quando l'obbligo di esecuzione non sussiste, ad es., perché l'ordine non è munito dei tre requisiti formali sopra indicati o perché si tratta di un ordine che, eccezionalmente, poteva essere sindacato dall'inferiore anche nel merito. In questi casi, l'inferiore che esegue l'ordine, nell'erroneo convincimento di essere obbligato all'esecuzione, non risponde del suo atto, perché in lui fa difetto la colpa, ma la sua azione è illegittima. Le due ipotesi di esecuzione d'un ordine illegittimo obbligatorio e d'un ordine illegittimo non obbligatorio sono diverse e vanno considerate diversamente, come è posto in chiara luce dal codice penale italiano del 1930.
Bibl.: Manca una monografia particolare degna di rilievo nelle letterature italiana, francese e inglese; abbondante invece è la letteratura tedesca. Si possono consultare i trattati e le opere generali, e gli studî sulle cause di esclusione dell'antigiuridicità.