esdebitazione
esdebitazióne s. f. –
Costruito sul modello anglosassone del discharge, l’istituto dell’e. è stato introdotto con la riforma del diritto fallimentare (d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) e costituisce un beneficio, accordato all’imprenditore sfortunato ma corretto, consistente nella liberazione dai debiti che risultino non integralmente soddisfatti all’esito della procedura concorsuale. La finalità perseguita è quella di consentire al fallito di avviare nuove iniziative imprenditoriali senza essere gravato da debiti pregressi (cosiddetto fresh start). Secondo la previsione di cui all’art. 142 della legge fallimentare, il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che: a) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; c) non abbia violato le disposizioni sugli obblighi di consegna della corrispondenza; d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; e) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; f) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. L’e. non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.
Il beneficio dell’e. non si estende: a) agli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque alle obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa; b) ai debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché alle sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
L’e. conseguita dal fallito non pregiudica i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
Il tribunale, su istanza del fallito (o dei suoi eredi), con il decreto di chiusura del fallimento o a seguito di ricorso presentato entro l’anno successivo, verificate le condizioni di cui all’art. 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dichiara inesigibili i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente (art. 143 legge fallimentare).
Contro il decreto (di rigetto o di accoglimento) che provvede sull’istanza, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo dinanzi alla Corte d’appello. La decisione sul reclamo è ricorribile per cassazione. Il nuovo istituto introdotto con la riforma del diritto fallimentare potrebbe, tuttavia, non superare il controllo di legittimità costituzionale. La dichiarazione di inesigibilità, che chiude il procedimento di e. e determina la liberazione del debitore fallito, comporta infatti anche il definitivo sacrificio delle aspettative di soddisfazione dei creditori. Si determinerebbe, in tal modo e a danno di questi ultimi, una sorta di espropriazione senza indennizzo dei crediti rimasti insoluti, non compatibile con i principi della Costituzione. D’altra parte, la scelta operata dal legislatore di accordare un beneficio al debitore fallito sacrificando i diritti legittimamente vantati dai suoi creditori potrebbe risultare non rispondente a criteri di coerenza e di ragionevolezza.