ESCHINE (Αἰσχίνης, Aeschĭnes)
Uomo politico e oratore ateniese del demo di Cotocide, figlio di Atrometo e di Glaucotea, nato intorno al 390 a. C. Le notizie sulla sua famiglia e sulla sua giovinezza, giunteci quasi tutte per opera del suo avversario Demostene, sono prive di ogni sicuro fondamento, perché esagerate e travisate. Pare certo a ogni modo che la sua famiglia, di buona origine, fosse caduta in povertà e che E. fosse stato costretto a fare lo scriba, poi l'attore e infine il segretario della bulè: incarico che lo mise in relazione con Eubulo (v.), nel partito del quale cominciò la sua carriera politica. Come seguace di Eubulo ci appare infatti nella sua prima azione pubblica a noi nota: la difesa della proposta che Eubulo fece nel 348 di mandare ambasciatori nel Peloponneso per costituire una lega contro la Macedonia, approfittando dell'indignazione provocata dalla recente distruzione di Olinto. E. fu poi appunto uno degli ambasciatori e, come gli altri, non riuscì a ottenere nulla. Il fallimento di questo tentativo dovette avere parte essenziale nel convincere E. che era impossibile resistere alla crescente potenza di Filippo e che quindi conveniva ad Atene di accordarsi con lui, entrando nell'orbita della sua politica. E. divenne da allora il campione del partito filo-macedonico in Atene, ma, conformemente alla sua scarsa cultura ed elevatezza spirituale, non riuscì mai a dare un valore ideale all'adesione di Atene al panellenismo di Filippo, come invece andava teorizzando ad esempio Isocrate. Per lui l'amicizia con Filippo fu sempre questione di piatta convenienza politica: ciò che spiega la stessa piattezza dei suoi discorsi, se anche non è da disconoscere che egli portasse nel sostenere il suo punto di vista un realismo vigoroso e una sostanziale onestà d'intendimenti. Ma è naturale che un uomo di alto senso morale e, per altro verso, di scarsa comprensione per le opinioni diverse dalle sue, come Demostene, non riuscisse mai a rendersi ragione dell'indifferenza che E. dimostrava per le tradizioni ideali di Atene e non la potesse spiegare se non con la corruzione e il tradimento. Il dissidio tra i due cominciò nel 346, quando entrambi parteciparono alle ambascerie ateniesi mandate a concludere la cosiddetta pace di Filocrate con Filippo (v. per questa e per gli avvenimenti che seguono demostene; filippo; grecia: Storia). Mentre Demostene subiva questa pace solo come necessità del momento, E. la riteneva il punto di partenza per tutta una rinnovata politica ateniese: e per farla accettare non esitò a esagerarne i vantaggi, lasciando intendere agli Ateniesi che Filippo non ne avrebbe approfittato per attaccare i Focesi, che pure erano stati lasciati fuori deliberatamente dal trattato, certo con l'assenso di Demostene stesso. Ma Demostene approfittò di queste dichiarazioni compromettenti del suo collega e di altre voci ancora meno rilevanti e fondate sul suo conto per accusarlo e farlo accusare di corruzione, che era il mezzo abituale in Atene per combattere gli avversarî politici. Il processo ebbe due fasi. Nella prima, nel 346 stesso, l'accusa fu sostenuta contro E. da un certo Timarco, ma E. riuscì a evitare perfino la discussione della causa, accusando a sua volta d'immoralità il suo avversario nell'orazione Contro Timarco a noi pervenuta e facendolo privare dei diritti politici. Tre anni più tardi la causa fu ripresa con un diretto duello tra E. e Demostene nelle due orazioni di uguale titolo Sulla violazione dei doveri di ambasciatore (Περὶ παραπρεσβείας), e ancora una volta E. poté liberarsi dall'accusa di corruzione, che del resto, come dimostrano gli stessi argomenti addotti dal suo avversario, era infondata. A Demostene riuscì tuttavia di paralizzare ogni effettiva azione del partito filo-macedonico di Atene e di dominare pressoché incontrastato in Atene fino alla battaglia di Cheronea (338); sicché E. in quegli anni dovette rassegnarsi a rimanere quasi sempre inattivo. L'unica occasione importante di agire gli fu consentita dalla sua nomina a pilagoro nella riunione anfizionica dell'autunno del 340. Qui E. fu uno degli strumenti essenziali del giuoco di Filippo, che, per impedire l'avvicinamento di Tebe e di Atene, che allora si andava già profilando, da una parte fece accusare di empietà da un delegato di Anfissa, alleata di Tebe, Atene, perché aveva dato aiuto ai Focesi contro Tebe nella guerra sacra, e dall'altra incitò o almeno lasciò libero E. di accusare Anfissa di sacrilegio per aver coltivato la pianura sacra di Cirra: così Atene e Tebe erano poste necessariamente di fronte. Ma il colpo andò a vuoto, perché Demostene impedì ad Atene di partecipare alla guerra anfizionica contro Anfissa, che E. aveva fatto approvare. Nemmeno dopo il 338 riuscì a E. e ai suoi partigiani di strappare la direzione della politica ateniese al partito anti-macedonico, per quanto la sua autorità crescesse in Atene ed egli avesse occasione di rappresentarla più di una volta in trattative con Filippo e con Alessandro. In un estremo tentativo di abbattere il prestigio di Demostene in Atene E., sconfitto, fu costretto a porre fine alla sua attività politica. Nel 337 un certo Ctesifonte aveva proposto che Demostene fosse incoronato nel teatro per le sue benemerenze. Eschine ebbe l'inabilità di preporre alle argomentazioni giuridiche inconfutabili - le quali dimostravano che non si poteva incoronare un magistrato in carica e tanto meno in un teatro - argomentazioni politiche, le quali gli sollevarono contro i giudici. Demostene ebbe facile giuoco nel 330, quando fu discussa dopo molto ritardo la causa, a opporre all'orazione di E. Contro Ctesifonte la sua Per la Corona, dove faceva l'apologia della sua opera politica. La corona fu concessa a Demostene; ed E. andò in volontario esilio in Asia poi a Efeso e a Rodi, dove morì in anno ignoto.
Fonti: Le orazioni di E. stesso e di Demostene, sulle quali, aggiunte poche altre notizie, sono elaborate le vite da noi possedute: tre di anonimi (una nelle vite dei dieci oratori e due altre), di Apollonio, di Fozio e di Suida. Un frammento di vita è nel Papiro Ossirinchio XV 1800. Edizione principe delle orazioni quella di Aldo Manuzio, Venezia 1513; ed. migliori: Schultz, Lipsia 1865 (la migliore per gli scolî); Weidner, Berlino 1872; Blass, Lipsia 1908; Martin e Budé, Parigi 1927-28. Dodici lettere, aggiunte abitualmente alle edizioni, sono apocrife. A una guarigione, ritenuta miracolosa, di E. nel santuario di Epidauro si riferisce l'epigramma dell'Antologia Palatina, VI, 330, come dimostra R. Herzog (Die Wunderheilungen von Epidauros, Lipsia 1931, p. 39 segg.).
Bibl.: Oltre alle storie greche, F. Blass, Attische Beredsamkeit, II, ii, 2ª ed. Lipsia 1898, p. 153 segg.; G. De Sanctis, Eschine e la guerra contro Amfissa, in Riv. di filologia, XXV (1897), p. 215 segg.; C. Schwegler, De Aeschinis quae feruntur epistolis, Giesen 1913. Gli studî più importanti su Eschine sono nelle opere dedicate a Demostene (v.).