esca
Il sostantivo è usato da D. in entrambi i suoi significati fondamentali, nel senso cioè letterale ed etimologico di " cibo ", e nell'altro, derivato com'è noto dal primo, di " materia secca e infiammabile " usata perciò per accendere il fuoco. Di quest'ultimo significato si ha un solo esempio: If XIV 38 la rena s'accendea, com'esca / sotto focile, a doppiar lo dolore; nel primo valore s'incontra in Pg II 128 li colombi adunati a la pastura / ... se cosa appare ond'elli abbian paura, / subitamente lasciano star l'esca.
Nel senso particolare di " cibo con cui si attirano gli animali per catturarli ", e con il valore figurato di " invito ", " lusinga ", è usato invece in Rime CVI 110 Fassi dinanzi da l'avaro volto / vertù... / ma poco vale, / ché sempre fugge l'esca. Così anche in Fiore LVIII 13 ma e' son esca per ucce' pigliare. Da questo significato figurato la locuzione ‛ prender l'e. ', con valore di " cedere alla tentazione ", in Pg XIV 145 Ma voi prendete l'esca, si che l'amo / de l'antico avversaro a sé vi tira, nel senso che il peccato appare lusinghevole e attrae nella rete del demonio gli uomini che si lasciano adescare (i due sostantivi tornano in coppia anche in Petrarca Rime CCXII 14 " In tale stella presi l'esca e l'amo "). Alcuni copisti hanno letto sì che l'esca [" l'esca della vampa "] in luogo di sì ch'ella esca [quindi da " uscire "] in Pd XVII 8; cfr. Petrocchi, ad l.