ESAMETRO (gr. ἑξάμεῖρον)
Si chiama comunemente, senz'altro, esametro l'esametro dattilico, il verso che da Omero in poi è tradizionale per tutta l'antica epopea (v.) greca e romana, compresa anche quella che noi chiameremmo piuttosto poesia didascalica, ma nel quale sono scritti del resto anche gl'Idillî di Teocrito e le Egloghe di Virgilio. Lo schema è composto di cinque dattili, sostituibili ognuno da uno spondeo, e da un piede bisillabo, consistente di una lunga e di una sillaba ancipite (cioè breve o lunga a piacere): dunque
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L'indifferenza quantitativa dell'ultima sillaba mostra che dopo ogni esametro v'era pausa; una certa tendenza originaria ad adeguare proposizione e verso, e specie il divieto di enclitiche in principio di verso confermano questa induzione. L'esametro dattilico appare a noi quale verso recitativo; ma esso deve essere svolgimento ulteriore di versi cantati. La sua preistoria è tuttavia sinora impenetrabile: la difficoltà maggiore consiste in ciò che esso, a differenza di altri versi greci, non ha analogie in altre lingue indoeuropee: dovunque si trova, esso deriva da imitazione greca.
A tutti gli esametri greci e latini è comune, si può dire, solo lo schema quantitativo, ma nulla più. Noi (trascurando il tardo Nonno: v.) distinguiamo solo, per brevità, per il greco l'esametro omerico da quello di Callimaco, per il latino l'esametro di Ennio da quello di Virgilio.
L'esametro omerico ha, di regola, cesura nel terzo piede: dopo il terzo trocheo (cesura trocaica) o dopo la terza arsi (pentemimere); solo eccezionalmente, per lo più per costrizione esercitata da nomi proprî, dopo la quarta arsi (eptemimere); sostituzione spondaica nel quinto piede non frequente (i verso su 50), e, ogniqualvolta è ammessa, la parola in cui avviene giunge sino alla fine del verso. È rara fin di parola dopo il quarto trocheo (i verso su 1000; regola di Hermann), frequente dopo il quarto piede (dieresi bucolica). Date le cordizioni della lingua omerica (molte vocali ancora non contratte), i dattili prevalgono sugli spondei.
L'esametro callimacheo è molto più severo di quello omerico: oltre alle restrizioni omeriche (la regola di Hermann non ha qui nessun'eccezione) esso ubbidisce alle seguenti osservanze: cesura del terzo piede obbligatoria; la trocaica prevale ancor più che in Omero; la pentemimere dev'essere accompagnata o da eptemimere o da dieresi bucolica o da ambedue. Nessuna parola può finire col secondo o quarto piede, se questo è spondaico. Parole che cominciano nel primo piede non possono finire né col secondo piede né col secondo trocheo. Si evita che ci sia fin di parola contemporaneamente con la quarta e quinta lunga. Anche l'interpunzione nell'interno del verso è limitata ad alcune sedi.
L'esametro latino è invenzione di un poeta, Ennio, che volle trasportare nella propria lingua l'esametro greco. Prevalenza di spondei era resa inevitabile dalle condizioni prosodiche del latino. Ennio accetta dall'esametro greco solo una certa ripugnanza allo spondeo nel quinto piede (ha tuttavia anche versi di sei spondei) e l'osservanza che, ogniqualvolta esso è ammesso, non dev'esservi fine di parola tra il quinto e il sesto piede, ma, si può dire, nessun'altra osservanza (neppure la regola di Hermann). Se tuttavia abbia talvolta risolto in due brevi la prima sillaba del piede, è per lo meno dubbio. Egli rigetta la cesura trocaica, predilige la pentemimere, sostituita talvolta, contro l'esempio degli Alessandrini, da eptemimere o cesura dopo la seconda arsi (tritemimere). Lucilio e Lucrezio seguono ancora il suo esempio; cosi anche Orazio nelle Satire, dove vuole essere più vicino alla prosa. Nuove osservanze compaiono negli Aratea di Cicerone (certo non per sua iniziativa). L'esametro di stile severo raggiunge la perfezione in Virgilio, che è anche assai discreto nelle elisioni. Singolarmente caratteristiche per la nuova tecnica le regole sulla fine del verso, analoghe a quelle che distinguono il senario dal trimetro greco. Un esametro virgiliano normale (tranne, cioè, speciali ragioni stilistiche o costrizione di nome proprio o uso di parola greca) non finisce né con monosillabo né con quadrisillabo o parola ancor più lunga; non è ammesso che una parola finisca con la quinta arsi. Anche le fini di parola nella prima parte dell'esametro sono ora regolate.
I poeti medievali amano esametri variamente rimati: la forma più comune è il leonino (v. leonino, verso), nel quale l'ultima sillaba del secondo e la prima del terzo piede rimano col sesto.
Gli esametri compaiono in Italia fin dai primi tentativi d'imitazione di poesia metrica su basi quantitative fittizie (L. Dati, L. B. Alberti). Il Carducci compose esametri di un settenario più un novenario o un ottonario, o di un senario più un novenario, o di un quinario più un novenario o un decasillabo. Più fedelmente si modellò sugli schemi antichi il Pascoli. In Germania, oltre ad imitazioni trecentesche dell'esametro leonino, usarono felicemente l'esametro il Voss, lo Schiller, il Goethe, il Hölderlin. Meno bene riuscirono i tentativi inglesi (Longfellow, Kingsley, Browning).
Bibl.: Fondamentale ancora per l'esametro greco e latino W. Meyer, in Münchner Sitzungsberichte, 1884, pp. 980-1090. Breve descrizione esemplare delle varie specie di esametro greco in P. Maas, Griech. Metrik, in Gercke e Norden, Einleitung in dii Altertumswissenschaft, I, 7, Lipsia 1923, p. 22 seg.; la descrizione corrispondente dell'esametro latino in F. Vollmer, Röm. Metrik, Lipsia 1923, ibid., I, p. 8, è meno chiara ed è turbata da speculazioni su relazione tra accento e ictus: per il latino molto materiale in L. Müller, De re metrica poëtarum latinorum, Pietroburgo 1895. Per elisione e fin di parola fondamentale E. Norden, Aeneis VI, pp. 413-458. Le trattazioni nei manuali del Christ e dello Zambaldi arretrate e insufficienti. Il significato delle restrizioni arcaiche e callimachee è indagato da H. Fränkel, in Göttinger Nachrichten, 1926, pp. 197-229, che cerca di dar loro forma, invece di negativa, positiva: v. anche G. Pasquali, in Gnomon, 1927, p. 241. Per l'esametro medievale e le sue varietà rimate W. Meyer [aus Speyer], Gesammelte Abhandlungen, I, Berlino 1905, p. 75 segg. Per l'esametro del Rinascimento e moderno, v. G. Carducci, La poesia barbara nei sec. XV e XVI, Bologna 1881; Falconi, L'esametro latino e il verso sillabico italiano, Torino 1885, e la bibl. di metrica barbara. Un tentavito italiano di ricostruire la preistoria dell'esametro, in N. Festa, Ricerche metriche, Palermo 1926, 1 segg.