POCAR, Ervino
POCAR, Ervino. – Primogenito di quattro fratelli, nacque a Pirano d’Istria il 4 aprile 1892, da Giovanni, sottufficiale della dogana austriaca, e da Giovanna Petronio.
Dopo alcuni anni di continui trasferimenti lungo la linea del confine italo-austriaco, nel 1900 Giovanni decise di congedarsi e trasferirsi con la famiglia a Gorizia, per garantire un’istruzione regolare ai figli – erano nati nel frattempo Edoardo (1896-1930) e Sofronio (1898-1934); l’ultimogenita, Eusebia, nacque poco dopo il trasferimento.
Stando ai ricordi, i primi anni goriziani furono parchi e sereni, con il padre che integrava la pensione grazie a un piccolo impiego presso una ditta di trasporti e i ragazzi che crescevano e via via si inserivano nel complesso tessuto di una città ricchissima, allora, di contraddizioni e di stimoli. Dal 1903 al 1911 Pocar frequentò lo Staatsgymnasium, il rinomato Liceo cittadino, palestra di studi severi dove la difficile, quotidiana convivenza di austriaci, italiani e sloveni sembrava trovare un punto di quiete nel comune impegno scolastico e nel costante confronto intellettuale. Cresciuto in una famiglia di forti sentimenti italiani, Pocar, che con i propri fratelli e i primi amici si era ben presto riconosciuto nel movimento irredentista, proprio grazie a quel composito miscuglio di etnie, lingue e culture sviluppò un interesse precoce e deciso nei confronti delle letterature e delle lingue, trovando in quella tedesca una rispondenza di specie particolare, da lui vissuta con intensa sensibilità.
Serietà, senso dell’amicizia, intransigenza morale sembravano connotare già allora, stando alle testimonianze di chi lo conobbe, il carattere del giovane, che nel 1911, superata la maturità con il massimo dei voti e ottenuta una borsa di studio, si trasferì a Vienna, dove si iscrisse alla facoltà di filosofia. Lo straordinario fervore intellettuale della capitale absburgica nel quindicennio che precedette lo scoppio della Grande Guerra ebbe un’influenza decisiva sulla formazione del giovane Pocar e del piccolo gruppo di italiani, come lui sudditi dell’imperialregia monarchia, che condividevano quell’esperienza, primo fra tutti il poeta Biagio Marin, cui il goriziano fu legato da un’amicizia durata tutta la vita. Musica e letteratura, arte e scienza furono in quegli anni il corredo di giornate operose dedicate allo studio della filologia e della filosofia.
Lo scoppio della guerra sorprese Pocar proprio alla vigilia dell’esame di abilitazione all’insegnamento (sostenuto e superato con giudizi lusinghieri solo nel 1917). Costretto a rientrare a Gorizia, dove ottenne subito una supplenza nel suo liceo, il giovane si trovò nel pieno delle tensioni che scuotevano quelle terre ‘irredente’ alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, con i due fratelli minori fortemente impegnati nella rivendicazione della loro italianità.
Nel febbraio 1915 Edoardo Pocar, diciannovenne, fuggì a Cividale del Friuli deciso a unirsi all’esercito italiano; conseguenza immediata di quell’atto fu, da parte delle autorità austriache, l’internamento e poi l’arruolamento forzato del giovanissimo fratello Sofronio e l’invio al confino, a Graz, di Ervino e di suo padre, seguiti di lì a poco dalla madre e dalla sorella. Alle difficoltà e alle angustie di quella situazione Pocar reagì impiegandosi come insegnante nella scuola per i profughi italiani della città austriaca e approfondendo le letture e gli studi.
Risale a questo periodo difficile un episodio dalla forte valenza simbolica, sul quale egli tornò più volte nei suoi ricordi: ancora a Vienna aveva conosciuto e apprezzato la lirica di Hugo von Hofmannsthal; decise di tradurne un dramma giovanile, La morte di Tiziano, e di inviarlo al poeta, il quale rispose con un volume corredato di un’incoraggiante dedica autografa. Data da questa primissima versione, in seguito «più che riveduta, rifatta», l’inizio di una carriera di traduttore per molti versi unica.
Tornato con la famiglia a Gorizia a guerra finita, dal 1919 ricoprì la cattedra di italiano, latino e tedesco all’ex Staatsgymnasium, divenuto liceo Vittorio Emanuele, riprendendo le fila di solide amicizie giovanili: oltre a quella con Marin, anch’egli insegnante e suo collega, decisiva fu quella con Nino Paternolli, libraio ed editore, figura di primissimo piano dell’intellettualità cittadina. Gli anni tra il primo dopoguerra e il consolidarsi del fascismo videro la città di Gorizia oggetto di fortissime tensioni tra speranze deluse, nostalgie, ma anche desideri di rinascita e di ricostituzione di quel tessuto comune che la guerra aveva lacerato e il nuovo regime si adoperava programmaticamente a distruggere, emarginando sempre più la componente slovena. Assieme al suo ristretto cerchio di amicizie, Pocar fu tra quanti tentarono di opporsi a quella rozza semplificazione, sia attraverso il lavoro di insegnante, sia attraverso una serie di articoli su vari giornali locali tra cui El refolo gorizian, diretto dal fratello Sofronio il quale, nel frattempo, aveva assunto un ruolo importante nel movimento futurista giuliano.
Intanto cominciavano a uscire le prime traduzioni: Roberto il Guiscardo di Heinrich von Kleist nell’Annuario del liceo Vittorio Emanuele (1919-20) e, nel solo 1922, Il Mare del Nord di Heinrich Heine (edito dall’amico Paternolli), nonché – pubblicati entrambi a Lanciano da Carabba – i Piccoli drammi di Hofmannsthal e i Racconti di Kleist. Ma proprio tra la fine di quel prolifico 1922 e l’estate del 1923 due episodi concorsero a spezzare le speranze di rinascita e addirittura a interrompere il rapporto di Pocar con la sua città: una squallida vicenda concorsuale, in seguito alla quale il giovane professore di liceo, inaugurando una prassi di fiera difesa della propria dignità che divenne una costante del suo rapporto con le istituzioni, abbandonò l’insegnamento, e la tragica morte, durante una comune ascensione in montagna, del fraterno amico Paternolli.
Lasciata Gorizia, tra il 1924 e il 1927, anno delle sue nozze con Cesira De Rosa, Pocar fu a Milano, funzionario del Touring Club italiano (TCI) con l’incarico di organizzare escursioni e gite culturali rivolte ai giovani, poi per un anno a Vigo di Fassa in qualità di direttore di un convitto e, dal 1928 alla fine del 1929, a Novara, come redattore dell’Istituto geografico De Agostini. Tra questi continui cambiamenti, quasi tutti dovuti a un suo tratto di caparbia intransigenza morale, Pocar continuò a perseguire quella sua attività ‘collaterale’ di traduttore che lo ha reso nel tempo uno dei più prolifici ed eminenti del suo secolo: risalgono a questo periodo le prime versioni da Hans Christian Andersen, Jens Peter Jacobsen, Gottfried Keller, ma anche, soprattutto negli anni tra il 1930 e il 1934, quando non ebbe un’occupazione fissa, un gran numero di traduzioni di testi vari, dalle biografie ai manuali, dalla letteratura amena all’alpinismo, per diversi editori, fra i quali Mondadori. Il rapporto con la casa editrice, iniziato in questo torno di tempo, ebbe una svolta decisiva nel 1934, un anno per molti versi fatale nella vita di Pocar, nel corso del quale fu colpito dalla morte prematura della moglie e del fratello Sofronio ed entrò stabilmente, in qualità di «traduttore ufficiale dal tedesco e, contemporaneamente, funzionario e redattore capo del reparto libri» (Dacrema, 1989, p. 31), negli uffici di via Corridoni.
Nel decennio che seguì, a fianco di Luigi Rusca, conosciuto ai tempi del Touring e dal 1928 condirettore della casa editrice, Pocar fu nella Mondadori un funzionario instancabile, pur continuando a tradurre a ritmo incessante. Il rapporto si interruppe nel 1944, allorché diede le dimissioni per non dover sottostare alle condizioni di un commissario imposto dal governo di Salò (Antonello, 2012, p. 157); una decisione in armonia con il suo carattere limpido e intransigente e tanto più coraggiosa considerando la sua situazione familiare: nel 1936 aveva infatti sposato in seconde nozze Fausta Frigerio, segretaria personale di Arnoldo Mondadori, e dall’unione erano nati quattro figli maschi, all’epoca dei fatti tutti in tenera età. Mai spezzatosi del tutto, il rapporto con la Mondadori riprese ufficialmente con la riassunzione di Pocar all’inizio del 1948. Questa nuova fase del sodalizio, che durò fino al 1961, vide il germanista, promosso dirigente nel 1954, assumere compiti via via più importanti, curando sia gli aspetti tecnico-produttivi, sia quelli più eminentemente culturali, relativi alle scelte, ai rapporti con gli autori e così via.
La traduzione in proprio, alla quale non cessò di dedicarsi nemmeno in questa fase della sua vita professionale, ridivenne un’attività collaterale, svolta con ferrea disciplina nelle ore serali. Oltre a un gran numero di titoli di saggistica varia, nel quindicennio 1945-60 Pocar tradusse tra gli altri Schiller, Novalis, i Grimm, E.T.A. Hoffmann, Gotthelf, Platen; tra i moderni Feuchtwanger, Werfel, Wiechert, Remarque e, soprattutto, i tre autori ai quali, in quegli anni e nei successivi, si dedicò con autentica devozione, contribuendo in maniera determinante alla loro diffusione in Italia: Thomas Mann, Hermann Hesse e Franz Kafka.
Parallelamente andò crescendo un’altra attività ‘collaterale’ di Pocar, quella di accurato e attentissimo prefatore delle opere da lui tradotte: come nelle traduzioni, anche in questo ambito il tratto peculiare dello studioso fu il vigile rispetto e la straordinaria capacità di far parlare gli autori e i testi senza mai sovrainterpretarli. Ormai noto anche all’estero per la sua attività di instancabile mediatore culturale, nel 1956 Pocar fu insignito, primo italiano, della Goethe-Medaille, cui seguirono, negli anni, diversi altri prestigiosi riconoscimenti.
Nel 1961, ancora una volta reagendo d’impeto a un torto subito, lasciò la Mondadori a un anno dalla pensione, da questo punto in poi dedicandosi interamente alla traduzione e allo studio dei ‘suoi’ autori, con molti dei quali ebbe intensi scambi epistolari, soprattutto su questioni legate alla traduzione delle opere. Questi documenti, preziosi per ricostruire la vicenda traduttoria di questo o quel romanzo, costituiscono anche interessantissime testimonianze dei rapporti intrattenuti da Pocar con alcuni tra i più autorevoli esponenti del Novecento letterario europeo.
Circondato dall’affetto della famiglia e da una crescente, ancorché forse tardiva, considerazione dei suoi meriti da parte degli studiosi e delle istituzioni, Ervino Pocar trascorse gli ultimi due decenni della sua lunga vita in una vecchiaia attiva e operosa, finalmente libero di dedicarsi interamente ai suoi autori prediletti.
Risalgono a quegli anni importanti versioni da Fontane, Doderer, Schopenhauer, Trakl, Joseph Roth, Hölderlin, Grillparzer e ancora Thomas Mann (la traduzione dello Zauberberg è del 1965) e Hermann Hesse (l’ultima versione pocariana è del 1979), accanto a progetti ambiziosissimi come tutto Kafka e tutto Kleist e ad antologie poetiche come Poesia tedesca (Milano 1964) e L’epoca d’oro della poesia austriaca (Milano 1978), nelle quali l’anziano studioso poté misurarsi, da traduttore ma anche da autore, con un altro filone sotterraneo della propria creatività, quello della lirica, coltivato sommessamente fin dalla giovinezza.
Meritano infine di essere ricordati i tanti interventi, in occasione di conferenze e convegni o sotto forma di articoli e saggi, sul ruolo e sulla figura del traduttore, visto sempre sia come un «fedele servitore», per citare l’amatissimo Grillparzer, sia come un vero e proprio scrittore, umile e insieme autorevole mediatore tra le lingue, le culture, le tradizioni.
Morì a Milano il 17 agosto 1981.
Fonti e Bibl.: Donato dagli eredi nel 1990, il lascito di Pocar è custodito presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, a Milano, e consta di una corposa corrispondenza epistolare con autori e istituzioni, nonché di materiali relativi sia all’attività editoriale, sia a quella traduttoria. Per la bibliografia degli scritti e delle traduzioni di Pocar si rimanda a N. Dacrema, E. P.: ritratto di un germanista, Gorizia 1989. Si vedano inoltre: C. Macor, E. P., Pordenone 1996; A. Antonello, E. P.: una vita tra le righe, in Protagonisti nell’ombra, a cura di G.C. Ferretti, Milano 2012, pp. 151-179.