PETRELLA, Errico
PETRELLA, Errico. – Nacque a Palermo il 10 dicembre 1813, figlio di Fedele, ufficiale napoletano della marina borbonica, e di Maria Antonia Mazzella, originaria di Ponza.
Nel 1815, in seguito alla caduta dei francesi e al rientro dei Borbone a Napoli, Fedele, insieme alla famiglia, tornò nella sua città, dove il giovane Petrella si accostò allo studio della musica, prima sotto la guida del violinista Saverio del Giudice, poi come studente esterno del Real Collegio di musica e infine, nel 1825, come vincitore di un posto gratuito nel convitto dello stesso collegio. Qui fu allievo di Francesco Ruggi, Giovanni Furno e del direttore del conservatorio Nicola Zingarelli per la composizione e il contrappunto. Gli impartirono lezioni anche i ‘maestrini’ Michele Costa e Vincenzo Bellini.
Ancora studente e appena quindicenne scrisse, su libretto di Andrea Leone Tottola, la commedia per musica Il diavolo color di rosa per il teatro La Fenice, una piccola sala napoletana. I suoi insegnanti, in primis Zingarelli, gli sconsigliarono di cimentarsi con la scena teatrale prima di aver terminato gli studi, ma il testardo Petrella contravvenne al suggerimento e per questo fu allontanato dal conservatorio. Pertanto proseguì privatamente la sua formazione con Ruggi. L’opera ebbe comunque un vivo successo, e il nome del giovane operista iniziò a circolare negli ambienti musicali locali. I lavori successivi furono destinati al Teatro Nuovo, dove debuttarono Il giorno delle nozze ovvero Pulcinella marito e non marito (libretto di Tottola, 1830), Lo scroccone (commedia buffa di librettista ignoto, 1834), I pirati spagnuoli (melodramma di Emanuele Bidera, 1838) e Le miniere di Freinbergh (1843). Nel frattempo il musicista mise mano a Cimodocea (ispirata ai Martiri di René de Chateaubriand) che, non ancora terminata, venne apprezzata dal direttore d’orchestra del teatro di S. Carlo, Giuseppe Festa, il quale la propose all’impresario Domenico Barbaja per il carnevale 1835, ma questi rifiutò perché l’autore non fu ritenuto abbastanza famoso; il lavoro, di cui non è giunta traccia, venne verosimilmente abbandonato.
Nel 1843 il compositore prese la decisione di ritirarsi dalle scene, secondo Francesco Florimo (1882, p. 370) a causa di mancati accordi sui compensi con gli impresari. Probabilmente si mantenne dando lezioni di canto e collaborò con il Teatro Nuovo come «maestro direttore della musica», dicitura che compare a fianco del suo nome in alcuni libretti a stampa della metà degli anni Quaranta. Nel 1851 Petrella riprese la carriera teatrale da dove l’aveva interrotta, ossia dal Teatro Nuovo: qui fece rappresentare la commedia per musica Le precauzioni, nota anche come Il carnevale di Venezia, libretto di Marco D’Arienzo, che ottenne uno strepitoso successo; l’opera rimase in cartellone per diverse stagioni e fu la prima del suo autore a circolare fuori Napoli. Fino a quel momento il musicista aveva portato in scena solo opere di genere comico, nei teatri minori della città, e di stampo locale, caratterizzate com’erano da una facile vena melodica, da dialoghi parlati alternati a numeri musicali e da parti in dialetto: in effetti Petrella approntò una seconda versione delle Precauzioni, più consona agli usi teatrali vigenti nel resto della penisola, con i recitativi e tutta in lingua, che debuttò nel 1853 al Carlo Felice di Genova (un’altra revisione con un nuovo finale venne preparata per il teatro S. Redegonda di Milano nel 1858).
L’esito delle Precauzioni aprì a Petrella le porte dei reali teatri di Napoli. Nel 1852 Elena di Tolosa, dramma lirico su poesia di Domenico Bolognese, debuttò al Fondo, subito spostata al San Carlo per il felice riscontro suscitato.
I successi del compositore vennero notati dall’editore milanese Francesco Lucca, alla ricerca di un talento che potesse sostenere il confronto con Giuseppe Verdi, legato al concorrente Ricordi. La collaborazione con la casa editrice durò per tutta la vita, senza che Petrella fosse mai in grado d’insidiare il primato del collega; d’altra parte quando il palermitano ultimò la sua prima opera seria, Marco Visconti (melodramma tragico di Bolognese, tratto dal romanzo di Tommaso Grossi), data al San Carlo nel 1854, il bussetano, suo coetaneo, aveva già composto Rigoletto, Il trovatore e La traviata. Comunque, pur nell’alternarsi di successi e fredde accoglienze da parte di pubblico e critica, Petrella può essere collocato subito dopo Verdi nel panorama operistico dell’epoca quanto a circolazione dei titoli e continuità produttiva. Già Marco Visconti venne ripreso, a ridosso della ‘prima’, al Carlo Felice di Genova, alla Scala di Milano, alla Fenice di Venezia, al Regio di Torino, all’Apollo di Roma, facendone conoscere l’autore nelle principali piazze teatrali. Le tre opere seguenti, L’assedio di Leida (melodramma tragico di Bolognese, 1856), Jone ossia L’ultimo giorno di Pompei (dramma lirico di Giovanni Peruzzini, 1858) – il suo titolo più noto e replicato, la cui «marcia lugubre» si impose precocemente e durevolemente nel repertorio bandistico italiano – e Il duca di Scilla (dramma lirico di Peruzzini e Leone Fortis, 1859), furono scritte per la Scala, mentre nel 1857 Petrella recise gli accordi per una nuova opera alla Fenice di Venezia a causa della salute malferma.
Gli anni successivi videro la ripresa della collaborazione con Bolognese e il ritorno a Napoli, dove fece rappresentare il melodramma tragico Morosina, o L’ultimo dei Falieri e la tragedia lirica Virginia al San Carlo (1860 e 1861) e la commedia lirica Il folletto di Gresy al Fondo (1860), seguiti da La contessa d’Amalfi (dramma lirico di Peruzzini; Torino, Regio, 1864) edita dai torinesi Giudici e Strada, come Celinda (melodramma tragico di Bolognese; San Carlo, 1865) e Caterina Howard (tragedia lirica di Giuseppe Cencetti; Roma, Apollo, 1866) e inoltre Giovanna di Napoli (dramma lirico di Antonio Ghislanzoni; San Carlo, 1869) e dal melodramma I promessi sposi (di Ghislanzoni; Lecco, teatro Sociale, 1869), uno dei massimi successi del musicista, anche grazie alla massiccia campagna pubblicitaria promossa da Giovannina Lucca.
La produzione che va dalla metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta, seppur caratterizzata da discontinuità qualitativa, è la più significativa, giacché vi appaiono forti i segni di alcuni dei più aggiornati contenuti drammatici. Lo testimoniano il gusto per la quotidianità popolare rintracciabile nella scena del mercato di Jone e in alcuni momenti dei Promessi sposi, lo sguardo rivolto verso il grand opéra in Celinda, Caterina Howard e Giovanna di Napoli, l’attenzione nei confronti dell’elemento sensuale. Quest’ultimo svolge un ruolo fondamentale in Jone (il sipario si apre su una taverna, luogo di lussuria e piacere; quanto al protagonista maschile, Glauco, è vittima di una pozione che suscita in lui un delirio erotico) e ancor più nella Contessa d’Amalfi, dove l’eroina è dipinta con i tratti della femme fatale (Gabriele d’Annunzio porrà quest’opera al centro di una delle Novelle della Pescara).
In seguito alla morte di Saverio Mercadante, nel 1870, rimase vacante il posto di direttore del conservatorio napoletano. Fra i nomi che circolarono come possibili successori ci furono quelli di Verdi e Petrella: ma se il primo non prese in considerazione l’eventualità, il secondo lasciò intendere di essere disposto, dopo aver invano ambito al posto d’insegnante di composizione nel 1869. Alla fine fu scelto Lauro Rossi, che ricopriva analogo incarico a Milano.
Gli ultimi lavori che trovarono la via delle scene furono il dramma lirico Manfredo e il melodramma Bianca Orsini, entrambi su testo di Giorgio Tommaso Cimino (San Carlo, 1872 e 1874). Non fu mai rappresentata l’opera buffa Diana o La fata di Pozzuoli, risalente al 1876 (libretto di Raffaele d’Ambra), mentre rimase incompiuta Solima, tratta da Salammbô di Gustave Flaubert, libretto di Ghislanzoni, che avrebbe dovuto essere il primo lavoro per Ricordi.
L’attuale dislocazione delle partiture manoscritte riflette l’evoluzione della carriera di Petrella: le opere composte per Lucca e l’incompleta Solima si trovano nell’Archivio storico Ricordi (dove confluirono i magazzini del concorrente dopo la fusione delle due case), quasi tutte le altre nella biblioteca del Conservatorio di Napoli.
Petrella compose anche musica sacra, fra cui una Messa funebre per Angelo Mariani (1873, mai eseguita), solfeggi e musica vocale da camera, un Inno a Vittorio Emanuele II, una Gran marcia cavalleresca.
La morte lo colse a Genova il 7 aprile 1877. La salma, traslata a Palermo nel 1913, è tumulata in S. Domenico, nel Pantheon dei siciliani illustri.
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