EROS ("Ερως, Amor o Cupīdo)
È il dio dell'amore. La poesia omerica non conosce Eros come nume: da Esiodo in poi invece esso è noto sotto il duplice aspetto di divinità teogonica e d'inseparabile compagno di Afrodite. Quale potenza teogonica dell'amore che spinse all'unione vicendevole le coppie dei numi, lo si considerava come nato dal Caos o dalla scura Notte e dal luminoso Giorno, o dal Cielo e dalla Terra, o da Urano o da Crono ecc. Qual nume dell'amore, dominatore irresistibile della natura degli dei e degli uomini, era detto abitualmente figlio di Afrodite, per quanto taluni lo facessero rampollo d'Ilitia, e altri figlio di Zefiro e d'Iride, e altri nato di Giove. Accanto a lui compaiono spesso le figure affini di Imero e Poto. È adorato insieme con Afrodite.
Famosi luoghi di culto di Eros furono soprattutto Tespie in Beozia e Pario sull'Ellesponto: in Tespie esistettero statue di Eros dovute a Prassitele e a Lisippo, in Pario fu una statua di Prassitele. A Tespie si celebravano in suo onore ogni quattro anni con gare ginniche e musicali le Erobie, che durarono anche nell'epoca romana.
In particolar modo nelle palestre fu venerato Eros, come simbolo dell'amicizia e dell'amore tra uomini e giovinetti. Accadeva pertanto di vederne spesso nelle palestre il simulacro fra quelli di Ermes e di Eracle; nell'Accademia attica sorgeva anzi presso quello di Atena. E gli Spartani e i Cretesi prima della battaglia sacrificavano a Eros, e i Samî gli dedicarono un ginnasio e celebravano in onor suo le loro Eleuterie, e gli Ateniesi lo ricordavano accanto ai proprî liberatori Armodio e Aristogitone. Dallo stesso ordine d'idee è germogliata la figura di Anteros che appare talora accanto a Eros, a significare l'affetto corrisposto tra uomini e giovani.
La poesia (come del resto l'iconografia: v. appresso) rappresenta abitualmente Eros come fanciullo o come delicato giovinetto: di rado occorre rappresentazione diversa, come quella di forte e vigoroso garzone che appare da un frammento di Anacreonte: per lo più è appunto il ragazzo o giovinetto birichino che tiranneggia uomini e numi, e se ne ride. Ciò anche nella poesia tragica, ma in special modo nella post-classica, specie in quella delle anacreontiche. Oggetto delle fantasie e delle ideologie dei filosofi fu pure Eros: basti ricordare il Simposio platonico. Nell'età alessandrina è famosa la creazione della coppia di Amore e Psiche, ricordata per la prima volta da Meleagro nel sec. I a. C., ma che appare sicuramente più antica. Tutti conoscono la graziosa novella composta su quella coppia da Apuleio (per questa: v. amore e psiche; III, p. 31). Nella tarda età alessandrina e nella romana le piccole Psichi alate insieme con gli alati Amorini invadono ogni scena di vita naturale, divina, umana, affaccendate quelle come questi nelle più svariate occupazioni, a indicare l'incoercibile potenza dell'amore.
Iconografia. - Pausania (IX, 27,1) racconta che a Tespie, in Beozia, era esposta al culto una antichissima rappresentazione simbolica di E.: una pietra bruta, cui le congetture della critica moderna hanno dato ora forma fallica ora invece forma piramidale. Da questo periodo primitivo di rappresentazioni non ancora antropomorfiche dobbiamo scendere, per le più antiche e sicure raffiggurazioni di E., ai confini fra l'arte del sec. VI e V a. C. Già nei più antichi monumenti troviamo stabilito il tipo iconografico che non subirà che lievi variazioni nella storia dell'arte classica: quello di un giovinetto o di un fanciullo, nudo e alato, come altri esseri della fantasia greca (Nike, Phobos, ecc.). Sui vasi figurati di stile severo vediamo apparire E sotto tale forma, volante o non, con attributi varî di armi, bende, fiori, ecc. a seconda dell'azione alla quale partecipa. Per lo più ha capelli lunghi scendenti sulle spalle e sulla nuca, o raccolti sul capo in foggia quasi femminea. Talvolta, come accade per altri esseri alati, alle maggiori ali del dorso si aggiungono alette minori ai piedi. È questo il caso di uno specchio arcaico del principio del sec. V a. C. (fig.1), una delle più antiche rappresentazioni di E., dove, nello schema solito delle figure volanti dell'arte arcaica, il dio è rappresentato con un fiore nella destra e la lira nella sinistra, attributi che ricorrono frequentemente anche in altri monumenti. Unico esempio della statuaria della prima metà del sec. V a. C. è un tipo di E. noto da due repliche, un torso di Sparta e una statua di Leningrado (fig. 2): E. giovinetto, nudo e alato, rivolge in alto il bel volto incorniciato da boccoli, guardando probabilmente la madre Afrodite al cui lato doveva essere rappresentato. Fidia aveva raffigurato E. nell'atto di accogliere Afrodite dalle onde marine sulla base del trono di Zeus a Olimpia (Pausania, V, 11,8) e un ricordo di tale rappresentazione ci è forse giunto in un medaglione di argento conservato al Louvre. Nel fregio del Partenone E. è rappresentato in piedi, poggiato alle ginocchia di Afrodite, giovinetto nudo, con i capelli raccolti intorno al capo.
Nel sec. IV si hanno le più celebri rappresentazioni del dio. Null'altro che la notizia di Pausania (I, 43,6) abbiamo del gruppo che Scopa aveva scolpito per il tempio di Afrodite a Megara, in cui erano rappresentati E., Poto e Imero; Prassitele ebbe particolarmente cara la rappresentazione di E. Dalle fonti letterarie desumiamo che egli ne scolpì tre immagini: due di marmo, l'una dedicata dalla sua amante Frine a Tespie, in Beozia, l'altra destinata quale statua di culto a Parion (Propontide); la terza in bronzo è descritta da Callistrato (Ecphr. 3) e non sappiamo dove si trovasse.
Nonostante gli sforzi della critica moderna non si è riusciti a identificare con sicurezza le tre opere prassiteliche. Tuttavia si tende ancora a riconoscere l'E. di Tespie in un celebre torso da Centocelle del Museo Vaticano (fig. 3), e in una statua del Museo Nazionale di Napoli; quello di Parion, che è rappresentato anche su monete locali di età imperiale, in una statua del Louvre già della collezione Borghese (fig. 4), quello descritto da Callistrato in una statua proveniente dal Palatino ora al Louvre (tav. XXXI). A questi tre tipi se ne aggiunga un altro egualmente uscito dalla cerchia prassitelica; esso ripeteva il motivo dell'Apollo Sauroctono. Due torsi frammentati, uno in una collezione privata a Firenze, un altro al Museo Nazionale di Napoli, ne sono copie. Lisippo aveva anche egli eseguito una statua in bronzo di E. per Tespie. Di questa sua opera si crede che siano copie le numerose statue che ci rappresentano E. nell'atto di vibrare l'arco verso destra e di cui le migliori sono al British Museum, al Capitolino (tav. XXXI), al Louvre e a Cirene. L'attributo dell'arco diventa molto frequente dalla fine del sec. IV in poi su vasi, gemme, ecc. Nel sec. III e in età ellenistica E. acquista forme più piene e, specialmente per l'acconciatura dei capelli, tratti più femminei. Questo carattere, che già presentano i vasi a figure rosse di stile fiorito, è accentuato in quelli dell'Italia meridionale del sec. IV e III, dove la figura di E. ricorre con monotona frequenza e come pura figura di riempimento.
Nell'età ellenistico-romana la raffigurazione di Eros giovinetto è sostituita da quella di Eros fanciullino, dalle graziose forme grassocce, e alato. Gli attributi suoi più frequenti diventano le frecce, l'arco, la faretra. Assai più di quanto accade per altre divinità, il concetto di E. si va, per la natura sua stessa, sempre più umanizzando; le situazioni nelle quali lo vediamo rappresentato, sia pure con altri esseri divini (Afrodite, Dioniso, ecc.), sono situazioni della vita comune. Motivo caro alla poesia e all'arte alessandrina è quello di Amore in catene, privato delle sue armi e spesso delle sue ali, per punizione della madre Afrodite. È il soggetto rappresentato in una serie di statuette di cui una alla Galleria Borghese a Roma e un'altra a Firenze (fig. 5): E. ci appare piangente con una catena intorno alla vita e a uno dei piedi mentre, asciugandosi le lacrime, porta una manina agli occhi. Ma in più vasta scena ci appare nei dipinti pompeiani dove Amore nello stesso atteggiamento è accompagnato da una donna ad Afrodite, che ha sulle ginocchia la faretra tolta al piccolo, impertinente dio (tav. XXXII).
Nessun'altra classe di monumenti ci offie un'idea così vasta di questo nuovo modo di concepire E. come le pitture murali campane di età romana. Giova ricordare però un dipinto della stessa epoca trovato a Roma e conservato al Museo delle Terme, uno dei pochissimi che derivino da originali pittorici della fine del sec. V a. C., in cui, nelle purissime forme disegnative che richiamano i vasi attici a fondo bianco, E. è rappresentato giovinetto nudo e alato davanti ad Afrodite, cui una delle Cariti termina la toeletta. Come servitore della dea egli appare già nei vasi figurati della fine del sec. V, poi su gemme: con molta frequenza in età romana i copisti si compiacquero di aggiungerlo a statue di Afrodite, che originariamente erano isolate; caso tipico è quello offerto dalle copie dell'Afrodite accovacciata dello scultore Dedalsa di Bitinia (v.) nelle quali un amorino ha pronto, teso fra le manine, l'asciugatoio da gettare sul corpo della madre.
Personaggio frequentissimo nel corteggio dionisiaco (già nel sec. IV Timilo aveva scolpito un gruppo di Dioniso ed E. che si trovava sulla via dei Tripodi ad Atene e che è forse riprodotto in un gruppo marmoreo del Museo Nazionale di Napoli) lo vediamo ora su gemme con gli attributi del cantaro e del tirso, ora aiutato da un piccolo Pan nell'atto di cogliere grappoli d'uva, ora in lotta con esso (gruppo statuario di Milo, gemme, dipinti pompeiani), ora nell'atto di scoprire al dio le belle forme di Arianna addormentata (dipinti pompeiani). E. è anche con grande frequenza messo in rapporto con Eracle, quando si è voluto rappresentare l'eroe vinto dalle forze di amore. Cosi vediamo E., impadronitosi delle armi dell'eroe, appoggiarsi alla clava e reggere la pelle leonina. Soggetto frequente nella pittura campana è quello di Eracle vinto dall'amore di Omfale, sdraiato a terra e circondato da una frotta di amorini che gli ronzano intorno, alcuni trasportando faticosamente la clava, altri giocando con la faretra, ecc. Questo senso epigrammatico che pone Eracle in balia del piccolo E., ama anche rappresentare figure di centauri e di leoni cavalcati e domati da minuscole figurine di Eroti nella statuaria, nella toreutica, nel mosaico. Ma enumerare tutte le infinite situazioni in cui viene raffigurato E. sarebbe qui impossibile. Va tuttavia ricordato un carattere speciale che egli cominciò ad avere già alla fine dell'ellenismo e che divenne frequentissimo in età romana: il carattere funebre. Sotto questo aspetto egli è spesso rappresentato stante, appoggiato a una torcia riversa, talora con gli occhi chiusi; cosi lo si trova in terrecotte ellenistiche, su monete e molto frequentemente su sarcofagi romani o in altri monumenti funerarî, spesso tuttavia con varietà di atteggiamenti, che nulla hanno di mesto. Citiamo ad esempio la bella urna di Lucilio Felice del Museo Capitolino in cui sette amorini sono rappresentati in movimento di corsa o di danza, taluni con fiaccole, altri con strumenti musicali (fig. 6).
Non va taciuta una serie di rappresentazioni in cui E. non ha più nulla di divino. Le sue raffigurazioni si moltiplicano in scene della vita quotidiana, e ancora qui le pitture campane offrono gli esempî più celebri e interessanti di amorini al torchio, amorini lottatori, amorini fullones, amorini gioiellieri, calzolai, ecc. In due celebri dipinti, l'uno da Pompei l'altro da Stabia, è rappresentato un motivo già noto alla poesia ellenistica: la vendita di amorini. Chiusi in una gabbia i minuscoli fanciulli alati sono posti in vendita or da un vecchio or da una vecchia, che ne traggono uno afferrandolo per le ali e offrendolo in vendita a una giovane donna (fig. 7). Benché rari, non mancano tuttavia casi in cui E. è raffigurato senz'ali. Ricordiamo, a es., taluni dei gruppi in cui è rappresentato nell'atto di abbracciare Psiche.
Bibl.: Müller-Wieseler, Denkm. d. Alt. Kunst, Gottinga 1854, L-LVI; A. Furtwängler, in Roscher, Lexikon d. gr. und. röm. Mythol., I, col. 1339 segg.; A. Baumeister, in A. Baumeister, Denkm. d. Klass. Altert., Monaco 1885, I; M. Collignon, in Daremberg e Saglio, Dictionn. d. ant. gr. et rom., I, ii, p. 1595 segg.; Waser, in Pauly-Wissowa, Real Encyclop., VI, col. 1497 segg. - Per le rappresentazioni sui vasi: A. Furtwängler, Eros in der Wasenmalerei, Monaco 1874. Per quelle sulle monete: H. Riggauer, Eros auf Münzen, in Zeitschr. für Numism., 1880. Per la statua di Leningrado: A. Conze, Beiträge zur Gesch. Griech. Plastik, Halle 1864, IX, i. Per gli Eros di Prassitele: H. Klein, Praxiteles, Lipsia 1898, p. 219 segg.; G. Libertini, Eros Sauroctono, in Röm. Mittheil., XXXVIII-XXXIX, p. 441 segg. - Per l'Eros di Lisippo: H. Klein, op. cit., p. 230. - Per le raffigurazioni di Eros nella pittura murale campana: W. Helbig, Wandgemälde Campaniens, Lipsia 1868, p. 135 segg. - A Sogliano, Le pitture murali campane, Napoli 1879, p. 53 segg.; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1930, passim. Per le statuette di Eros punito: L. Curtius, Poenitentia, in Festschrift f. Loeb, Monaco 1930, p. 53 segg. - Per i gruppi senz'ali di Eros e Psiche: Stuart Jones, Catal. of. anc. Sculptures of the Mus. Capitolino, Oxford 1912, p. 185, n. 3. - Per l'urnetta di Lucilio Felice: ibid., p. 91, n. 10.