EROE (dal gr. ἥρως "signore, principe", di etimologia incerta)
Nel suo significato più generale il termine denota chi si leva al disopra degli altri in quanto è potente, forte, di nobile stirpe (Hesych., Gloss., s. v.). La figura dell'eroe non è propria soltanto della Grecia, che ne ha fornito il nome e una ricchissima documentazione mitica e cultuale, ma si trova in tutte le mitologie e risponde al bisogno di concretare nella figura di un essere, che racchiude in sé gli attributi della divinità e dell'umanità, la storia, la vita e le aspirazioni sociali e morali del gruppo umano che l'ha foggiato. L'eroe porta in sé il duplice concetto di operatore d'imprese gloriose (eroe dell'epopea, ted. Held) e di personaggio sacro e possente, dalla cui tomba irradiano benefici d'ogni sorta sul suo gruppo gentilizio e sociale (eroe nel culto, gr. ἥρως).
L'eroe del mito. - Gli eroi pertanto sono esseri semi-divini, concepiti a immagine e somiglianza del gruppo che li ha espressi, siano essi antichi esseri divini decaduti a condizione umana per l'avvento di nuove divinità più naturisticamente comprensive e più socialmente universali (E. Meyer, H. Usener, per gli eroi greci), siano essi uomini illustri sublimati per loro merito a vita divina (E. Rohde, M. Nilsson, U.V. Wilamowitz in relazione a Eracle). Qualunque sia stato il loro processo genetico, discendente o ascendente, si trova che essi (salvo le eccezioni provenienti da gruppi umani a cultura totemistica) sono passati attraverso la condizione umana, e della vita umana hanno subito le traversie e la morte, sempre operando strenuamente a favore del loro gruppo e proseguendo anche dalla tomba a esercitare la loro azione.
Presso le popolazioni primitive esistono narrazioni mitiche, nelle quali un eroe (che è di specie animale: il lupo, il corvo, la mantide, ecc., se la tribù è di cultura totemistica) opera a favore del suo clan cose mirabili; possente nella parola e nel gesto, investito di virtù magiche, l'eroe resta nella tradizione della tribù, che ne commemora periodicamente il ricordo, come il tipo rappresentativo della vita sociale della tribù stessa. Nelle leggende e nei poemi epici delle civiltà antiche - orientali, classiche e nordiche - la figura dell'eroe impersona sempre l'anima del popolo, che riconosce concretate in lui le proprie aspirazioni. Anche qui l'eroe compie imprese meravigliose a favore dei suoi. La sua vita anche privata, nelle esuberanze e nelle privazioni, riproduce quella del suo gruppo. Sennonché, essendo le dette leggende nate o per lo meno esaltate in una epoca in cui il gruppo viveva come attuali le idee e le gesta cantate dall'epopea, esse sono assai precise circa la persona e l'azione dell'eroe e mostrano i luoghi dove ha compiuto le sue imprese, il campo dove ha vinto o è stato battuto, il sacrario dove è deposto il suo cadavere o sono conservate le sue insegne e le sue armi. Ma quando cambia la forma di civiltà, e quindi la religione, il mito eroico scende al livello della fiaba o del conto; tuttavia rimane sempre in esso, cara alla fantasia del popolo, la figura di un essere che, spesso in contrasto con la sua forma fisica o con l'età, compie imprese meravigliose intorno alle quali la fantasia si sfoga a scapito di qualunque precisazione cronologica o topografica.
L'eroe nel culto. - Sebbene in generale la figura dell'eroe non sia necessariamente legata né con gli spiriti degli antenati né con luoghi di culto, né con un singolo clan o gruppo, è certo tuttavia che per lo più l'eroe è un essere umano oltremodo possente, sublimato alla sfera divina, le cui imprese gloriose gli hanno procurato dopo morto la venerazione che ne circonda il sepolcro, al quale i vivi accorrono per attingervi consigli e presidio. Questo appunto è il senso specifico del termine nella lingua e nella prassi religiosa dei Greci. Anzi, in Grecia, anche nel caso ben assicurato di retrocessione da dio locale a eroe anziché a demone (quando l'avvento dell'Olimpo panellenico provocato dall'epopea omerica detronizzò in nome di un'ideazione più universale e sintetica il particolarismo dell'antica vita e dell'antica religione) è provata la priorità del concetto dell'eroe-antenato, le cui spoglie mortali conservate nella tomba vera o presunta seguitano a emanare a pro' dei vivi quel forte e benefico influsso che esercitarono in vita.
È noto infatti che in Grecia la figura dell'eroe è legata con la sua tomba, il cui culto, per talun eroe, è attestato dall'epoca micenea a quella classica. Il genere di culto che all'eroe si tributa è per l'appunto quello delle divinità infere: sacrificio (ἐναγισμός) notturno, su di un tumulo di terra poco elevato dal suolo (έσχάρα: v. altare, II, p. 684), immolazione di vittime nere con il muso rivolto contro terra, bruciamento completo della vittima (olocausto), agapi di legumi, agoni. Esso tuttavia differisce dal semplice culto dei morti perché in questo il defunto riceve dalla pietà dei suoi vivi le offerte a sostegno della sua umbratile vita, mentre nel culto eroico il sacrificio è fatto a scopo impetratorio da tutto il gruppo affinché l'azione possente dell'eroe seguiti a manifestarsi a favore del gruppo medesimo. Il culto degli eroi in Grecia è nato appunto dalla fede nella sopravvivenza anche corporale di questi spiriti possenti di antenati. La potenza benefica che irradia dalla tomba dell'eroe è specialmente di due generi: salutare e profetica. Eroi sono gli dei salutari per eccellenza (Asclepio, Alcone, Iatro, Toxari) e nei loro templi si pratica per l'appunto quel rito dell'incubazione (ἐγκοίμησις) che mette l'individuo a contatto con la terra madre e con le potenze che essa racchiude nel suo seno. Eroi sono anche i profeti per eccellenza (Calcante, Tiresia, Glauco, Efestione, ecc.). E la città legislatrice del culto degli eroi è per l'appunto Delfi (v.) dove l'olimpico Apollo aveva sostituito l'antichissima titolare Gaia con il serpente Python, e dove annualmente si celebrava la festa degli eroi (ἡρωίς; Plut., Quaest. gr., 12); dove l'oracolo provvedeva alla fondazione di città e colonie regolando l'indispensabile culto dell'eroe fondatore (οἰκιστής) ed eponimo e spiegava i casi di sopravvenute calamità con l'oblio, da parte dei vivi, delle spoglie mortali dell'eroe patrono del gruppo.
La stessa raffigurazione artistica degli eroi è una conferma della loro fisionomia originale di antenati illustri. L'animale che precipuamente li rappresenta è il serpente. Accanto a loro sono disegnate le cose che usarono in vita: cavallo, cane, armi; essi stessi poi sono raffigurati in piedi o seduti o con una coppa nelle mani. Le loro reliquie, vere o fittizie, costituiscono il centro irradiatore della loro potenza e del loro culto e la loro presenza è garanzia efficacissima per il gruppo che le possiede.
In Omero non v'è traccia del culto degli eroi; per lui l'eroe è un valoroso che si distingue dagli altri per bravura militare e prudenza nei consigli (Il., II, 110; XIII, 629; Od., II, 15). In Esiodo l'eroe è già qualche cosa di mezzo fra gli dei e gli uomini (ἠμιϑεος "semidio") e la sua stirpe è divina. Stanno in questa categoria i guerrieri che combatterono a Tebe e a Troia, cui dopo morte è riserbato il soggiorno nelle isole dei beati (Op., 159). Anche per Pindaro gli dei e gli eroi sono oggetto di culto religioso (Ol., II, 70; New., IV, 45). Questo culto che incomincia a diffondersi nel sec. VIII a. C. prosegue allargandosi sempre più, favorito in ciò sia dal particolarismo greco, che sentiva più vicini gli eroi legati a una città e a una gente che non i luminosi e inaccessibili Olimpici, sia dal fatto che la tradizione religiosa ellenica, mentre era ammessa e quasi canonizzata, grazie all'epopea omerica, circa il numero e la fisionomia degli dei, era assai più libera per quello degli eroi, che era sempre possibile aumentare con l'eroizzazione di uomini illustri.
Entrano nella categoria degli eroi: 1. i morti illustri; 2. i fondatori di colonie; 3. i fondatori o restauratori anche politici delle città; 4. i fondatori di un'associazione cultuale, di una scuola filosofica, ecc.
Con l'inizio dell'epoca ellenistica, quando le nuove correnti religiose e filosofiche favorirono il sorgere di associazioni di culto, la venerazione degli eroi che fino allora si era diretta soltanto agli eroi pubblici cominciò a dirigersi anche agli eroi privati, come dimostrano numerose iscrizioni; nell'epoca romana, la parola eroe divenne sinonimo di defunto e qualunque cittadino benemerito poté ottenere l'onore di quella qualifica.
Bibl.: S. Czarnowski, Le culte des héros et ses conditions sociales, Parigi 1914. Per la Grecia, v. Roscher, in Lex. der griech. u. röm. Mythol., s. v.; Pauly-Wissowa, Real-Enc., s. v.; Hastings, Encycl. of Relig. and Ethics, s. v.; E. Rohde, Psiche, trad. it., Bari 1914; K. Breysig, Die Entstehung des Gottesgedankens u. der Heilbringer, Berlino 1905; F. Pfister, Reliquienkult im Altertum, voll. 2, Giessen 1909 e 1912; S. L. R. Farnell, Greek Hero cults and ideas of immortality, Londra 1921; A. van Deursen, Der Heilbringer, Groninga 1931.