JOSEPHSON, Ernst Abraham
Poeta e pittore svedese, nato a Stoccolma il 16 aprile 1851, morto ivi il 22 novembre 1906. Dopo aver frequentato l'Accademia di belle arti a Stoccolma, studiò a Parigi e nei suoi viaggi in Olanda, Italia e Spagna. Copiando diligentemente i maestri antichi e particolarmente Rembrandt, Tiziano e Raffaello, acquistò una tecnica sicura che gli consentì di conferire ai suoi ritratti una potente energia. Patrocinò con la parola e con l'opera la pittura di valori sorta sotto l'influenza francese, rivelando in tutti i dipinti la sensibilità e la ricchezza delle sue doti di colorista. È degno di nota tra le sue opere giovanili il David e Saul (1878; nel Museo nazionale di Stoccolma). Appartengono al periodo del suo viaggio in Spagna le Sigaraie spagnole, Ricordi di Spagna (Konstmuseum, Göteborg), Fabbri spagnoli (Galleria nazionale di Oslo e Museo nazionale di Stoccolma). Il J. dipinse ritratti dei suoi compagni d'arte Skånberg (Konstmuseum, Göteborg), Birger e Österlind (Museo nazionale di Stoccolma) e dello scrittore Renholm (nello stesso museo). Ritrasse numerose signore fra cui la signora Rubenson, il capolavoro tra i suoi dipinti di piccolo formato (museo di Göteborg). Ispirato dalle saghe popolari, rappresentò più di una volta lo spirito delle acque, Näcken (l'ultima variante, del 1884, fa parte della collezione del principe Eugenio a Stoccolma). Malato di mente, continuò a lavorare in solitudine, eseguendo disegni mirabili per la soave poesia che li caratterizza.
Il J. fu anche poeta, e in poesia, come nella pittura, assimilò il gusto francese del tempo. Compose due sole raccolte di liriche: Svarta rosor (Rose nere, 1888) e Gula rosor (Rose gialle, 1896); ma esse contengono forse quanto di meglio il simbolismo ha prodotto in Svezia. I motivi, dall'esotismo al neo-paganesimo sensuale, dal mitologico al bucolico, dalla Spagna all'Oriente, sono quelli consueti: ma quel sud, rivissuto così da un uomo del nord, trova talvolta accenti d'una nuova e stranamente composita, ricca e morbida musicalità. Anche se la malattia che lo colpì rese la sua vena poetica estenuata e stanca, nel rinnovamento della poesia svedese alla fine del secolo la breve opera del J. ha un suo significato: l'esperienza della sua arte non fu inutile allo stesso Fröding.
Bibl.: K. Wåhlin, E. J., voll. 2, Stoccolma 1911-12; G. Brandes, E. J., in Samlede Skrifter, III, Copenaghen 1900; J. Kruse, E. J. och G. Fröding, in Ord och Bild, 1911; G. Mascoll Silfverstolpe, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIX, Lipsia 1926.