TRECCANI, Ernesto
– Nacque a Milano il 26 agosto 1920, secondo dei quattro figli di Giulia Quartara, nobile di origini genovesi, e di Giovanni, grande industriale tessile lombardo, futuro senatore e fondatore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Il ‘signorino’, com’era chiamato dai dipendenti del padre, trascorse l’infanzia tra la casa milanese di via Carlo Porta e le ville di Vanzaghello e Macugnaga. All’interno dell’ambiente familiare ricevette un’educazione rigida e una salda formazione culturale che lo portò, desideroso di rendersi presto autonomo, a concludere in un solo anno gli studi liceali. Poco più che sedicenne, s’iscrisse quindi alla facoltà d’ingegneria al Politecnico, seguendo un destino imprenditoriale apparentemente già segnato. Si spiega così anche il viaggio di formazione tra gli stabilimenti tessili statunitensi, compiuto con il padre nell’estate del 1938.
Gli interessi di Ernesto iniziarono presto però a orientarsi verso altre direzioni. Si data al gennaio dello stesso 1938 la fondazione del quindicinale Vita giovanile, qualche mese dopo diventato Corrente, intorno al quale si sarebbero raccolte le voci più vive tra le giovani energie intellettuali del capoluogo lombardo: da Luciano Anceschi a Carlo Bo, da Mario De Micheli a Vittorio Sereni.
La rivista rappresentò per Treccani un’importante palestra culturale di apertura verso un orizzonte europeo di riferimenti artistici e letterari. L’ambizione condivisa era quella di riallacciarsi alla grande tradizione romantica francese e di ritrovare un legame tra arte, vita e impegno politico. Corrente vide infatti presto incrinarsi la propria ortodossia di facciata, divenendo un vivace polo di riflessione intorno a posizioni apertamente antagoniste a quelle del regime.
Dopo l’inevitabile soppressione del periodico, avvenuta nel giugno del 1940, l’attività del gruppo proseguì con alcune mostre negli spazi espositivi della nuova Bottega di Corrente, sostituita nel 1942 dalla più grande galleria della Spiga. Parallelamente, insieme a Beniamino Joppolo, Treccani assunse la direzione delle Edizioni di Corrente, con cui pubblicò nel 1941 tre testi teatrali di carattere sperimentale: Giornata nel tempo, Coro del distacco e Dialogo di uno spazzino e la luna. Per la stessa casa editrice, l’anno successivo, sarebbe uscita la sua raccolta di poesie Gli uomini, profondamente influenzata dai versi di Paul Éluard e di Federico García Lorca. Nel 1943 sarebbe stata la volta del dramma L’ospite, edito invece da Quaderni Rossi.
È a partire da queste date che emerge la vocazione pittorica dell’artista. I suoi esordi espositivi si collocano nell’autunno del 1941, con il Ritratto della danzatrice Pucci Cumani inviato al premio Bergamo e con l’Autoritratto presentato a una collettiva presso la Bottega di Corrente. Dopo la seconda partecipazione a Bergamo nel 1942 con una Natura morta, nel febbraio del 1943 il pittore esibì per la prima volta un numero più consistente di opere alla galleria della Spiga, insieme agli amici Ennio Morlotti e Bruno Cassinari.
I lavori di questi anni testimoniano una graduale evoluzione nello stile di Treccani. Si passa dalla stesura virgolettata dei primi quadri, attenti ai precedenti vangoghiani riletti attraverso la pittura di Renato Birolli, fino a una nuova accentuazione plastica e drammatica, segnata da una definizione dei volumi più netta e stereometrica. Lo si nota in opere come Fucilazione (1943), che guardano alla lezione costruttiva cézanniana, ai più recenti dipinti di Renato Guttuso e, soprattutto, al Picasso di Guernica: esempio, quest’ultimo, non solo di una nuova sintassi formale, ma anche di un valore simbolico e morale insito nell’opera d’arte. Treccani, del resto, si espresse chiaramente in proposito partecipando alla stesura del Primo manifesto di pittori e scrittori (1943), teso all’elaborazione di un nuovo «discorso pittorico in funzione rivoluzionaria» (Primo manifesto di pittori e scrittori, in Numero, settembre 1947, nn. 8-9,p. 12).
Nei mesi seguenti il giovane prese parte attivamente alla Resistenza, collaborando in maniera clandestina con l’Unità. Dopo una breve detenzione in carcere, si allontanò da Milano rifugiandosi nel Canton Ticino con la moglie Lidia De Grada, sorella dell’amico Raffaele. Poco dopo le nozze, celebrate nel novembre del 1943, la donna gli avrebbe dato due figli: Giulio e Maddalena.
All’indomani del conflitto, rientrato a Milano e iscritto ormai ufficialmente al Partito comunista italiano, Treccani collaborò con riviste come Il 45 e Numero, assolutamente centrali nel dibattito artistico dell’immediato dopoguerra. Ciononostante, egli non figurò tra i firmatari del Manifesto del Realismo, né entrò a far parte del Fronte nuovo delle arti.
Al di là di un ristretto nucleo di opere di soggetto fiabesco e dalle accese cromie di ascendenza fauve, il pittore concentrò il proprio lavoro su semplici oggetti di uso quotidiano (Tegamini, 1948) e su immagini legate alla realtà industriale (Silo su fondo giallo, 1948). Si tratta di dipinti dall’impianto essenziale e geometrico, organizzati in campiture sintetiche e bidimensionali, che riflettono un particolare interesse per la pittura di Fernand Léger. I lavori di questi secondi anni Quaranta, insieme alle incisioni delle periferie operaie parigine e londinesi, sembrano esprimere un atteggiamento di partecipazione a una realtà dimessa e silenziosa, piuttosto distante dalle coeve polemiche tra le posizioni del realismo sociale e quelle del formalismo astratto. Nella monografia pubblicata in occasione della prima personale del pittore, tenutasi nel giugno del 1949 alla galleria del Milione di Milano, Duilio Morosini (1949) avrebbe parlato di un Treccani attento a evitare «le due opposte insidie del naturalismo e dell’astrazione plastica» (p. 10).
Un momento determinante per l’attività dell’artista fu l’autunno dello stesso 1949. Dopo l’eccidio di Fragalà, partì infatti alla volta di Melissa, in Calabria, per esprimere il proprio sostegno nei confronti dei contadini, attaccati dalla polizia durante l’occupazione di alcuni latifondi. Fu l’inizio di un profondo e durevole legame con il piccolo comune calabrese e con la realtà delle lotte contadine nel Mezzogiorno, soggetto ricorrente nei suoi lavori degli anni Cinquanta.
Gli abitanti di Melissa divennero di fatto il tema privilegiato non solo di molti disegni e incisioni esposte alle Biennali tra il 1950 e il 1954, ma soprattutto di importanti tele di grande formato, che avrebbero trovato posto nella sala personale del pittore allestita a Venezia nel 1956. Si tratta di opere dall’ampio respiro narrativo, come Terra di Melissa (1955), segnate da una precisa volontà documentaria ma anche da un tono umanamente partecipe, in cui la solida definizione delle figure in relazione al paesaggio è ottenuta attraverso una stesura di decise pennellate a pieno corpo. Lo stesso Treccani vi riconobbe la massima espressione della sua «arte realista», concepita come «una presa di coscienza e una partecipazione attiva» nei confronti della contemporaneità (Rinnovamento culturale e realismo [1952], in Treccani, 1966, p. 149).
Un peculiare afflato lirico convive infatti, in questi lavori, con l’esplicita ricerca di un valore sociale, che si ritrova anche nei coevi dipinti di ambientazione milanese. Esemplare il caso di Arlecchinata a Porta Volta (1953-54), in cui un malinconico gruppo di circensi è rappresentato davanti ai palazzi ancora sventrati dai bombardamenti della guerra.
Del resto, parallelamente alla definitiva affermazione artistica con diverse personali in Italia e le prime mostre all’estero, tra Londra (1956) e New York (1957), gli anni Cinquanta furono per Treccani soprattutto un periodo d’intensa militanza politica. Risale all’autunno del 1955 un viaggio nella Cina di Mao: il primo dei molti a cui avrebbe preso parte in quanto membro della delegazione culturale del Partito.
Fu in questa occasione che l’artista iniziò a sperimentare assiduamente i delicati accordi di velature cromatiche consentite dalla tecnica dell’acquerello. Quest’ultimo, per velocità e immediatezza di esecuzione, si sarebbe rivelato un medium ideale ai fini di una resa fluida e spontanea di volti, fiori e paesaggi, anche durante i successivi soggiorni in Grecia (1957-58) e a Cuba (1965).
Gli anni Sessanta si aprirono con la pubblicazione di un’importante monografia (1962) curata da Mario De Micheli, amico fin dai tempi di Corrente. Negli stessi anni, i cicli piemontesi di La luna e i falò (1962-63) e Da Melissa a Valenza (1964-65), realizzati rispettivamente per la Casa del Popolo di Canelli e per quella di Valenza, testimoniarono, ancora una volta, uno stretto legame tra biografia, impegno politico e produzione pittorica.
Dal punto di vista stilistico, però, l’inizio del decennio rappresentò un momento di svolta radicale per il lavoro di Treccani. Le tematiche del realismo sociale, così come le tonalità terrose e le robuste campiture, cedettero il passo a soggetti dal naturalismo liricamente trasfigurato, trattati con un ductus pittorico corsivo e vibrante. Diversi gruppi di opere, come quello delle Siepi o dei Paradisi terresti, furono l’esito di un’inedita felicità gestuale, influenzata dalla lezione dell’espressionismo astratto ma sempre ancorata a un preciso riferimento figurativo. Le nuove soluzioni espressive non costituivano comunque l’esito di una scelta di disimpegno, ma traducevano piuttosto la volontà di prefigurare un altrove ideale. Lo avrebbe chiarito lo stesso Treccani nella raccolta di saggi Arte per amore (1966), parlando di una «ricerca dell’uomo reale, della sua esistenza, del suo riconoscersi nella natura» (pp. 12 s.).
Frutto di una simile volontà d’incontro fu, in questi anni, anche il costante lavoro sui ritratti: volti drammaticamente trasfigurati, non di rado privi di una chiara definizione fisionomica. Il punto apicale di questa ricerca sarebbe stata la grande tela Un popolo di volti (1969-75), realizzata in memoria della strage di piazza Fontana.
Un incidente automobilistico del 1972, che in seguito lo avrebbe costretto all’uso del bastone da passeggio, non ne rallentò l’attività artistica. Al contrario, gli anni Settanta furono per Treccani un periodo d’intensa sperimentazione in campi fin allora frequentati in maniera episodica. La sua produzione si arricchì infatti di smalti a fuoco, vetri, mosaici e ceramiche decorate con vivaci interventi cromatici. Nello stesso periodo l’artista lavorò con crescente impegno alla modellazione di alcune sculture in bronzo, confrontandosi anche con la sfida del grande formato. L’esempio più noto è quello del Monumento a Fragalà (1978-79), le cui superfici tormentate e vibranti intrattengono un intimo dialogo con il segno nervoso dei coevi esercizi grafici. Parallelamente non si era spenta l’originale vena poetica dell’artista, che in quegli anni pubblicò le raccolte Un poco di fiele (1970) e Le cose gentili (1976).
Nei dipinti, intanto, iniziò sempre più spesso a fare uso del colore acrilico, sfruttandone le inedite possibilità di addensamento e saturazione cromatica. Sorprendono anche gli effetti di velatura e ricchezza atmosferica, tutta lombarda, che si rintracciano in un’opera come Rosso cavaliere (1977), realizzata dopo un lungo soggiorno in Ucraina e liberamente ispirata a L’armata a cavallo di Isaak Babel′. La pittura di questo periodo riesce a coniugare sottili modulazioni tonali e squillanti accordi cromatici: soluzioni che, nel corso degli anni Ottanta, avrebbero lasciato spazio a campiture di colore più uniformi, giocate su netti rapporti di sovrapposizione e complementarità.
Nel 1978 Treccani diede vita alla Fondazione Corrente, sita in via Carlo Porta a Milano. Di lì a poco ne avrebbe decorato la facciata con una vasta superficie di piastrelle in ceramica scolpite e dipinte, presto nota come la Casa delle rondini. La nascita della Fondazione, a quarant’anni da quella dell’omonima rivista, s’inserì in un generale contesto di fortuna retrospettiva per il lavoro dell’artista. A partire da una triplice mostra a Volgograd, Leningrado e Mosca, nella primavera del 1976, si aprì infatti una stagione ricca di nuove occasioni espositive in Italia e all’estero, culminate con una grande antologica milanese, a Palazzo Reale, nel 1989.
Negli anni seguenti, Treccani continuò a lavorare dividendosi tra lo studio milanese, i ripetuti soggiorni nel Sud Italia e le soste in diversi ateliers già frequentati nel corso dei precedenti decenni (Macugnaga, Gropparello, Forte dei Marmi e Nizza). Ancora a queste date, rimase centrale per lui l’intima connessione tra fare artistico, promozione culturale e impegno sociale. Lo ribadì in un’intervista del 1997, parlando della propria produzione nei termini di «relazione, sentimento e bisogno dell’altro» (Corrente e oltre, 1998, p. 92).
In alcune opere dei primi anni Duemila la sua ricerca pittorica approdò a una completa astrazione, tutta giocata su vibranti tensioni segniche e intense accensioni cromatiche. Tra i lavori più rilevanti, si distinguono il ciclo degli Omaggi a Mahler (2003), esposti a un’antologica a Busto Arsizio del 2003, e la serie di vetrate Energia, luci e colori (2004).
Treccani dipinse serenamente fino agli ultimi giorni di vita. Morì a Milano il 27 novembre 2009.
Fonti e Bibl.: Le maggiori raccolte di documentazione archivistica su Treccani sono conservate dalla Fondazione Corrente, Milano. Per una bibliografia generale: D. Morosini, E. T., Milano 1949; E. Treccani degli Alfieri, Nel cammino della mia vita, s.l. 1961; M. De Micheli, E. T., Milano 1962; E. Treccani, Arte per amore, Milano 1966; V. Fagone - L. Vitali, E. T., Milano 1970; F. De Bartolomeis, Il segno ambiguo: 230 disegni di E. T., Milano 1974; E. Treccani, Il segreto dell’arte, Montebelluna 1987; E. T. Mostra antologica (catal.), a cura di A. Negri, Milano 1989; Corrente e oltre: opere dalla collezione Stellatelli, 1930-1990 (catal.), a cura di M. Pizziolo, Milano 1998, p. 92 e passim; E. T. e il movimento di Corrente (catal., Busto Arsizio 2003-04), a cura di M. Pizziolo, Milano 2003.