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Sestan, Ernesto

di Grado Giovanni Merlo - Il Contributo italiano alla storia del Pensiero - Storia e Politica (2013)
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Ernesto Sestan

Grado Giovanni Merlo

Ernesto Sestan si definì «cultore di studi storici» per connotare la propria «attività professionale» (Memorie di un uomo senza qualità, a cura di G. Cherubini, G. Turi, 1997, p. 320). Tale autodefinizione qualifica uno studioso dalla personalità fortemente individualizzata, dagli interessi molto ampi, pari alla curiosità che lo spinse in molteplici ambiti e direzioni di ricerca: uno studioso che rimase sempre tale, anche quando le contingenze della vita lo avrebbero potuto spingere verso altri impegni e altre responsabilità, ciò a causa, tra l’altro, del suo «rifiuto di arrampicarsi, di fare a gomitate per crearsi un posto migliore nella vita» e della totale «assenza» in lui «di fatua vanità e di torva invidia» (Memorie, cit., p. 316). Ciononostante, Sestan fu storico pienamente consapevole dei propri pregi e dei propri limiti (riconoscendo «una reale superiorità, fra gli amici, solo a uno Chabod», Memorie, cit., p. 317), molto stimato negli ambienti universitari, preso a riferimento da studiosi giovani e non, anche se non si può parlare di una ‘scuola’ o di una corrente storiografica che a lui si ispiri o che ne abbia continuato gli ambiti e i metodi di indagine.

La vita

Nato a Trento il 2 novembre 1898 da famiglia di origine istriana, Ernesto Sestan fino al 1918 è suddito dell’impero austro-ungarico, nel cui esercito presta servizio militare. Con la fine della Prima guerra mondiale, divenuto cittadino italiano, agli inizi del 1919 si iscrive alla facoltà di Lettere di Firenze. Incontra Gaetano Salvemini, con il quale, nel luglio 1923, sosterrà la tesi di laurea. Nel 1924 conosce Federico Chabod, a cui sarà legato da costante amicizia, e inizia il proprio insegnamento nelle scuole superiori prima a Pisa e poi a Firenze. Nel 1929 diviene redattore dell’Enciclopedia Italiana, ma il nuovo impiego non lo convince sul piano della sicurezza economica e l’anno successivo riprende l’insegnamento, questa a volta a Napoli.

Agli inizi del 1931 ritorna a Roma per occupare un posto nella segreteria della Regia Accademia d’Italia, collaborando strettamente con Gioacchino Volpe: il quale, tra l’altro, gli affida il compito di provvedere alla redazione della «Rivista storica italiana». Per poter continuare in quell’ufficio, nella primavera del 1933 s’iscrive al Partito nazionale fascista, fatto che egli sentì sempre come «colpa e vergogna» (Memorie, cit., p. 319). Nel 1936, non del tutto soddisfatto del proprio lavoro presso l’Accademia, accetta il gravoso incarico di provveditore agli studi di Siena. Nel 1939, subita la necessaria riduzione da provveditore a preside di istituto magistrale, può essere comandato presso la Giunta centrale per gli studi storici. Dopo la complicata sopravvivenza durante la Seconda guerra mondiale, viene convinto da alcuni amici a partecipare al concorso per la cattedra di storia medievale e moderna presso l’Università di Cagliari. Risultato vincitore, vi si trasferisce nel gennaio 1949, passando presto alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove rimane sino al 1951 quando si sposta all’Università della stessa città.

Dal novembre 1954 il definitivo trasferimento nell’Università degli studi di Firenze sulla cattedra di storia medievale a seguito del pensionamento di Nicola Ottokar (1884-1957). Nel 1969 viene eletto presidente della Deputazione di storia patria per la Toscana e assume la direzione dell’«Archivio storico italiano»: incarichi che manterrà per sedici anni. Lasciato l’insegnamento universitario per raggiunti limiti d’età agli inizi degli anni Settanta, non interrompe però la propria attività di ricerca. Muore a Firenze il 19 gennaio 1986.

Una produzione variegata

È assai difficile rendere conto dell’attività di ricerca di Sestan per i lunghi anni che vanno dal 1924 al 1945, poiché essa dipende dalle molteplici sollecitazioni e richieste che gli venivano avanzate da altri, anche in relazione agli impegni istituzionali assunti e alle relazioni mantenute con alcuni eminenti storici. Dopo la pubblicazione nell’«Archivio storico italiano» del 1924 delle Ricerche intorno ai primi podestà toscani, effettuate per la tesi di laurea sostenuta l’anno precedente, egli svolge una notevole attività rivolta alla recensione di opere disparate e alla compilazione di manuali di storia per le scuole, per passare, dal 1929, all’elaborazione di voci, le più varie, per l’Enciclopedia Italiana, con una curiosa deviazione di curiosità verso Max Weber, dal 1933, che culminerà nelle introduzioni alle traduzioni italiane de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo del 1943 e del 1965. Tra il 1943 e il 1945, ovviamente, le sue pubblicazioni si fanno rare, ma si segnala l’emergere dell’interesse per Gino Capponi storico («Nuova rivista storica», 1943, 27, pp. 270-306).

Terminata la guerra, comincia a profilarsi una fisionomia di studioso più identificabile, che diviene tale nella maturità di un quasi cinquantenne. Nel 1946 egli pubblica una monografia su La costituente di Francoforte (1848-1849) e una meditata rassegna su L’Italia nell’età feudale per le Questioni di storia medievale curate da Ettore Rota, oltre che una ricostruzione di Lo stato maggiore del primo «Archivio storico italiano» (1841-1847) e una recensione, tagliente e sdegnata, a uno scritto di Fabio Cusin che toccava la delicata questione della ‘italianità’ dei triestini e della parte ‘italiana’ della popolazione della Venezia Giulia. Questa recensione anticipava in breve la più estesa trattazione che Sestan stava preparando sulla Venezia Giulia, pubblicata nel 1947. Pur nell’apparente dispersione o nella effettiva pluridirezionalità degli interessi, si trattava di una produzione impegnata su temi forti, urgenti e, persino, scottanti. Affrontando la storia della Germania in anni di grandi speranze e illusioni, se ne ricordavano momenti di esemplarità positiva e feconda – l’età di Federico il Grande e di Johann Wolfgang von Goethe – così lontani dalla negatività distruttrice di una recente e devastante Germania, dimentica della positività della «costituente di Francoforte» e dello spirito che l’aveva animata.

L’entrata nel mondo universitario

Fin dagli anni dell’iscrizione all’Istituto di studi superiori e di perfezionamento di Firenze, Sestan aveva vissuto a contatto con gli ambienti e con i docenti universitari; ma non ne aveva mai fatto parte in quanto docente. Nel 1948 l’Università di Cagliari bandisce il concorso a professore straordinario per la cattedra di storia medievale e moderna. La commissione giudicatrice composta da Roberto Cessi, Giovan Battista Picotti, Chabod, Piero Pieri e Carlo Morandi conclude i propri lavori in data 29 novembre 1948, optando per una terna di vincitori che comprende nell’ordine Ernesto Sestan, Ottorino Bertolini e Gabriele Pepe. Tuttavia, la commissione non tralascia di rilevare come la produzione del «candidato» Sestan non fosse «di gran mole» e come alle sue «alte qualità» non avesse fino allora «corrisposto adeguata produzione» (Dolcini, Raspanti 2009, pp. 17 e segg.).

Sembrerebbe che lo stesso Sestan se ne fosse reso conto, visto che pubblicò nel 1951, presso la casa editrice Riccardo Ricciardi – allora guidata dal suo amico Raffaele Mattioli, straordinario intellettuale-banchiere –, la raccolta di studi Europa settecentesca e altri saggi (per lo più già stampati tra il 1941 e il 1947) e, soprattutto, nel 1952, presso le Edizioni scientifiche italiane, l’originale e organico Stato e nazione nell’Alto Medioevo. Questo volume costituiva una consapevole sfida alla coeva medievistica italiana che rigettava il termine stesso di Stato, in quanto espressione della moderna definizione di sovranità statale, se applicato a realtà medievali così lontane e diverse. A Sestan interessava altro, per vedere oltre: oltre i limiti fissati dai contingenti esiti e dalle rigidità derivati dal recente conflitto mondiale. Egli si spingeva in epoche da lui prima solo marginalmente affrontate per indagare sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania. L’alto Medioevo entrava così in modo stabile tra gli interessi di Sestan, che nel 1959 entrò a far parte del Consiglio scientifico dello spoletino Centro italiano di studi sull’alto Medioevo e che ritornò su temi e problemi di quell’età, come si può constatare nel suo Italia medievale del 1966 e nella raccolta postuma del primo volume di Scritti vari del 1988.

Prevalentemente medievista?

In varie occasioni Giovanni Tabacco ha scritto che Sestan era nato come medievista ed era «rimasto prevalentemente tale, nonostante l’ampiezza dei suoi ulteriori interessi e contributi» (Tabacco, in Ernesto Sestan, 1992, p. 55): convinzione condivisa, tra gli altri, da Girolamo Arnaldi («Mi pare indubbio che, benché abbia scritto anche di storia moderna e contemporanea, Sestan debba essere senz’altro classificato come un medievista», Arnaldi 2010, p. 414). Ammesso che tali affermazioni siano condivisibili, resta da chiedersi quale sia il livello di ‘prevalenza’ del medievista sullo studioso delle età moderna e contemporanea o, forse, la questione rischia di allontanare da una personalità che non ebbe «vocazioni specialistiche» (Vivarelli, in Ernesto Sestan, 1992, p. 80), e che anzi con uno dei suoi maestri, Volpe, condivise un «eclettismo» non negativo sul piano degli interessi, piuttosto che in riferimento a principi metodologici ed ermeneutici.

D’altronde, sembra che la stessa scelta del tema medievistico per la tesi di laurea si debba attribuire all’altro suo maestro, Salvemini, poiché Sestan avrebbe preferito un argomento di storia moderna. Non senza fondamento la ‘prevalenza’ del medievista va individuata nei fondamenti filologici e metodologici del suo ‘mestiere’ di «cultore di studi storici», che gli consentivano di spaziare, con infinita curiosità, in epoche diverse e su tematiche assai varie. Non è un caso che poteva rivolgere grande attenzione così alla «erudizione storica» come a Weber. Né è caso che non esistano, alla fin fine, fratture di incomunicabilità tra produzione medievistica, modernistica e contemporaneistica. Anzi, il Medioevo nella sua identità era considerato una età che aveva fatto emergere realtà non trascurabili per una piena comprensione della modernità e della contemporaneità.

«Uno storico atipico»

Il dato della sua sostanziale fisionomia di medievista, collegato però da vincoli di stretta collaborazione intellettuale con una pattuglia di modernisti e contemporaneisti […], ha contribuito a fare di Sestan uno storico atipico, sostanzialmente isolato rispetto ai medievisti della sua generazione (Arnaldi 2010, p. 415).

Non è difficile confermare la verità di tale valutazione: l’atipicità di Sestan risulta in modo assai evidente dalla lettura della sua bibliografia. Pertanto non parrebbe legittimo costringere una produzione così multiforme e multidirezionale in schemi costrittivi. Tuttavia, non sembra improprio cogliervi linee e direzioni di ricerca prevalenti e connessioni non forzate. Si pensi al tema della città che, partendo dall’alto Medioevo, percorre i vasti territori dell’Italia comunale e signorile, per giungere all’analisi dell’opera di Carlo Cattaneo, di cui nel 1957, insieme con Salvemini, pubblica gli Scritti storici e geografici, e di cui riprenderà testi significativi nel cinquantottesimo volume della Letteratura italiana. Storia e testi dell’editore Ricciardi dedicato alle Opere di G. Romagnosi, C. Cattaneo, G. Ferrari. Il tema cittadino ha poi un particolare sviluppo in riferimento alla storia del Comune di Firenze, città in cui aveva studiato nei primi anni Venti del Novecento e in cui tornò come docente di storia medievale nel 1954 per rimanervi sino alla fine dei propri giorni terreni e, per inevitabile conseguenza, alla vicenda e alla personalità di Dante. Il tema cittadino non si limita alla grande città sull’Arno, ma si estende ad altre realtà dell’Italia centro-settentrionale, completandosi con le problematiche connesse con le «origini delle signorie» e con i ‘principati’ padani del tardo Medioevo e della prima età moderna. Nella produzione di Sestan sull’età moderna si segnala soprattutto la sua attenzione all’elaborazione storiografica di Voltaire in particolare quale si manifesta nel siècle de Louis XIV: attenzione che si concretizza in uno scritto del 1951.

Un bilancio finale

Il riferimento all’opera di Voltaire serve utilmente a introdurre qualche informazione e riflessione sui molti scritti storiografici di Sestan, che ebbero la loro conclusione nell’intervento di apertura al convegno su Federico Chabod e la «nuova storiografia» italiana, organizzato da Brunello Vigezzi a Milano nel 1983. Sestan era allora ottantacinquenne, ma non gli mancò la lucidità per tracciare un quadro complessivo di «una generazione di storici» che aveva svolto la propria attività tra il 1919 e il 1950. Il quadro complessivo è al tempo stesso una sorta di ‘bilancio finale’ redatto con le solite passione e finezza e impreziosito dalla sua antica e indeflettibile amicizia con Chabod. Ricordando lo studioso che egli aveva stimato e stimava («Riconoscevamo la superiorità di Chabod; ma chi poteva negargliela?», Scritti vari, 3° vol., 1991, p. 148), venivano passati in rassegna le esperienze personali e gli istituti di ricerca in cui avevano lavorato quegli storici soprattutto a Roma, variamente protetti dalla personalità di Volpe e di Giovanni Gentile e diversamente respirando l’aria del crocianesimo: sino a quando nel 1945 si crearono le condizioni per «il giro di boa negli studi storici italiani, specialmente fra i giovani e i giovanissimi» (Scritti vari, 3° vol., cit., p. 160). Dei nuovi orientamenti Sestan non nascondeva i limiti e i pericoli, pensando in particolare alla demografia storica e alla «storia meramente quantistica, una specie di romanticismo delle cifre», e mettendo in guardia dalle «specializzazioni» che stavano accentuando «il divorzio tra le varie storie». Sestan paventava ancora che le ricerche storiche non riuscissero a conservare e ad alimentare «quel pathos» proprio «del conflitto eterno, al di fuori e al di sopra di ogni specifico momento storico, che è di ogni uomo, di ogni collettività, fra ethos e kratos, fra libertà e necessità» (Scritti vari, 3° vol., cit., p. 161).

Opere

Per un elenco completo degli scritti di Ernesto Sestan, si veda: Bibliografia degli scritti di Ernesto Sestan, in E. Sestan, Scritti vari, 1° vol., Alto Medioevo, Firenze 1988, pp. 1-49.

Tra gli scritti più significativi si vedano:

La costituente di Francoforte (1848-1849), Firenze 1946, Roma 19862.

Venezia Giulia. Lineamenti di storia etnica e culturale, Roma 1947, Bari 19652.

Europa settecentesca e altri saggi, Milano-Napoli 1951.

Stato e nazione nell’Alto Medioevo. Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, Napoli 1952.

Italia medievale, Napoli 1966.

La Firenze di Vieusseux e di Capponi, a cura di G. Spadolini, Firenze 1986.

Scritti vari, 1° vol., Alto Medioevo, con introduzione di F. Cardini, Firenze 1988.

Scritti vari, 2° vol., Italia comunale e signorile, con introduzione di M. Berengo, Firenze 1989.

Scritti vari, 3° vol., Storiografia dell’Otto e Novecento, con introduzione di G. Pinto, Firenze 1991.

Memorie di un uomo senza qualità, a cura di G. Cherubini, G. Turi, Firenze 1997.

Scritti vari, 4° vol., L’età contemporanea, a cura di R. Vivarelli, Firenze 1999.

Scritti vari, 5° vol., Storia moderna, a cura di R. Pasta, Firenze 2011.

Bibliografia

G. Cherubini, Ernesto Sestan, «Archivio storico italiano», 1985, pp. 521-40.

G. Tabacco, Ricordo di Ernesto Sestan, «Rivista storica italiana», 1986, 98, pp. 729-40.

C. Donati, Ernesto Sestan, «Passato e presente», 1988, 16, pp. 107-34.

Ernesto Sestan, Giornata in ricordo di Ernesto Sestan (Trento, 8-9 novembre 1990), a cura di A. Ara, U. Corsini, Trento 1992 (in partic. G. Tabacco, Ernesto Sestan medievista, pp. 55-68; R. Vivarelli, Ernesto Sestan tra Salvemini e Volpe, pp. 69-93).

Ernesto Sestan. 1898-1998, Atti delle giornate di studio nel centenario della nascita (Firenze, 13-14 novembre 1998), a cura di E. Cristiani, G. Pinto, Firenze 2000 (in partic. G. Galasso, Il medioevo italiano ed europeo di Ernesto Sestan, pp. 11-34; A. Rotondò, Sestan studioso dell’età moderna, pp. 35-49).

E. Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, Firenze 2004.

La casa editrice Riccardo Ricciardi. Cento anni di editoria erudita, a cura di M. Bologna, Roma 2008.

C. Dolcini, F. Raspanti, La coda di Minosse. II. Concorsi e cattedre di Storia Medievale, 1949-1973, «Pensiero politico medievale», 2009, 7, pp. 11-104.

G. Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010.

Approfondimento
Lamma, Frugoni, Manselli e Capitani
Grado Giovanni Merlo

Nella sua posizione di direttore, dal 1947, della Scuola storica nazionale di studi medioevali e, pochi anni dopo, di presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, fino al 1982, Raffaello Morghen ha influito sulla formazione e sugli orientamenti di almeno due generazioni di medievisti italiani. Ne sono una prima evidente testimonianza i due voluminosi tomi pubblicati a Roma nel 1974 sotto il titolo di Studi sul Medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen per il 90° anniversario dell’Istituto storico italiano (1883-1973), che raccolgono i contributi di numerosi studiosi venuti in diretto contatto con il maestro romano. Tuttavia, è indubbio che tre sono stati gli storici a lui maggiormente legati, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta del Novecento.

La terna può aprirsi con Paolo Lamma, nato a Bologna nel 1915 e prematuramente deceduto a Padova nel 1961, che con tutta probabilità fu il più vicino all’universo di valori morgheniani, come appare soprattutto negli studi dedicati a Cluny e al monachesimo cluniacense, che Morghen giudicò espressione «notevole di storiografia cattolica, rigorosamente impegnata nella problematica del pensiero storico moderno, pienamente consapevole nello stesso tempo della funzione preminente che la tradizione religiosa ha esercitato nella formazione della nostra civiltà» (Per un senso della storia, a cura di G. Braga, P. Vian, 1983, p. 166).

Con il secondo, Arsenio Frugoni, nato a Parigi nel 1914 da genitori bresciani emigrati e morto in un tragico incidente nel marzo del 1970, Morghen intrattenne rapporti amichevoli e solidali, benché non si nascondesse gli elementi di distinzione e di differenza nel rispettivo modo di affrontare il ‘mestiere di storico’: distinzione e differenza che però trovavano un fondo comune, al di là dei pur importanti aspetti personali e psicologici, nella tensione morale operante nella loro attività di ricerca, ovvero nel sentire impellente il «compito di dare un significato alla storia». Lo stesso Morghen però era ben consapevole, ad altro livello, che «l’opera di storico di Frugoni si concretava in una revisione critica della storiografia antecedente e in una nuova e puntuale lettura dei testi, alla luce dei nuovi indirizzi storiografici» (Per un senso della storia, cit., p. 159). Perciò non è un caso che sia Arnaldo da Brescia nelle fonti del XII secolo (1954; rist. 1989) l’opera frugoniana che ha suscitato e mantiene maggiore interesse, nella quale sono vivissimi i temi di ermeneutica storica e le questioni di esegesi delle fonti, tra cui l’innovativa critica del metodo ‘filologico-combinatorio’.

Il terzo ‘allievo’ di Morghen è Raoul Manselli, nato a Napoli nel 1917 e morto a Roma nel 1984: dei tre sicuramente il più operoso e dinamico sia nell’attività di ricerca, sia nella direzione di enti culturali, come il Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, la Società internazionale di studi francescani di Assisi e il Centro gioachimitico di San Giovanni in Fiore. Studioso delle eresie, della ‘religione popolare’ medievale e della prima crociata, senza disdegnare temi di storia generale, ha lasciato il segno più rilevante nelle ricerche intorno a san Francesco d’Assisi e al francescanesimo, muovendo dalle iniziali e originali indagini su La “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi (1955) e su Spirituali e Beghini in Provenza (1959).

Per completezza di discorso occorrerebbe aggiungere un quarto nome, Ovidio Capitani, nato a Il Cairo nel 1930 e deceduto a Bologna nel 2012, il quale, pur essendo propriamente ‘allievo’ di Morghen sin dagli anni universitari e avendo con lui collaborato precocemente, sottopose a critica serrata e penetrante le convinzioni del maestro, che forse non la gradì o non accettò di tenerne conto: tanto che, tracciando nel 1973 un bilancio de Gli studi sul Medioevo nell’ultimo cinquantennio, Morghen non fece riferimento alcuno all’innovativo saggio di Capitani, meditatissimo e informatissimo, Dove va la storiografia medievale italiana?, comparso in «Studi medievali» ben sei anni prima.


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Indice
  • 1 La vita
  • 2 Una produzione variegata
  • 3 L’entrata nel mondo universitario
  • 4 Prevalentemente medievista?
  • 5 «Uno storico atipico»
  • 6 Un bilancio finale
  • 7 Opere
  • 8 Bibliografia
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