MASI, Ernesto
– Nacque a Bologna, il 4 ag. 1836 da Vito e Virginia Sabatini, di antica famiglia romagnola.
Laureatosi in diritto all’Università di Bologna il 2 luglio 1858, l’anno successivo soggiornò alcuni mesi a Roma per farvi pratica forense. Ma gli avvenimenti incalzavano, e il M., se non aderente, era comunque molto vicino alla sezione bolognese della Società nazionale, fondata nel 1857 da G. La Farina con il tacito appoggio di C. Benso conte di Cavour, che propugnava l’indipendenza e l’Unità d’Italia sotto l’egemonia di casa Savoia.
Nel 1875, commemorando C. Casarini, il M. riconosceva a G. Mazzini d’aver «professata con indomita costanza» l’Unità d’Italia, ma gli addebitava nel contempo d’averla sciupata «miseramente in tanti infruttuosi tentativi» (Fra libri e ricordi di storia della rivoluzione italiana, Bologna 1887, p. 61). Il M. ebbe per tutta la vita idee di liberale moderato, folgorato dalla figura del conte di Cavour, «quest’astro luminoso così nuovo, così imprevedibile nella trista storia della Rivoluzione italiana, e la cui luce ci arrivava via via sempre più nitida e più risplendente» (Nell’Ottocento. Idee e figure del secolo XIX, Milano 1905, p. 258).
Nel 1859, nel primo governo provvisorio stabilitosi a Bologna dopo la partenza del cardinal legato, il M. fu segretario al dicastero dell’Istruzione, funzione che continuò a svolgere poi a Modena, quando si costituì su tutta l’Emilia la dittatura di L.C. Farini. Dopo l’annessione al Regno di Sardegna, il M. si trasferì a Torino, dove ricoprì la carica di segretario della divisione Belle arti e antichità presso il ministero della Pubblica Istruzione (1860-69). Segretario nel 1869 dell’allora segretario generale della Pubblica Istruzione P. Villari, il M., promosso nel frattempo capo sezione, divenne subito dopo capo di gabinetto del ministro C. Correnti e, a partire dall’aprile 1873, fu designato provveditore agli studi di Bologna, carica che ricoprì fino al 1887.
Da conservatore illuminato che, pur non lasciandosi «illudere da malvagie utopie» (Saggi di storia e di critica, Bologna 1906, p. 434), non chiudeva per questo gli occhi di fronte ai problemi reali, il M. partecipò alla breve ma intensa esperienza della Rassegna settimanale, il periodico fondato e diretto (1878-82) da S. Sonnino e L. Franchetti, presumibilmente condividendone l’ardito riformismo. Il M. ne fu collaboratore assiduo, perlopiù con profili dedicati a pensatori, a letterati e a personaggi storici (J.-J. Rousseau, Vittoria Colonna, V. Monti, C. Goldoni, G. Capponi, A. Panizzi).
Il M. amò disegnare in tutta la sua attività pubblicistica «ritratti» di personalità d’eccezione. Basti ricordare la monografia su I Burlamacchi e di alcuni documenti intorno a Renata d’Este, duchessa di Ferrara. Studî sulla Riforma in Italia nel secolo XVI, Modena 1876 (quello della Riforma e della reazione cattolica principalmente in Italia fu uno dei suoi argomenti prediletti); o l’altra su La vita, i tempi, gli amici di Francesco Albergati, commediografo del secolo XVIII (Bologna 1878), nella quale raccontò la vita avventurosa del ricco e bizzarro patrizio bolognese. Del secolo libertino e riformatore si occupò fra l’altro nei libri Parrucche e sanculotti nel secolo XVIII (Milano 1886) e Sulla storia del teatro italiano nel secolo XVIII (Firenze 1891). Raccolse, inoltre, in due tomi Le fiabe teatrali di C. Gozzi, facendole precedere da un ponderoso saggio (Bologna 1885), e dedicò molti scritti fin dal 1879 a Goldoni, pubblicandone una scelta delle migliori commedie in una edizione commentata (Firenze 1897).
Molto ricca fu la produzione di articoli che il M. venne pubblicando, a partire dal 1883, nelle colonne de L’Illustrazione italiana e della Nuova Antologia. Articoli che prendevano in genere spunto da occasioni celebrative o, più spesso, erano lunghe recensioni, nelle quali riversava la sua larga erudizione.
Versatile negli interessi e insaziabile nelle letture, spaziava talvolta in epoche e campi molto lontani da quelli a lui più avvezzi; sicché coglieva nel segno l’anonimo recensore (ma probabilmente R. Renier) del Giornale storico della letteratura italiana (1907, vol. 49, pp. 177 s.), che, a proposito dei Saggi di storia e di critica, notava come il M., nel trattare di «storia più antica e di letteratura», denunciasse «un pizzico di dilettantismo».
I due soggetti, tra loro intrecciati, cui il M. dedicò riflessioni più diffuse e meditate furono la figura letteraria e politica di V. Alfieri e la storia del Risorgimento. Alfieri sembrava al M. aver realizzato in sé quella ritrovata unità e armonia tra l’uomo e il poeta, tra il cittadino e il letterato, che «da secoli era spezzata ed avea resa perciò la letteratura italiana un vuoto trastullo dello spirito, finito nelle ciancie dell’Arcadia» (L’Italia al rompere della Rivoluzione francese (Vittorio Alfieri), in Pensiero e azione nel Risorgimento italiano, Città di Castello 1898, p. 17). Il nocciolo del pensiero politico di Alfieri consisteva, a suo avviso, nel rifiuto di ogni potere assoluto e arbitrario, essendo egli «avverso al dispotismo, […] al radicalismo giacobino, […] al parlamentarismo infine, che, costituendo in sostanza un dispotismo oligarchico, è la corruzione e la falsificazione del sistema rappresentativo, della sola forma cioè legittima e possibile della libertà» (Il pensiero politico di Vittorio Alfieri, Firenze 1896, pp. 38 s.).
Nel giudicare Alfieri quindi il M. aveva in mente la situazione politica del proprio tempo, che gli suscitava sensazioni sconfortanti. La vena malinconica da cavouriano deluso gli faceva rinvenire, nel 1894, nei suoi connazionali «una tendenza spiccatissima a rimanere sempre gli stessi e forse a peggiorare un tantino, come per lo più accade ai discendenti d’una troppo illustre prosapia» (Saggi di storia e di critica, cit., p. 381); e lo induceva altresì, nel 1892, a lamentare la «corruzione» e la «decadenza delle instituzioni costituzionali», l’«anarchica feudalità parlamentare» e il «frazionamento» dei deputati in gruppi aggregantisi «per interessi locali, personali, estranei insomma all’interesse generale della nazione» (ibid., p. 434).
Nella storiografia il M. si mostrò avverso al costume positivistico di affastellare documenti, corredandoli di una minuta e sovrabbondante erudizione. La sua educazione intellettuale si era formata in una temperie di prevalente influenza francese e inglese, e a questa e ai suoi modelli preferì ispirarsi, piuttosto che alla scuola storica tedesca. La sua fu storiografia, appunto, di sintesi scritte in modo scorrevole e attraente, leggibili da un largo pubblico di media cultura. Nell’Avvertenza a Nuovi studi e ritratti (Bologna 1894), una delle sue numerose raccolte di «saggi staccati su temi storico-letterari», il M. si giustificava ritenendoli corrispondenti alle «condizioni di un tempo che ha fretta», nel quale «indugiarsi molto e molto a lungo non riesce quasi più né a scrittori, né a lettori». Il che era un modo empirico, e di misurato buonsenso, di giustificare la propria scelta, che mostrava poi palesi limiti quando il M. si avventurava nella riflessione teorica.
Sosteneva l’impossibilità di ridurre la storia «ad un unico concetto» e non ammetteva alcuna «filosofia della storia», specie quella propugnata dal marxismo, che gli sembrava spegnere ogni idealità, riducendo a interpretazione di interessi materiali ogni fatto più nobile e più puro dello spirito. Per conto suo, riteneva che si dovessero considerare «tutti gli altri fattori della storia: religione, razza, ambiente, costumi, pensieri, sentimenti morali, scienza, arte, letteratura, luoghi, climi, organizzazione dello Stato, e via dicendo». Dovere dello storico era «lo studio accurato dei fatti […] al lume dell’osservazione psicologica» (L’Italia al rompere della Rivoluzione francese, cit., pp. 3-5): formule eclettiche (non prive di echi positivistici transalpini), che tradivano una scarsa solidità teorica.
B. Croce, che gli fu a lungo amico, e che nel recensire la monografia su Asti e gli Alfieri nei ricordi della villa di San Martino (Firenze 1903) aveva definito il M. «letterato pieno di gusto e storico pieno di buon senso, acuto ed equilibrato» nonché autore di «libri di storia politica e letteraria davvero eccellenti» (in La Critica, I [1903], pp. 123-126; rist., con cambiamenti, in Id., Conversazioni critiche, II, Bari 1950, pp. 174-177), in sede di più meditata considerazione attenuò di molto il suo giudizio positivo. Addebitò al M. una «mancata educazione speculativa», notando che i suoi scritti somigliavano a «conversazioni di uomo colto, di buon senso, arguto, che non ha preso mai una vera risoluzione mentale, e nemmeno ha convertito il dubbio affiorante in problema tormentoso» (Il malcontento contro la storiografia pura o filologica, in La Critica, XVIII [1920], pp. 206 s., 211 s.; rist. in Id., Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, II, Bari 1964, pp. 112, 118 s.; la citazione è a p. 119).
Divenuto provveditore agli studi di Firenze nel 1888, il M. mantenne tale incarico fino al luglio 1901, salvo un breve periodo, fra il 1890 e il 1891, durante il quale diresse la divisione per l’Istruzione classica del ministero. Libero docente di storia moderna all’Istituto di studi superiori di Firenze con decreto del 7 giugno 1900, dal 1902 fino alla morte insegnò anche storia del Risorgimento presso l’Istituto di scienze sociali C. Alfieri.
L’ultima fatica del M. confermava il profondo sentimento nazionale che lo aveva animato: su committenza della contessa Maria Pasolini Ponti, redasse la prima bibliografia ragionata di storia del Risorgimento (Catalogo di alcuni libri per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1907).
Dal materiale, ancora privo di forma organica, relativo alle numerose conferenze tenute presso l’Istituto C. Alfieri, V. Fiorini trasse poi due tomi intitolati Il Risorgimento italiano, pubblicati postumi a Firenze nel 1917.
Il M. morì a Firenze il 17 maggio 1908.
Fonti e Bibl.: Consistenti nuclei di lettere del M. sono conservati a Napoli, Fondazione Biblioteca B. Croce, Arch. Croce, b. 57 (1891-1908); Pisa, Arch. della Scuola normale superiore, Carteggio D’Ancona, b. 70 (1875-1907); Bologna, Casa Carducci, b. 53 (1876-1902); Ibid., Biblioteca dell’Archiginnasio, Carteggio Minghetti, b. 9 (1873-84); Carteggio Zanichelli, cart. XX, b. 4 (1898-1905); Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo F. Martini, b. 17 (1881-99); Carte G. Protonotari, b. 71 (1878-94); G. Sforza, rec. a E. Masi, Asti e gli Alfieri, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1904, t. 34, pp. 196-202; D. Zanichelli, E. M. e il suo ultimo libro, in L’Illustrazione italiana, 8 ott. 1905, pp. 365 s.; A. D’Ancona, Una bibl. della storia del Risorgimento italiano, in Il Giorn. d’Italia, 21 luglio 1907; R. B[arbiera], E. M., in L’Illustrazione italiana, 24 maggio 1908, p. 504; D. Zanichelli, E. M., in Nuova Antologia, 1° ag. 1908, pp. 386-402; G. Rondoni, Domenico Zanichelli ed E. M.: ricordo, con una nota bibliogr. (pp. 31-36) di E. Michel, Firenze 1909; N. Rodolico, Domenico Zanichelli ed E. M., in La Rass. nazionale, 1° febbr. 1910, pp. 294-301 (anche in R. Ist. di scienze sociali C. Alfieri, Annuario per l’a.a. 1909-1910, pp. 60-74, con Elenco dei principali scritti di E. M., pp. 82-88); B. Croce, Dalle memorie di un critico, in La Critica, XV (1917), pp. 73 s. (rist. in Id., Aneddoti di varia letteratura, IV, Bari 1954, pp. 451 s.); F. Gabotto, rec. a E. Masi, Il Risorgimento italiano, in Il Risorgimento italiano, XX (1917), pp. 309-320; E. Craveri Croce, E. M., in Lo Spettatore italiano, IV (1951), pp. 290-296; W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di storia della storiografia, Torino 1962, pp. 309-312 e ad indicem.