MAJOCCHI, Ernesto
Nacque a Voghera il 4 marzo 1860 da Pompeo, impiegato comunale addetto al servizio di irrigazione, e da Teresa Lingua. Rimasto orfano di padre giovanissimo, abbandonò presto gli studi e si occupò come garzone di bottega in una merceria. Spirito ribelle e inquieto, poco più che adolescente rimase affascinato dagli ambienti di quella scapigliatura "politica", democratica e repubblicana, che tra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento aveva eletto Milano a sua capitale. Entrò in contatto con A. Bizzoni, il vivace e discusso direttore de Il Gazzettino rosa e, imitandone il costume di vita bohémien, ne riprese lo stile acceso e provocatorio quando ebbe a cimentarsi con le prime prove di scrittura, come collaboratore de La Riscossa, organo dell'Associazione anticlericale di Tortona e del giornale torinese Proximus tuus. "Giornalista nato, senza studi seri, senza cultura classica, solo dotato di una eccezionale forza di volontà, di un ingegno discreto e di una cocciutaggine affatto tedesca", secondo il ritratto che dipinse di sé medesimo (L'Uomo che ride, 19-20 genn. 1900), il M. si considerò sempre un privilegiato per aver imparato il mestiere dal "principe dei giornalisti", D. Papa. Infatti, fu corrispondente da Voghera del foglio moderato milanese L'Italia, che tra il 1885 e il 1886 Papa tentò di trasformare in un giornale democratico. Nei primi anni Novanta collaborò con L'Italia del popolo, il quotidiano "repubblicano-federalista", ma di taglio popolare e rivolto al grande pubblico, che Papa portò a livelli altissimi di tiratura.
Nel corso della sua movimentata carriera giornalistica che, fatta eccezione per alcuni periodi, si svolse interamente a Voghera, il M. combinò insieme i caratteri passionali, polemici, "militanti", che aveva mutuato dall'amicizia con Bizzoni, con gli elementi di alta professionalità che gli erano derivati dall'esperienza a fianco di Papa. Semmai, la cifra particolare del suo giornalismo fu l'ironia, che diventava talvolta sberleffo e talaltra satira.
Nell'agosto 1885, insieme con un gruppo di studenti universitari, fondò il settimanale Il Risveglio iriense, di indirizzo politico radicale. Ma quando il giornale si allineò su posizioni filogovernative, il M., che per difendere il nome di F. Cavallotti si era battuto in duello con un ufficiale di cavalleria, abbandonò la redazione per fondare un nuovo giornale. Il piccolo e battagliero foglio, che aveva intitolato come la rivista di Bizzoni da pochi mesi costretta al silenzio, La Bandiera, ebbe, tuttavia, vita breve (maggio-settembre 1886). Il M., autore di un articolo giudicato insultante verso la regina Margherita, definita "la cattolica biondina", fu denunciato e rinviato a giudizio. La condanna a due mesi di reclusione gli venne comminata in contumacia perché, nel frattempo, era emigrato in Argentina. A Buenos Aires il M. fece vita randagia, adattandosi ai lavori più umili. Trasferitosi a Córdoba, collaborò per qualche tempo a un periodico antigovernativo. Sottoposto al controllo dell'autorità locale di polizia, sfuggì rocambolescamente all'arresto e ritornò nella città natale. Una intervenuta amnistia lo rese libero di riprendere il lavoro giornalistico. Fondò, diresse e compose, pressoché da solo, utilizzando anche gli pseudonimi Mayer e Aldo Sacas, il settimanale L'Orizzonte (novembre 1888 - agosto 1889), che ebbe un netto orientamento mazziniano. Dall'aprile 1889 vi comparve in appendice il racconto Bastardo, a firma A. Sacas.
Il M. abbandonò presto questo genere letterario, per il quale ammise di non avere né talento né predisposizione, ma continuò a esprimersi attraverso la poesia, alternando temi di contenuto sociale e politico con argomenti di costume. Nel 1889 si dedicò alla stesura di un saggio sulla condizione femminile, che gli era stato richiesto dal comitato di propaganda della locale Mutua istruttiva dei figli del lavoro: La donna (Voghera 1890) si segnala non tanto per la profondità o l'originalità dell'analisi, quanto piuttosto per essere uno dei rari esempi, all'epoca, di reale e non effimera attenzione da parte di un uomo verso questa tematica.
Seguendo un percorso che fu comune a molti giovani della sua generazione, dopo l'iniziale impegno radicale, la militanza repubblicana e un breve passaggio attraverso l'operaismo, il M. aderì, sin dall'inizio, al Partito dei lavoratori italiani. Il documento che meglio testimonia questa transizione è l'opuscolo Le vittime di Conselice (ibid. 1890). Un indirizzo schiettamente socialista il M. riuscì a imprimere al settimanale La Sentinella di Voghera, che aveva fondato, nel settembre 1892, insieme con l'amico radicale A. De Ferrari.
Cercò di tradurre in chiave provinciale il modello giornalistico de L'Italia del popolo, dosando sapientemente le notizie di cronaca con i commenti sulla politica nazionale e locale e con le recensioni di spettacoli teatrali o di avvenimenti artistici. Dalle colonne di questo giornale, inoltre, fu tra i primi a segnalare il valore artistico di un giovane e poco conosciuto pittore, nativo nella vicina Volpedo, G. Pellizza, in occasione della seconda Triennale di Brera del 1894.
In breve il settimanale raggiunse la ragguardevole tiratura di 2000 copie, ma nell'ottobre 1894 dovette cessare le pubblicazioni per effetto della politica illiberale di F. Crispi, che il M. non aveva esitato a definire "briaco barcollante tra il prete e il questurino" (14-15 sett. 1894). Destinato al domicilio coatto per aver lanciato una sottoscrizione in favore della Lega italiana per la difesa della libertà, si sottrasse al provvedimento espatriando clandestinamente in Svizzera, grazie anche all'aiuto di Maria Luisa Alessi, allora studentessa, poi docente, giornalista e saggista (Una giardiniera del Risorgimento. Bianca Milesi, Genova 1906), che divenne sua compagna per qualche anno. A Lugano entrò in contatto con la comunità dei proscritti italiani, tra i quali il socialista A. Cabrini, e collaborò al periodico L'Idea moderna, subito ottenendo il risultato di farne crescere la diffusione. Colpito da un decreto di espulsione del Consiglio federale elvetico, che lo qualificava anarchico nonostante egli avesse apertamente rivendicato la sua appartenenza socialista, il 28 apr. 1895 lasciò la Svizzera e si trasferì in Belgio. Anche da questo Paese, qualche mese più tardi, fu cacciato come indesiderabile.
Di ritorno a Voghera, già minato nel fisico ma spinto da intima tensione ideale, con l'aiuto di un ristretto numero di amici, diede vita al settimanale L'Uomo che ride, che incontrò presto un incredibile successo di pubblico. La tiratura crebbe dalle iniziali 800 copie a oltre 4000 nel 1907.
Il M., volendo garantire al suo giornale l'assoluta indipendenza, curò particolarmente la distribuzione e la raccolta di pubblicità e lanciò moderne e allettanti campagne di abbonamento. Nel panorama piuttosto scialbo della stampa di provincia, il giornale, che si qualificava come socialista ma che non fu mai organo del partito, presentava caratteri di assoluta originalità: l'ottima veste tipografica, l'accurata impaginazione, la varietà delle rubriche, la ricchezza delle corrispondenze, l'efficacia del linguaggio, l'interesse delle inchieste su temi quali la delinquenza giovanile, l'analfabetismo, il divorzio, i diritti sociali e politici dei lavoratori, le condizioni dei carcerati. Uno spazio particolare era riservato alla questione femminile, con rubriche e articoli di giovani militanti socialiste, come Maria Giudice, Maria Venco, Maria Luisa Alessi e dello stesso Majocchi. Nell'aprile 1898 fu annunciata l'edizione, mai realizzata, di un supplemento mensile dal titolo complementare a quello del giornale e del tutto eloquente: La Donna che piange. Tuttavia, la ragione principale della riuscita e l'eccezionale longevità de L'Uomo che ride - dodici anni nella versione majocchiana - fu la sua parte iconografica. Il giornale "pupazzettato", come amava presentarsi ai lettori, si distinse dalla gran parte dei periodici socialisti illustrati: non figure ispirate al realismo sociale ma piuttosto caricature, macchiette, vignette, riportate con la tecnica della zincotipografia e spesso accompagnate da didascalie, filastrocche o poesiole, che raccontavano con vivacità e immediatezza le vicende politiche, amministrative, culturali e finanche mondane della città. Particolarmente significativo fu il contributo del pittore e incisore E. Cerutti (Teo), autore del ridente pupazzetto che occhieggiava sulla testata e di alcune memorabili vignette, per esempio, un adattamento satirico del quadro di Pellizza Lo specchio della vita alla situazione politica vogherese (1-2 nov. 1900).
Il M. firmava con pseudonimi tratti dal romanzo di V. Hugo L'homme qui rit (Ursus, Homo, Gwynplane) e cercava di moderare il suo carattere irruente. Non riuscì tuttavia a evitare sequestri, denunce, querele - numerose quelle del deputato ministeriale del collegio F. Meardi, da lui soprannominato "il Nume" - e perfino processi e incarcerazioni. Nella primavera del 1897 fu condannato a 14 mesi di prigione per un articolo giudicato diffamatorio nei confronti di un sacerdote. Si sottrasse alla pena, fingendo una fuga a Zurigo. In realtà rimase nascosto per molti mesi in città, continuando a dirigere il giornale. Durante la repressione del maggio 1898, per dividere la sorte dei molti lavoratori e dei tanti oppositori politici arrestati e reclusi, il M. si consegnò alle autorità e scontò la condanna pendente sul suo capo. Nei lunghi mesi trascorsi "ai bagni" (penali), che più volte descrisse con sagacia ai suoi lettori, la forma di artrite, della quale già soffriva, andò aggravandosi e condizionò da allora in poi la sua esistenza, nonostante egli cercasse di esorcizzare la malattia, come nei gustosi versi dedicati Alla gotta (29-30 genn. 1904). L'Uomo che ride, che aveva cessato le pubblicazioni per ordine prefettizio, tornò nelle edicole nel gennaio 1900, collocandosi come un punto di riferimento nella vita politica e amministrativa della città. Il varo del regime di municipalizzazione dei pubblici servizi e l'insediamento della prima giunta radicalsocialista, nel 1902-03, furono risultati in parte ascrivibili alle campagne del giornale. Dal luglio 1902 al gennaio 1904 le pubblicazioni furono sospese a causa della malattia del Majocchi. Ritornato sulla scena, essendosi nel frattempo estesa e consolidata la rete delle organizzazioni socialiste, egli impose la sua presenza quale esponente di spicco del partito socialista vogherese. Divenne corrispondente del Lavoro di Genova e del Tempo di Milano.
Nel contrasto tra riformisti e intransigenti, che divideva allora il suo partito, prese parte per la "vecchia guardia" di F. Turati e L. Bissolati (29-30 genn. 1904) e biasimò "le guasconate rivoluzionarie" (19-20 sett. 1904) dei "socialistissimi" come A. Labriola. Mostrò costante e solidale attenzione verso il movimento rivendicativo dei lavoratori. Per esempio, nel 1903, allo scopo di raccogliere sovvenzioni per le operaie della tessitura Bertollo in sciopero, fece circolare, in forma di cartolina, il testo dell'Inno alle filatrici, da lui redatto nel 1899, che divenne uno dei canti socialisti più popolari nel Norditalia. Nel 1906, in una circostanza simile, ripubblicò il saggio La donna per aiutare le maestranze dal cappellificio Berti. Nel luglio 1905 accettò di rappresentare il partito nelle elezioni per il rinnovo parziale del Consiglio comunale, ma fu sconfitto perché i suoi stessi compagni preferirono votare per un candidato radicale. Amareggiato e deluso, dichiarò la sua immutata e profonda "fede nel socialismo, ma non nei socialisti" (L'Uomo che ride, 29-30 luglio 1905), trovando conforto nell'affetto dei militanti più giovani e di alcuni amici, tra i quali Pellizza. La riproduzione del quadro Il quarto stato fu il dono che il M. volle riservare agli abbonati de L'Uomo che ride per l'anno 1906. Il pittore di Volpedo, che plaudiva al "giornale lottante per l'ideale" (lettera del 10 dic. 1905), non solo acconsentì, "gratissimo", all'uso per fini politico-propagandistici del suo, ancora relativamente incompreso, capolavoro (lettera del 18 nov. 1905), ma si lasciò volentieri coinvolgere nell'ultima impresa giornalistica del M.: Iria ridet, un quindicinale di arte e cultura, il cui motto sarebbe stato "niente politica e niente musoneria". Ne furono pubblicati sei numeri, da aprile ad agosto 1906. Pellizza realizzò per la copertina della rivista il disegno di una donna amazzone dal sorriso sprezzante, ma il M., "sconcertato dall'audacia sintetizzatrice dell'immagine [(] [che temeva] non fosse sufficientemente gradita o capita dai suoi lettori" (Scotti, 1981, p. 116), esitò a utilizzarla.
Il 14 maggio 1907, dopo sedici mesi di immobilità e di forti dolori fisici provocati da un aggravamento della malattia, il M. si tolse la vita nel modestissimo alloggio di Voghera dove, da ultimo, aveva vissuto.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, ad nomen, f. 2941 (1906-07). Allo stato attuale delle conoscenze, non risulta che le carte del M. siano conservate. 15 lettere o cartoline postali autografe si trovano nell'Archivio Pellizza, presso lo Studio-Museo dell'artista a Volpedo (Alessandria): cfr. Catalogo dei manoscritti provenienti dalla donazione eredi Pellizza, a cura di A. Scotti, Alessandria 1974, p. 157. La corrispondenza tra il M. e Pellizza è stata quasi interamente edita in G. Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, a cura di A. Scotti, Milano 1976, e in Id., "Maestro del colore e del sentimento". Carteggio con gli amici vogheresi, a cura di V.G. Bono, Voghera 2001. Le collezioni dei giornali diretti dal M. sono reperibili presso la Biblioteca civica Ricottiana a Voghera.
Notizie biografiche si traggono dai necrologi pubblicati in La Provincia pavese, 15 maggio 1907; La Plebe, 17 maggio 1907; L'Opinione liberale, 17 maggio 1907; L'Uomo che ride, 19 maggio 1907. Studi specifici: V. Emiliani, E. M.: libero e libertario, in A. Maragliano, Storia del giornalismo vogherese, Voghera 1908 (poi, con integrazioni di A. Airò, U. Alfassio Grimaldi, V. Dabusti, V. Emiliani, T. Giudice, P. Para, G. Riva, L. Rovati, ibid. 1977, pp. 165-170; ma si vedano anche le schede dedicate ai giornali che il M. diresse o ai quali collaborò, pp. 73-75, 81, 85, 87 s., 99, 101-103, 117-125, 145, 147, 159-162); A. Scotti, "L'Uomo che ride" di E. M.: grafica, progresso tecnico e cultura socialista nel giornalismo vogherese di fine Ottocento, in Annali di storia pavese, 1981, nn. 6-7, pp. 103-117. Riferimenti al M. si trovano in V. Emiliani, Tra crisi e litigi. Voghera cresce, in Voghera o cara!, Voghera 1971 (pp. n.n.); E. Signori, Esuli pavesi in Svizzera tra Otto e Novecento, in Annali di storia pavese, 1981, nn. 6-7, pp. 258-261; V.G. Bono, L'arte di Pellizza al servizio dell'ideale nei giornali di E. M., in Boll. della Biblioteca civica Ricottiana, 1981, n. 4, pp. 24-30; A. Scotti, G. Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, pp. 18, 36, 472 s.; Il quarto stato di Pellizza da Volpedo, a cura di A. Scotti, Milano 1988, p. 15; V. Poma, Una maestra fra i socialisti. L'itinerario di M. Giudice, Milano 1991, pp. 13-16; V.G. Bono, E. Cerutti. "Sacerdote del pennello vogherese", in Oltre, 2002, n. 75; M. Nani - L. Ellena - M. Scavino, Il quarto stato di Pellizza da Volpedo tra cultura e politica, Cuneo 2002, pp. 45, 50, 64 s.