DE FIORI, Ernesto
Figlio di Roberto, giornalista - corrispondente da Roma della Freie Presse di Vienna - e di Maria Unger, austriaca, nacque a Roma il 12 dic. 1884. Manifestò un interesse precoce per le arti figurative, recandosi nel 1903 a Monaco per studiare pittura e disegno all'Accademia di belle arti con Otto Greiner. Scontento dell'insegnamento accademico e scoraggiato dal maestro, tornò a Roma l'anno seguente; dipinse alcuni quadri, in cui sono evidenti accenti espressionistici, chiaramente mutuati dal pittore svizzero F. Hodler. Un soggiorno a Londra nel 1909-1910 e il contatto a Parigi, dove si stabilì nel 1911, con la produzione di Renoir e Cézanne fecero maturare nel D. una profonda crisi nei confronti della pittura, che abbandonò quasi del tutto, dedicandosi, grazie a Hermann Haller, dal quale apprese la tecnica, alla scultura. Nelle prime sculture (Figura femminile accovacciata, Figura femminile con le mani sui fianchi, 1911: cfr. Zanini, 1975, tavv. I, II), trapelano influssi di A. Rodin, A. Maillol e delle sculture di Renoir e Degas; ma nel 1936 egli si sarebbe dichiarato autodidatta, riconoscendo solo d'aver ricevuto una certa "impressione iniziale" da Maillol (ibid., p. 36). Le sue opere, caratterizzate da un arcaismo goticizzante, da una peculiare staticità, simbolo di totalità psichica e fisica, furono ben presto notate dalla critica tedesca (P. F. SchInidt, in Zeitschrift für bildende Kunst, 5 luglio 1912; H. Siemsen, in Deutsche Kunst und Dekoration, LXIV [1929], pp. 242-48). Ma intanto il D., interessato ad un'arte di ricerca, stava studiando la plastica cubista, di cui assorbì la disciplina, l'interesse per la forma pura, pur non condividendone i presupposti cerebralisti ed antiemotivi (Anastasius e Ursula, 1912; Ballerino, 1914-15: cfr. Zanini, 1975, tavv. V, VI, VII). Il contatto con il cubismo gli servì però per formulare la sua concezione di scultura come architettura risultante dalla riunione di volumi, che non abbandonò nemmeno quando la sua opera assunse aspetti che potremmo definire espressionisti, benchè il D. non abbia mai fatto uso di deformazioni violente. Nel 1914 partecipò al Salon des Indépendants a Parigi e alla prima Esposizione libera futurista alla galleria Sprovieri di Roma.
Avendo optato per la nazionalità tedesca, nel 1916-17 fu inviato sul fronte francese e solo grazie a pressioni del padre fu dimesso e si trasferì a Zurigo. Nel primo dopoguerra conobbe un momento di fama internazionale: partecipò a numerose esposizioni a Zurigo, Dresda, Dússeldorf, Berlino, Milano, Ginevra, Amburgo, Bruxelles e fu oggetto di alcune monografle (Szittya, 1927). Benché la critica lo comparasse a Maillol, a C. Despiau e, in certi casi, a G. Kolbe, la sua ricerca era in realtà, come egli stesso avrebbe dichiarato, fuori da scuole e correnti (E.D., 1946), improntata ad una radice espressionista, palese nella definizione soggettiva del tema, nella soluzione plastica derivata dal segno emotivo, e ad un antinaturalismo, presente soprattutto nelle teste-ritratto (Karina-Ari, 1922 [Zanini, 1975, tav. XVII]; Jack Dempsey, Vienna, Staatsgalerie, e Beniamino Gigli, 1925; La signora Workman, 1926 [Zanini, 1975, tav. XXIII]; Hindenburg, 1928, Düsseldorf, Kunstmuseum), vicino allo spirito della "nuova oggettività". Nel 1936, per sfuggire al clima culturale e ideologico della Germania nazista, decise di trasferirsi temporaneamente in Brasile, paese dove risiedevano la madre e il fratello maggiore. Dopo un breve soggiorno a Rio de Janeiro, si stabilì a San Paolo, svolgendo un'intensa attività prevalentemente pittorica. Non abbandonò però la scultura e nel 1938 ricevette l'incarico di elaborare una serie di progetti per la decorazione del costruendo edificio del ministero dell'Educazione e Sanità. Nessuno dei gessi proposti fu approvato dal coordinatore del progetto Lúcio Costa, che considerò il D. un individualista (aspetto sottolineato quasi all'unanimità dalla critica) e la sua opera un oggetto non integrabile con il gusto architettonico e monumentale dell'edificio (Zanini, 1975, pp. 17, 56).
Mentre, dopo questa data, la scultura sarebbe stata un'attività secondaria nella produzione del D., l'artista, fin dal suo arrivo in Brasile, aveva ripreso decisamente la pittura forse attratto dalla luminosità e dai colori del nuovo paesaggio, come ipotizzano alcuni critici brasiliani (Mazza, 1969). Come pittore, fu chiaramente un espressionista che valorizzava la figurazione, in polemica con le tendenze astratte, in cui scorgeva mancanza d'emozione e quindi d'integrazione nel proprio ambiente e nel proprio tempo. Se i quadri dipinti fra il 1936 e il 1939, soprattutto paesaggi e scene urbane, si mostravano più ligi alla realtà oggettiva, dopo il 1939, sotto la spinta della seconda guerra mon' diale, il D. divenne più intensamente espressionista, particolarmente nella serie S. Giorgio e il drago (Zanini, 1975, figg, 20 s.), simbolo della lotta tra il bene e il male, della speranza dell'annientamento del nazismo, in scene di canottaggio, nature morte, figure isolate o in gruppo, negli Arlecchini. Ad una scultura che si mantiene essenzialmente statica, con frequenti accenti meditativi, in cui l'artista voleva esprimere "una possibilità olimpica senza l'agitazione effimera dell'esistenza quotidiana" (E.D., 1946), ritenuta da Herbert Read (1970) un "manierismo esitante" sotto l'influsso classicista di A. Hildebrand, si contrappone una pittura dal carattere "precario", dominata dal non finito, da una grande vitalità cromatica, da un grafismo vibrante e spontaneo, da un dinamismo e da un simultaneismo che potrebbe far pensare a soluzioni impressionistiche. La pittura del D. però, "maniera di far poesia" a detta d'uno dei suoi critici più attenti (Milliet, 1965), fu sempre un'espressione di memoria, una trascrizione d'appunti mentali, una rappresentazione di particolari stati d'animo., sia nelle scene di battaglia, sia nel paesaggi acquatici, sia nella raffigurazione della città e dell'ambiente sociale dell'aristocrazia e dell'alta borghesia austriaca e tedesca rifugiatasi in Brasile. Qui, a partire dal 1941, la sua opera acquistò maggiore notorietà e divenne decisiva per lo sviluppo della scultura brasiliana.
Morì a San Paolo il 24 apr. 1945. Gli fu dedicata una sala speciale nella XXV Biennale di Venezia (1950) ed ebbe una grande retrospettiva nel 1975 al Museo d'arte contemporanea di San Paolo.
Sue opere sono conservate nel Museo Boymens-Van Beuningen di Rotterdam, nelle Kunsthallen di Brema, Mannheim e Amburgo, nel Kunstmuseum di Düsseldorf, in quello di Lucerna, nella Österreichische Galerie di Vienna, nel Museo d'arte e in quello d'arte contemporanea nonché nella Pinacoteca do Estado di San Paolo in Brasile, oltre che in numerose collezioni private europee e brasiliane.
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