CODIGNOLA, Ernesto
Nacque a Genova, primo di otto figli, il 23 giugno 1885 dal ragionier Dalmiro, di origine bresciana, e da Maria Molfino, di famiglia genovese. Seguì il normale curricolo degli studi secondari e si iscrisse a medicina, facoltà che frequentò per un biennio; nel 1906-1907 fu ammesso al secondo anno del corso di laurea in filosofia a Pisa dove si laureò nel 1909 avendo avuto, tra i maestri, Giovanni Gentile, al quale avrebbe riconosciuto il merito precipuo della sua formazione e dei suoi orientamenti di studio. L'anno dopo seguì la scuola di magistero presso la Normale di Pisa e, superati i relativi esami, conseguì l'abilitazione all'insegnamento secondario e ne iniziò l'esercizio a Palermo (1910-12), Assisi (1912-14), Lucca (1914-18). Ottenuta la "privata docenza" in pedagogia nell'università di Pisa (d.m. 17 ag. 1918), tenne nel 1918-19 un corso libero della disciplina ed ebbe, negli anni successivi, incarichi di insegnamento.
Due mesi dopo la laurea, nel 1909, aveva sposato Anna Maria Melli, sorella del pittore Roberto Melli, che gli fu vicina nell'attività pedagogica e che collaborò con lui, dopo il 1945, all'esperienza fiorentina della Città-scuola "Pestalozzi".
Fin dal 1915 i suoi interessi furono sopratturo rivolti alla formazione dei maestri e alla ricerca storico-pedagogica finalizzata all'esigenza di analizzare esperienze passate, dalla pedagogia rivoluzionaria in avanti, per trarne suggerimenti utili per il presente. Nel 1917 raccolse alcuni scritti sul problema degli insegnanti nel volume, edito a Catania, La riforma della cultura magistrale che può essere considerato come il primo risultato di un'attenzione da lui dedicata con sempre maggiore intensità a quello che egli ritenne sempre fosse il nodo fondamentale della scuola italiana. Per questo si accostò alla Federazione nazionale insegnanti scuole medie (F.N.I.S.M.) che da anni si batteva, con orientamento chiaramente democratico, per migliorare le condizioni culturali degli insegnanti secondari nel quadro di un'organica riforma della scuola italiana. Nel 1919 fu chiamato quale relatore al X congresso della Federazione sul tema del riordinamento della scuola secondaria e dei criteri che avrebbero dovuto presiedere ad esso; in quella sede egli avanzò la tesi, avallandola con i pareri favorevoli di Gentile, Varisco e Fraccaroli, della riduzione della scuola di Stato a pochi istituti "modello" e dello sviluppo dell'istruzione privata. A coloro che ritenevano pericolosa tale imposizione perché dallo spazio più ampio concesso alla scuola privata avrebbero tratto beneficio iniziative confessionali, egli rispose che occorreva aver fiducia "nella razionalità e quindi nella potenza formidabile dello Stato e del pensiero moderno" (in Bollettino della F.N.I.S.M., novembre-dicembre 1918, p. 108).
La formazione rigorosamente laica, non senza punte di anticlericalismo, della maggior parte degli iscritti alla Federazione rendeva assai difficile l'accoglimento delle proposte del C., nei confronti del quale si scatenò una vivace reazione quando, replicando al termine della discussione, aveva denunciato la cronica insufficienza della scuola italiana che "come le altre nostre istituzioni, [aveva] condotto piuttosto a Caporetto che a Vittorio Veneto" (La Corrente, 14 maggio 1919, p. 2). Il pensiero del C. era stato indubbiamente frainteso, ma era chiaro che nella Federazione vi era una larga maggioranza di professori socialisti e radicali che era politicamente e culturalmente su posizioni ben diverse, perché favorevole all'ampliamento delle iniziative statali e alla diffusione della scuola popolare piuttosto che ad una riforma diretta principalmente a preparare la classe dirigente.Nel gennaio 1920 il C. firmò insieme con Antonino Anile (cfr. Diz. biogr. d. Ital., III, ad vocem), P. Gobetti, V. Cento l'appello per il rinnovamento della scuola che respingeva l'accentramento governativo e il monopolio statale dell'istruzione, e al concetto di "scuola statale" contrapponeva quello di "scuola nazionale". Il Fascio di educazione nazionale nacque, quindi, da una coincidenza di obiettivi tra idealisti e cattolici (Anile aveva aderito al partito popolare e ne fu deputato); prevaleva la tendenza a considerare la riforma come un'operazione "tecnica", affermandone, ancora una volta, l'apoliticità e riproponendo la "persistente immagine della neutralità della scuola" (G. Recuperati, La scuola nell'Italia unita, in Storia d'Italia, V, p. 1712).
Nel 1919 il C. aveva pubblicato a Firenze La pedagogia rivoluzionaria, libro nel quale egli riviveva tutta la grande esperienza della pedagogia illuministica e della politica scolastica del periodo rivoluzionario.
Il C. sottolineava, a conclusione, che "il pensiero pedagogico rivoluzionario, come ogni verità parziale, doveva morire per vivere, come la rivoluzione per disciplinarsi e consolidarsi e conquistare il mondo doveva negarsi nel Consolato e nell'Impero. Gridare al tradimento delle idealità rivoluzionarie è ingenuità. Solo un despota geniale e onnipotente poteva trarre a salvamento la Francia dal pantano del Direttorio e riaffermarne la funzione europea" (p. 297).
Considerazione che può servire a spiegare l'adesione al fascismo del C., e la sua collaborazione con Gentile nella preparazione di quella riforma della scuola italiana che da decenni veniva richiesta dalle avanguardie culturali ma che nessun governo era stato in grado di realizzare, neppure il ministero Giolitti (giugno 1920-luglio 1921) che aveva chiamato alla Pubblica Istruzione un uomo di grande prestigio come Benedetto Croce. Trova così giustificazione il fatto che il C. abbia seguito l'evoluzione del Fascio di educazione nazionale - dal quale si era distaccato, denunciandone l'equivocità, Piero Gobetti - nel Gruppo di competenza per la scuola del partito fascista che egli stesso costituì per incarico di Mussolini al quale aveva proposto, in un incontro avvenuto alla vigilia della marcia su Roma, un'energica azione a favore della scuola (Borghi, 1951, p. 238). Il programma del Fascio di educazione nazionale, adottato dal Gruppo di competenza per la scuola, fu fatto proprio nell'ottobre 1922 dal governo presieduto da Mussolini nel quale Giovanni Gentile era stato chiamato a reggere il ministero della Pubblica Istruzione.
Insieme con G. Lombardo Radice, il C. divenne così il maggior collaboratore di Gentile nell'elaborazione della riforma del 1921, che venne salutata dagli idealisti come la conclusione vittoriosa della battaglia condotta almeno dal 1907, se si considera come momento iniziale la relazione tenuta dal Gentile al congresso di Napoli della F.N.I.S.M. sulla scuola laica, che aveva toccato gran parte dei problemi dell'organizzazione scolastica, ma che era rimasta soccombente rispetto a quella di Gaetano Salvemini; allora avevano avuto il sopravvento gli eredi del positivismo e i più giovani che avevano abbracciato le idee del socialismo, ma costoro, a loro volta, rimasero soccombenti quando Mussolini fu chiamato alla presidenza del Consiglio. La riforma fu portata avanti con l'emanazione di decreti ministeriali legittimati dai pieni poteri che il governo di Mussolini si era fatto votare. Le maggiori critiche ai provvedimenti riformatori vennero, naturalmente, dai socialisti e dai rappresentanti della democrazia laica, quest'ultimi preoccupati dei vantaggi che dalla riforma sarebbero derivati alle scuole confessionali. Anche tra i cattolici si innalzarono alcune voci di dissenso.
Il C. svolse un'intensissima attività pubblicistica a sostegno, prima, del programma del Fascio di educazione nazionale e del Gruppo di competenza per la scuola, poi dei provvedimenti riformatori del Gentile. Dopo aver collaborato a La Nostra Scuola della quale, tra il 1920 e il 1923 fu l'ispiratore, nel gennaio 1922 fondò Levana, rassegna di filosofia dell'educazione e di politica scolastica per il dibattito dei problemi generali connessi alla riforma e, nel settembre 1923, La Nuova Scuola italiana, rivista dedicata specificamente agli insegnanti per promuoverne l'adesione allo spirito della nuova scuola gentiliana. Nel 1923 il C. fu chiamato a far parte della prima commissione del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, incarico che, con qualche interruzione, conservò fino al 1932. Sempre nel 1923 fu nominato direttore generale dell'Ente nazionale di cultura, un'istituzione con sede a Firenze che avrebbe dovuto gestire e indirizzare le scuole "non classificate" (cioè le scuole elementari cui, con una delle decisioni più criticate della riforma Gentile, non vennero riconosciuti i requisiti per essere considerate "statali").
Agli impegni pubblicistici e agli incarichi nell'ambito della riforma si aggiungeva l'insegnamento universitario. Il 15 ott. 1923 il C. era stato nomnato professore straordinario di pedagogia nell'università di Messina, ma venne subito trasferito all'istituto superiore, divenuto poco dopo facoltà di magisterodi Firenze del quale fu direttore fino al 1936 e professore fino all'anno accademico 1954-55, quando fu collocato fuori ruolo per limiti di età.
G. Lombardo Radice aveva troncato la collaborazione con il fascismo ed aveva abbandonato la direzione generale dell'istruzione primaria dopo il delitto Matteotti. La crisi del C. si verificò più tardi, quando le ultime speranze di poter utilizzare il fascismo per il rinnovamento della scuola crollarono di fronte ai travisamenti che le modifiche introdotte dai ministri che erano succeduti al Gentile avevano apportato alla riforma: la fascistizzazione della scuola e la preoccupazione crescente di farne uno strumento di propaganda del regime mostravano come l'interesse di Mussolini per il rinnovamento dell'istruzione italiana fosse stato opportunistico.
Nella Nuova Scuola italiana egli non mancò d'intervenire nel tentativo di impedire il processo degenerativo caratterizzato da provvedimenti come il libro di testo di Stato, che egli avversò senza alcuna perplessità per le limitazioni che avrebbe apportato alla libertà degli insegnanti. La conciliazione del 1929 lo aveva visto su posizioni di critica nei confronti dei filosofi, anche idealisti, che "cattolicizzavano" portando alle conseguenze estreme, e non sempre con sufficiente coerenza teorica, il processo di adeguamento alla politica dell'incontro tra fascismo e Chiesa cattolica (Garin, Cronache, p. 123). L'avvento al ministero della Pubblica Istruzione di Cesare Maria De Vecchi fu l'ultimo atto del progetto volto ad annullare la riforma Gentile togliendole, con ingiustificati interventi parziali, quella omogeneità che, secondo i suoi ispiratori ed elaboratori, sarebbe stata indispensabile per operare il rinnovamento della scuola. Nel 1937 venne attuata la soppressione dell'Ente nazionale di cultura al quale il C. aveva dedicato molta parte della sua attività di quegli anni e che, soprattutto nei confronti delle scuole rurali della Emilia e della Toscana, aveva svolto un'attività meritoria: le scuole "non classificate" furono poste sotto il diretto controllo delle organizzazioni fasciste. L'adesione del C. al fascismo era stata dettata dalla sfiducia nei partiti politici italiani che avevano peccato di opportunismo e trasformismo trascurando il problema della educazione delle nuove generazioni; per questo egli puntò su un movimento di giovani che riteneva avessero sinceramente come obiettivo il rinnovamento del paese e che credeva si sarebbero adeguati ai principi della vita democratica. Per un certo periodo ritenne possibile combattere gli errori del fascismo dall'interno e non venne meno a questo proposito perché molti degli articoli di quegli anni contengono critiche precise, sia pure mantenute sul piano tecnico, a decisioni ministeriali. Quando egli avvertì che era la natura stessa del fascismo, divenuto "regime", a rendere inevitabili gli errori, allora ruppe decisamente con esso e passò all'antifascismo militante.
Della carta della scuola di Bottai (1939) il C. rifiutò la innovazione della scuola media unica (che in realtà non era tale perché rimaneva in vita la scuola di avviamento), risultando spezzata quella unità del vecchio "ginnasio-liceo" che aveva fatto di questa scuola lo strumento di formazione, sulla base della cultura umanistica, della classe dirigente italiana.
Se La Nuova Scuola italiana, pubblicata fino al 1938, consentì al C. di postillare le vicende dell'istruzione, a due altre riviste egli dedicò attività redazionali e collaborazione facendone dei punti di riferimento per coloro i quali avvertivano il crescente distacco tra cultura e fascismo, tra le promesse degli inizi e le realizzazioni degli anni successivi: Civiltà moderna, rassegna bimestrale di critica storica, letteraria e filosofica, pubblicata a Firenze, sotto la sua direzione, dal 1929 al 1942 e La Nuova Italia, rassegna critica mensile della cultura italiana e straniera, pubblicata prima a Perugia, poi a Firenze, dal 1930 al 1943 sotto la direzione di L. Russo e la sua condirezione.
Negli anni del più piatto e grigio conformismo, negli anni dell'esaltazione indiscussa del regime, le due riviste furono impegnate a mantenere il discorso sul piano seriamente scientifico, rinunciando alla retorica per analizzare le situazioni culturali e ritrovare il rapporto tra la cultura italiana e la cultura europea e mondiale che l'enfasi nazionalistica tendeva a distruggere. Attorno a queste riviste sorse la resistenza degli intellettuali laici (non marxisti e non cattolici) che in gran parte confluirono più avanti nel Partito d'azione e che saranno sostenitori (da qui un certo legame tra idealismo e azionismo) della funzione preminente degli intellettuali quali responsabili della formazione delle coscienze dei cittadini.
L'importanza che l'elemento spirituale ha nell'educazione intesa quale sintesi tra lo spirito del docente e quello del discente emerge dalle indagini storiche dedicate al giansenismo, del quale egli fu lo studioso italiano più attento. I Carteggi di giansenisti liguri (Firenze 1941-42) e Ilgiansenismo toscano nel carteggio di Fabio De Vecchi (ibid. 1944) propongono i risultati di originali ricerche archivistiche che consentono di osservare da una prospettiva nuova quel movimento di riforma religiosa che ebbe notevole diffusione in Italia negli ultimi decenni del Settecento e agli inizi dell'Ottocento. Il C. perviene ad una precisa definizione del concetto di giansenista, spesso confuso da storici sprovvisti o quasi di conoscenze teologiche, con pensatori che, nei medesimi anni, come gli illuministi cattolici, avevano avanzato proposte di rinnovamento: a questa chiarificazione è dedicato lo studio su Il giansenismo nella storiografia italiana, in Belfagor, I (1946), 1, pp. 17-27; 2, pp. 180-191. Ma al di là dell'apporto documentario e filologico, gli studi sul giansenismo rispondono a una esigenza affiorata di fronte alla delusione o disillusione verso il fascismo: "Ancora una volta, una vena di pragmatismo era distinguibile in quel suo atteggiamento. L'Italia del 1940-47 non aveva bisogno di chi andasse a cacciare per lei farfalle d'altri tempi: aveva bisogno urgente di riscoprire nella propria storia la positività dell'intransigenza morale, della rivolta al conformismo in nome della coscienza personale, dell'austera severità, onde trarre da quella riscoperta un'indicazione valida anche per il presente" (G. Spini, Lo storico del giansenismo, in Prospettive storiche e problemi attuali dell'educazione, Firenze 1960, p. LXXXVII).
Negli stessi anni matura nel C. l'abbandono di parte delle riserve, di eredità gentiliana, nei confronti della didattica e, quindi, della limitata attenzione che aveva fino ad allora dedicato alle nuove esperienze educative. Ne Le "scuole nuove" e i loro problemi, pubblicato nel 1946 a Firenze, egli coglie il senso del grande movimento di rinnovamento che aveva percorso il mondo nella prima metà del secolo XX e che, se aveva avuto il suo impulso maggiore da straordinarie personalità di maestri, aveva anche proposto delle esperienze che potevano essere utilizzate per il progresso generale dell'istruzione. Se il problema fondamentale rimaneva quello della preparazione culturale degli insegnanti, era anche opportuno che ad essi venissero forniti gli strumenti di conoscenza metodologica e didattica indispensabili per operare positivamente nella scuola.
Nel 1945, sulle rovine della durissima guerra, il C. aveva fondato con la collaborazione della moglie nel popolare quartiere fiorentino di Santa Croce la Scuola-città "Pestalozzi". Egli vi mantenne fermi i suoi principi fondamentali della educazione quale autoformazione e della libertà come conquista che si realizza in un processo che non può fare a meno della autorità. Il maestro esercita l'autorità liberatrice e rinnova continuamente la propria presenza nella scuola servendosi di tecniche didattiche senza ridurle a schemi applicati meccanicamente ma rinnovandole di continuo. La scuola deve essere impostata come una comunità di vita e di lavoro nella quale la formazione del fanciullo avviene attraverso la socializzazione.
Nel 1950 il C. fondò la rivista Scuola e città della quale fu direttore fino alla morte e che fu la palestra dei suoi ultimi interventi spesso vivacemente politicizzati e diretti contro il malgoverno scolastico della Democrazia cristiana, il perpetuarsi, in forme diverse ma pur sempre preoccupanti, dell'accentramento burocratico, i cedimenti alle ingerenze confessionali nella scuola pubblica e l'anarchia delle scuole private. Il C. affermava che lo Stato doveva tutelare la libertà di tutti, laici e non laici, e non poteva consentire che una confessione religiosa o un partito politico rivendicassero una funzione egemonica. Egli non contraddiceva, con queste affermazioni, la posizione che aveva espresso nel 1919 accogliendo la tesi gentiliana della "scuola modello di Stato" e dello sviluppo della scuola privata; ma l'esperienza del fascismo (a partire dal Concordato) e quella degli anni successivi alla liberazione gli avevano fatto intendere come fosse difficile ottenere il rispetto della libertà di tutti e la tolleranza di tutte le convinzioni. Si può parlare di un riaccostamento del C. (va rilevata la presenza nella redazione di Scuola e città di un salveminiano come Lamberto Borghi) a Salvemini, della cui Unità era stato tanti anni prima collaboratore. Da sottolineare la polemica codignoliana contro i Centri didattici nazionali, visti come produttori di tecniche pedagogiche molto discutibili al servizio della gestione politica democratico-cristiana della istruzione pubblica italiana.
Il C. morì a Firenze il 28 sett. 1965.
Bibl.: Per la biografia del C. si veda: D. Izzo, Una vita, in Prospettive storiche e problemi attuali dell'educazione,Studi in onore di E. C., Firenze 1960, pp. V-XLIX. Dello stesso D. Izzo è l'articolo, Mezzo secolo di battaglie e di cultura nel carteggio E. C., in Il Ponte, XXIII (1967), pp. 1173-1177, che illustra l'importanza delle carte codignoliane ora riordinate e messe, tramite un'apposita fondazione, a disposizione degli studiosi. Nel vol, cit. Prospettive storiche…, si trovano, inoltre, gli scritti di F. De Bartolomeis, Il maestro (pp. XL-XLVI), di L. Borghi, Il pedagogista (pp. XLVII-LXXX), di G. Spini, Lo storico del giansenismo (pp. LXXXI-LXXXVIII), di R. Laporta, La Scuola-città Pestalozzi (pp. LXXXIX-CIII) e, ancora a cura di D. Izzo, la Bibliografia (pp. CVII-CLIV) degli scritti del C. e (p. CLV) sul C., alla quale rimandiamo per quanto edito fino al 1959. In Scuola e città, XVI (1965), 11, pubblicato subito dopo la morte, scritti sul C. di L. Borghi, R. Coen, L. Meylan, G. Spini, R. Laporta e L. Andreotti (pp. 700-719) e numerose testimonianze su di lui e ricordi. Il n. 4-5 di Scuola e città, XVIII (1967), è completamente dedicato a E. C. in cinquant'anni di battaglie educative e comprende scritti di L. Borghi, E. Garin, A. Visalberghi, C. Pellegrini, A. Santoni Rugiu, M. L. Salvadori, T. Tomasi, R. Gentili, D. Izzo, A. Broccoli (La Nuova Italia e Civiltà moderna: il momento della crisi), A. C. Jemolo, U. Cirri, G. Cives, F. De Bartolomeis, G. Pagliazzi, G. Balatti, R. Laporta, alcune pagine di diario del C. (pp. 323-28) e il Memoriale autobiografico (pp. 328-34), relaz. autodifensiva dettata nel 1946 nell'eventualità che il Commissariato per l'epurazione prendesse in considerazione una denuncia presentata contro di lui, fondamentale per capire le ragioni della sua adesione al fascismo e per seguire le tappe del distacco da esso. Tutte le più recenti opere sulla storia della pedagogia e della scuola in Italia recano riferimenti al Codignola. Ne indichiamo le principali: L. Borghi, Educazione e autorità nell'Italia moderna, Firenze 1951, pp. 208 s., 238, 244; E. Garin, Cronache di filosofia ital. (1900-1943), Bari 1955, pp. 72 (per la diffusione di Blondel in Italia), 123; D. Bertoni Jovine, La scuola ital. dal 1870 ai giorni nostri, Roma 1958, ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Il professore nella scuola italiana, Firenze 1959, pp. 254, 261, 263, 269, 302; P. Gobetti, Scritti politici, Torino 1960, a cura di P. Spriano, pp. 161 s. (è la segnalazione dell'opuscolo contenente il discorso pronunciato dal C. al congresso di Pisa della F. N. I. S. M. nel 1919); Le riviste di P. Gobetti, a cura di L. Basso-L. Anderlini, Milano 1961, pp. XXXVI, LXIV, LXXXIX; E. Garin, La cultura italiana tra '800e'900, Bari 1962, p. 99 (su Civiltà moderna); E. R. Tannenbaum, L'esperienza fascista. Cultura e società in Italia dal 1922 al 1945, Milano 1974, pp. 171-74, 182 s., 321; L. Ambrosoli, La F.N.I.S.M. dalle origini al 1925, Firenze 1967, pp. 300-04, 308-11, 320, 354; R. De Felice, Mussolini il fascista, II, 2, (1926-1929), Torino 1968, p. 462; P. Gobetti, Scritti storici,letterari e filosofici, Torino 1969, a cura di P. Spriano, pp. 492 s. (è la recensione a La Pedagogia rivoluzionaria), 681 (recensione de L'azione di M. Blondel tradotta in italiano "con molta intelligenza" dal C.); T. Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firenze 1969, ad Indicem; Id., L'idea laica nell'Italia contemporanea, Firenze 1971, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il duce, III (1929-1939), Torino 1974, pp. 105, 110 188; Storia d'Italia, IV, 1, Torino 1974, pp. 717, 728; 2, ibid. 1975, p. 1442; V, 2, ibid. 1973, pp. 1563, 1575, 1717; F. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Bari 1974, pp. 164, 216; G. Canestri-G. Ricuperati, La scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Torino 1976, ad Indicem; T. Tomasi, La scuola ital. dalla dittatura alla Repubblica, Roma 1976, ad Indicem; Id., Scuola e pedagogia in Italia 1948-1960, Roma 1977, ad Indicem; A. J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Bari 1978, ad Indicem; R. Fornaca, Pedagogia italiana del Novecento. Dall'inizio del secolo al primo dopoguerra, Roma 1978, il capitolo E. Codignola e le sue riviste, pp. 145-47; L. Ambrosoli, Libertà e religione nella riforma Gentile, Firenze 1980, ad Indicem; M. Osteno, La scuola italiana durante il fascismo, Bari 1981, passim.