BALDUCCI, Ernesto
Nacque a Santa Fiora (Grosseto) il 4 agosto 1922 da Luigi, minatore, e Domenica Pasqualini. Alla sua nascita fece seguito quella delle sorelle Agnese, Maria e Beppina. A causa della difficile situazione economica della famiglia, a dodici anni andò a lavorare presso un fabbro, l’anarchico Manfredi Cicaloni, abbandonando gli studi malgrado la propensione dimostrata per questi ultimi.
Grazie all’interessamento di un amico della madre originario di Santa Fiora, Domenico Bulgarini (scrittore, agente librario e successivamente anche editore) il 12 novembre 1934 entrò nello 'Speranzinato', il collegio dei padri scolopi di Empoli. Il 12 settembre 1937 vestì l’abito religioso nella casa di noviziato scolopica di Finalborgo e l’anno successivo, il 25 settembre, emise i voti semplici con il nome di Giacomo di Cristo Re. Subito dopo si trasferì nello studentato filosofico-teologico interprovinciale italiano dell’ordine, Calasanctianum, sito a Roma (Monte Mario), dove restò fino al 1944. Qui si mostrò insofferente per una formazione spirituale improntata alla coltivazione delle virtù passive (che educavano all’ascetismo e all’obbedienza) e a un primato della pietà sulla scienza spinto al limite di una vera e propria diffidenza per uno studio che andasse al di là di quello previsto dai programmi scolastici. Ebbe pertanto forti tensioni con il rettore Giuseppe Righetti che, nel novembre 1943, chiese al generale Giuseppe Del Buono il suo allontanamento dallo studentato con l’accusa di fare letture profane e di leggere di notte passando poi i libri che si era procurato di nascosto ai compagni. Il generale decise – dopo un colloquio con Balducci – per una semplice sospensione di tre mesi della decisione sulla sua professione solenne, che alla fine poté effettuare il 23 aprile 1944.
I diari del seminario attestano l’intensità e la determinazione dello sforzo di Balducci di costruirsi un percorso formativo autonomo, rielaborando in modo personale i contenuti delle sue letture (di tipo sia letterario sia filosofico) e cercando di mettere a punto una propria visione del mondo nel cui orizzonte iscrivere in modo originale il senso della sua vocazione religiosa. Il suo impegno in queste direzioni conobbe varie fasi. All’inizio degli anni Quaranta perseguì un obiettivo di costruzione morale e psicologica del proprio carattere e cercò di conciliare la vocazione religiosa con quella allo studio e alla poesia, per lui altrettanto forte. Dall’estate 1942 cominciò a maturare l’esigenza di formarsi «una soda e chiara se non vasta cultura moderna», non solo sul piano letterario, ma estesa agli «altri lati il filosofico, l’economico, il religioso specialmente» (Balducci, 2002, p. 89). Questa nuova attenzione era stata sollecitata dalle conversazioni avute a Santa Fiora con Ferdinando Di Giulio, futuro dirigente del Partito comunista italiano (PCI), del quale aveva ammirato la vastità della cultura. Già a queste date è evidente come concepisse la propria formazione in funzione di una presenza nel dibattito culturale contemporaneo non strettamente religioso.
Nei mesi e negli anni successivi, letture filosofiche si intrecciarono con altre incentrate sul rapporto del cristianesimo con la cultura e la società moderne. Tra il dicembre 1942, dopo la lettura di Josef Holzner (Paulus, Freiburg im Breisgau 1937), Ferdinando Prat (La teologia di san Paolo, Torino 1927), Hermann Schmidt (Organische Aszese, Paderborn 1939) e Maurice Blondel (L’azione, letta nell’edizione italiana a cura di Ernesto Codignola del 1921), giunse a individuare nel tema dell’umanesimo cristiano e nella filosofia di Agostino la strada per comporre in modo armonico natura e grazia, naturalismo e misticismo, ragione e sentimento. Dalla primavera-estate 1943 le letture relative ai rapporti del cattolicesimo con i fondamenti della scienza e delle società moderne assunsero un peso preponderante. Attribuì alla lettura di Scienza e religione nella filosofia contemporanea di Étienne Émile Boutroux (letto nell’edizione Mondadori del 1941) il fatto di essere riuscito a dare un’adeguata collocazione filosofica al problema religioso al cui interno la filosofia dell’azione di Blondel gli sembrava fornire la chiave per un giusto equilibrio tra soprannaturale e ragione filosofica. Di particolare suggestione fu la lettura di Henri Daniel-Rops, Quel che muore e quel che nasce (nell’edizione Morcelliana del 1937), che lesse più volte traendone il convincimento che il concetto di umanesimo (inteso come rapporto equilibrato tra natura e soprannaturale) costituisse un ideale formativo efficace sul piano non solo individuale, ma anche sociale. Negli ultimi mesi del seminario tale concetto divenne centrale anche per il modello sacerdotale che andava elaborando – ispirato dal volume di Josef Sellmair, Der Priester in der Welt(Regensburg 1939) – nel quale la dimensione umana del sacerdote si componeva con la vita soprannaturale. Balducci uscì dunque dal seminario con un ampio bagaglio di letture, determinato a saldare il proprio impegno specificamente religioso con una riflessione capace di dare un contributo significativo alla costruzione di una cultura cattolica in grado di confrontarsi con la società e il pensiero moderni.
Il 29 luglio 1944 lasciò lo studentato romano per la provincia toscana, soggiornando per alcune settimane a Siena, presso la casa della comunità scolopica che gestiva l’Istituto Pendola per la educazione dei sordomuti. Il 3 settembre fu ordinato diacono dall’arcivescovo Mario Toccabelli e il 12 ottobre giunse a Firenze, stabilendosi nell’istituto degli scolopi di via Cavour, dove si occupò del convitto. Riprese a leggere e studiare, questa volta con libertà, attingendo ampiamente al prestito della Biblioteca nazionale. Nel 1945 sostenne la maturità al liceo Michelangelo e si iscrisse alla facoltà di lettere dell’università. Il 26 agosto dello stesso anno ricevette l’ordinazione sacerdotale.
Nei primi anni di vita fiorentina gli interessi letterari continuarono a occupare largo spazio, anche per le sollecitazioni che gli venivano dagli studi universitari e dalla frequentazione di letterati illustri, come Giovanni Papini, Piero Bargellini, Nicola Lisi, e più in generale dell’ambiente della rivista Frontespizio. Cercò anche di realizzare, insieme ad alcuni confratelli o ex alunni di scuole scolopiche, progetti di animazione culturale rivolti sia all’interno dell’ordine sia, più ampiamente, alla città, attraverso la fondazione di circoli o riviste. Nel febbraio 1945 abbozzò un primo profilo del Circolo umanistico, che concepì come un luogo di riflessione e dibattito per costruire un «umanesimo cristiano» (Balducci, 2009, p. 187). Benché attirasse l’attenzione di intellettuali e artisti fiorentini (tra gli altri Mario Donadoni, Mario Casella, Francesco Bernardino Cicala), ebbe vita breve e dalla primavera del 1946 Balducci partecipò all’attività di un circolo analogo, il Chiostro nuovo. Da questo periodo la sua attività pastorale conobbe un costante ampliamento in più direzioni: da guida spirituale di circoli religiosi informali che si riunivano attorno ad alcune donne nobili (come quello della contessa Castelnuovo e della marchesa Trigona) al ruolo di assistente ecclesiastico e di animatore di vari gruppi giovanili. Nel 1947 divenne assistente dell’Azione cattolica delle Scuole pie fiorentine e responsabile di un Gruppo cattolico universitario che aveva sede nei locali del Circolo culturale ricreativo universitario Alfa 48.
Partecipò al dibattito interno all’ordine sui fini del proprio apostolato (tradizionalmente quelli dell’istruzione e della direzione spirituale dei giovani) in un contesto nel quale la scuola pubblica e l’assorbimento di gran parte degli studenti cattolici nella GIAC (Gioventù italiana di azione cattolica) sembravano delegittimarne l’esistenza. In una relazione su Il sacerdote scolopio nei nuovi tempi al convegno di studio nazionale sulla formazione e le attività scolopiche svoltosi a Roma nel 1948, sostenne la necessità di rafforzare, da un lato, le associazioni giovanili interne alle Scuole pie e, dall’altro, l’impegno dell’ordine nell’apostolato tra i giovani anche al di là dell’ambiente strettamente scolastico. Giunse così a delineare una sorta di primato scolopico nell’assistenza religiosa di tutto l’associazionismo giovanile cattolico.
Nel corso del 1948 stabilì una serie di rapporti che concorsero negli anni successivi a fare di lui un personaggio pubblico, non solo a Firenze. Cominciò a scrivere per Città di vita e Al Focolare, espressione, rispettivamente, dello Studio teologico per laici che aveva sede in Santa Croce e dell’Opera della Madonnina del Grappa di don Facibeni.
Nel diario si coglie, a partire dal settembre di quell’anno, un certo disagio per il trionfalismo del cattolicesimo italiano, malgrado pochi mesi prima lui stesso fosse stato partecipe del clima di crociata della campagna elettorale che aveva preceduto le elezioni di aprile. Nei mesi e poi negli anni successivi assegnò un’importanza crescente alla dimensione intima della fede, distinguendola dalle sue manifestazioni esteriori e dalle sue affermazioni terrene e conferendole un primato rispetto all’azione. Sono significativi, al riguardo, l’articolo Mistica del riposo, pubblicato su Al Focolare tra il luglio e l’agosto 1949 e i commenti al Vangelo domenicale trascritti sul diario tra il gennaio e il marzo 1951, nei quali prendeva le distanze dall’idea di un regno di Dio che si realizzasse sulla Terra nel segno del trionfo della Chiesa (Balducci, 2009, pp. 343-342).
Nel 1949 cominciò un’esperienza che portò avanti con continuità fino al 1959: la ‛Messa degli artisti’, una celebrazione eucaristica specificamente dedicata ai cultori di arte. L'iniziativa era nata sul modello di quella avviata a Roma nel marzo 1941 da mons. Ennio Francia (allora giovane sacerdote) insieme a un gruppo di artisti laici. A proporla a Firenze furono Piero Bargellini e il pittore Primo Conti insieme, tra gli altri, a Nicola Lisi, Carlo Betocchi e Giovanni Papini (che suggerì a Francia il nome di Balducci come celebrante adatto a questo tipo di funzione).
Nel 1950 si laureò con Attilio Momigliano con una tesi su Antonio Fogazzaro, pubblicata nel 1952 da Morcelliana. Pur non abbandonando del tutto la frequentazione di ambienti letterari (collaborò con le riviste L’Ultima e Mal’Aria) successivamente si dedicò prevalentemente allo studio e alla divulgazione teologica e a una pastorale attenta ai poveri e alla formazione spirituale, culturale e religiosa dei giovani. Rivolse particolare impegno alla promozione della cultura teologica del laicato cattolico, nel convincimento dell’importanza, in un mondo secolarizzato, di costruire una cultura cristiana autentica e capace di rispondere ai problemi del tempo preservando la fede dei credenti. Nelle sue meditazioni, conferenze e lezioni (tenute per la maggior parte presso il Chiostro nuovo e lo Studio teologico per laici) si ispirò largamente alle tesi della nouvelle théologie francese, attestandosi su una linea di progressivo distacco dal cattolicesimo intransigente di matrice ottocentesca e di adesione alle tesi maritainiane sulla nuova cristianità.
Partecipò ai convegni per la pace e la civiltà cristiana organizzati dal 1952 al 1956 da Giorgio La Pira (divenuto sindaco di Firenze nel 1951) e anche la sua attività pastorale si svolse in un rapporto sempre più intenso con quest’ultimo. Proprio La Pira, alla fine degli anni Quaranta, gli aveva chiesto di occuparsi del settore giovanile della S. Vincenzo, e su questa esperienza Balducci innestò, tra il 1952 e il 1953, la fondazione del centro di impegno cristiano, Il Cenacolo. La spiritualità del gruppo si ispirava a quella dei Piccoli fratelli di Gesù di René Voillaume, che lo scolopio ebbe modo di conoscere nel 1959 grazie all’amico Arturo Paoli. All’interno del Cenacolo si costituì un più ristretto Gruppo di iniziativa sociale e dal suo stesso ambiente nel 1958 nacque la rivista Testimonianze, di cui Balducci fu direttore fino al 1961 (dal 1960 insieme a Danilo Zolo). L’area che a lui faceva riferimento, per l’intreccio tra formazione religioso-spirituale e interesse politico-sociale, si trovò spesso a convergere con le iniziative lapiriane (dalle lotte operaie per la Pignone ai Convegni per la pace), suscitando diffidenza nella gerarchia ecclesiastica. I rapporti di Balducci con quest’ultima divennero sempre più tesi dopo l’arrivo a Firenze, nel 1954, di Ermenegildo Florit, in qualità di vescovo coadiutore di Elia Dalla Costa.
A determinare tali tensioni fu, oltre alla vicinanza del suo gruppo a La Pira, la sua adesione a orientamenti del cattolicesimo francese condannati dall’enciclica Humani generis (1950). Il 20 maggio 1959 il generale Vincenzo Tomek gli comunicò che il Santo Uffizio aveva imposto il suo allontanamento dalla Toscana, e con lettera del primo luglio successivo lo nominò visitatore generale delle Scuole pie. In ottobre Balducci si trasferì dunque a Roma. Fino al 1962 la sua sede fu Frascati (dove insegnò religione in un istituto di suore) mentre successivamente si stabilì a Monte Mario, nella parrocchia di S. Francesco, insegnando storia della Chiesa al Calasanctianum.
All’esilio romano non corrispose un suo completo isolamento sul piano ecclesiale. Egli poté constatare la stima di cui godeva presso autorevoli esponenti della curia romana (come il sostituto alla segreteria di Stato Angelo dell’Acqua) e dell’episcopato italiano (come l’assistente centrale dell’Azione cattolica italiana Franco Costa) e persino l’ostilità del prefetto del Santo Uffizio Alfredo Ottaviani si attenuò nel corso del tempo.
Nondimeno, negli stessi anni, gli ambienti che gravitavano attorno a La Pira e a Testimonianze furono oggetto di attacchi romani, soprattutto per la loro disponibilità al dialogo con i comunisti. Balducci continuò a seguirne le vicende da vicino e a sostenerne indirettamente le posizioni attraverso conferenze e commenti al dibattito e ai documenti conciliari (in larga parte pubblicati su Il Regno e sulla stessa rivista fiorentina) che sottolineavano gli elementi di novità emersi al loro interno tali da rendere obsoleta l’opposizione pregiudiziale a quel dialogo. Tra questi elementi vi erano idee e principi da tempo valorizzati nella sua riflessione: il primato della coscienza individuale, il superamento del tema della cristianità (in relazione al quale, per documentare il proprio personale percorso, nel 1963 pubblicò Cristianesimo e cristianità), l’esigenza di un rinnovato rapporto con il mondo nel segno del dialogo inteso come confronto tra verità diverse e mondi ideologici distanti, un’accettazione piena della laicità dello Stato e la corrispondente rinuncia della Chiesa a dare specifiche indicazioni sull’organizzazione della vita pubblica, il riconoscimento della dignità propria dei laici e della loro autonomia sul piano delle realtà temporali.
Tra il 1963 e il 1964 fu al centro della scena pubblica per le posizioni assunte sull’obiezione di coscienza. In un’intervista pubblicata il 13 gennaio 1963 su Il Giornale del Mattino aveva sostenuto – criticando la sentenza di condanna di Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico in Italia – che occorresse ridimensionare il concetto di patria e che in alcuni casi si avesse il dovere di disobbedire. Fu così denunciato alla procura della Repubblica e al contempo vennero presentati un esposto al provinciale degli scolopi e un’accusa al Santo Uffizio. Si aprì un processo contro di lui che si concluse, dopo l’assoluzione in primo grado, con una sentenza definitiva di condanna della Cassazione nel giugno 1964. La sentenza, che entrava nel merito di motivazioni di tipo religioso imputando allo scolopio un difetto di ortodossia, suscitò proteste e attestazioni di solidarietà nei suoi confronti. Non vi furono critiche alle sue posizioni da parte del pontefice.
Alla fine del 1964 cominciò a delinearsi la possibilità di un ritorno a Firenze. Paolo VI, in un’udienza privata dell’ottobre di quell’anno, gli manifestò il proprio favore. La sua richiesta di rientro nella provincia ottenne il sostegno di Tomek e nel gennaio 1966 anche Ottaviani gli comunicò di non avere più obiezioni, sollecitandolo tuttavia a limitarsi alla predicazione e allo studio e a evitare interventi sul piano politico. Restò invece ferma l’opposizione di Florit e alla fine si trovò una soluzione di compromesso con il suo trasferimento, con decreto generalizio del 16 luglio 1966, nella comunità scolopica della Badia fiesolana, che rientrava nella giurisdizione del vescovo di Fiesole. Intanto, nell’aprile 1966, con l’accordo suo e di Zolo, la curia fiorentina aveva tolto la dicitura «con approvazione ecclesiastica» a Testimonianze. La rivista passò così a una direzione laica e collegiale e, non impegnando la gerarchia ecclesiastica, poté esprimersi con maggiore libertà.
Nell’immediato postconcilio Balducci intensificò la propria attività di conferenziere, chiamato da diversi vescovi italiani per commentare i testi conciliari. Il tema della chiesa locale divenne centrale nella sua riflessione degli anni 1966-1967, in uno stretto rapporto con la Chiesa bolognese di Giacomo Lercaro e Giuseppe Dossetti: a Bologna si svolse nel maggio 1967 il secondo convegno di Testimonianze dedicato a La coscienza del popolo di Dio. Premesse per un rinnovamento in Italia.
Con l’esplodere, nel corso del 1968, del dissenso cattolico, fu indicato come uno dei suoi ispiratori: un’attribuzione di paternità che respinse pur riconoscendo che alcune delle posizioni dei gruppi che ne erano protagonisti erano state divulgate nel decennio precedente da Testimonianze. Si fece inoltre coinvolgere in un tentativo di mediazione – operato insieme ad altri sacerdoti fiorentini – nelle tensioni esplose nell’ottobre 1968 tra Florit e la comunità parrocchiale dell’Isolotto, dopo il rifiuto di quest’ultima di ritrattare pubblicamente – secondo quanto richiesto dal vescovo – la lettera di solidarietà inviata il 30 settembre agli occupanti della cattedrale di Parma. Alla rimozione del parroco Enzo Mazzi il 4 dicembre, la comunità reagì rifiutando di partecipare alle celebrazioni eucaristiche tenute presso la parrocchia da sacerdoti inviati da Florit e organizzando autonomamente incontri di preghiera alternativi. Fallito un ulteriore tentativo di pacificazione operato da Balducci e Nando Fabro nell’agosto 1969 su mandato del convegno del Segretariato delle attività ecumeniche riunito a Camaldoli, la tensione tornò a innalzarsi dopo che Florit, il 31 agosto, volle celebrare una messa nella chiesa dell’Isolotto senza preavvertire la comunità e facendovi convenire fedeli da altre parti della città. Il 1° settembre Balducci stese una dichiarazione nella quale criticava, per ragioni analoghe e simmetriche, sia la ripresa della celebrazione autogestita in piazza da parte della comunità sia l’iniziativa dell’arcivescovo. Riteneva infatti che, poiché la celebrazione eucaristica richiedeva comunione ecclesiale, una messa celebrata da un membro della Chiesa in polemica con l’altro era in contraddizione con il proprio significato.
Le riflessioni ecclesiologiche fatte durante la vicenda dell’Isolotto furono pubblicate nel volume La Chiesa come eucaristia (Brescia 1969) e quelle relative al complessivo periodo 1960-1970 nel Diario dell’Esodo (1971). In entrambi i volumi la celebrazione eucaristica acquisisce un ruolo sempre più centrale in quanto luogo di realizzazione della Chiesa come popolo di Dio.
Le posizioni assunte sul caso dell’Isolotto si ripercossero negativamente su Balducci, procurandogli un duro richiamo del vescovo di Fiesole e nuove tensioni con l’ordine, di cui dall’agosto 1967 era divenuto generale Laureano Suárez Díez. Nell’autunno 1969 circolava la voce di una sua possibile esclaustrazione e di provvedimenti punitivi nei suoi confronti che furono evitati grazie alla mobilitazione a suo favore di numerosi confratelli. Nel 1970 fu eletto assistente provinciale e malgrado venisse posta una serie di vincoli alla sua attività di docente, scrittore e conferenziere, divenne sempre più un importante riferimento per quanti erano al margine dell’istituzione ecclesiastica. I suoi interventi su temi particolarmente accesi aggravarono la sua posizione nella Chiesa e nell’ordine.
Ripercussioni particolarmente gravi ebbe il dibattito televisivo con Jean Daniélou del 28 settembre 1971. Il cardinale francese vi sostenne che la crisi del clero fosse imputabile alla messa in discussione del celibato, mentre Balducci la attribuì allo scandalo di una Chiesa-istituzione che diceva di ispirarsi al Vangelo, ma che di fatto assumeva comportamenti a esso contrari, generando lo smarrimento di molti. Queste affermazioni furono oggetto di critica da parte dello stesso pontefice (che tuttavia in un secondo momento fu più benevolo) e sembrarono mettere ancora una volta in discussione lo stato religioso di Balducci. Egli prese le distanze da quanti, in relazione alla vicenda, lo ascrissero all’area della contestazione ecclesiale e indicò il luogo della propria specifica collocazione tra l’annuncio e la testimonianza del Vangelo come ragione della sua esistenza e la ferma volontà di restare in comunione con la Chiesa.
Negli anni successivi si pronunciò – nel nome della legittimità del pluralismo delle opzioni temporali riconosciuta dal Concilio – contro l’identificazione dei cattolici con un unico partito. In occasione del referendum sul divorzio del 1974 sostenne le posizioni dei cattolici pronunciatisi per il no con la motivazione che, pur costituendo l’indissolubilità del matrimonio un valore morale e religioso, essa non poteva essere imposta in modo coattivo da parte dello Stato, ma doveva semmai essere testimoniata dai cristiani con la loro vita. Dopo un richiamo del vescovo di Fiesole Antonio Bagnoli, si impegnò a sospendere prese di posizione pubbliche su questo tema limitatamente al periodo della campagna referendaria.
La tensione con i vescovi italiani riemerse in occasione delle elezioni politiche del 1976, quando alcuni cattolici a lui vicini (Mario Gozzini e Raniero La Valle) si candidarono come indipendenti nelle liste del PCI. Proprio alla Badia fiesolana si era svolta nel maggio 1976 la riunione nella quale era stata abbozzata l’ipotesi di queste candidature e a Balducci fu imputata la paternità dell’operazione. L’8 febbraio 1977 il sostituto alla segreteria di Stato mons. Giovanni Benelli (dal giugno successivo arcivescovo di Firenze) gli inviò una lettera con un «unito appunto personale e privato» nel quale elencava le critiche mosse da più parti alle sue posizioni (Archivio Fondazione Balducci, Fiesole, Privato, Sezione IV, Chiesa, fasc. I/7, segreteria di Stato, cc. 254-259) e nel settembre successivo si svolse un incontro tra la congregazione dei Religiosi e la congregazione per la Dottrina della fede per discutere della sua ortodossia. Promosso dallo stesso Benelli e dalla segreteria di Stato, non dette luogo a procedere.
Nel corso di queste vicende in Balducci venne progressivamente meno ogni speranza di rinnovamento dell’istituzione ecclesiastica. Si orientò così nella direzione dell’assunzione, all’interno di quest’ultima, di una posizione di marginalità nella quale limitarsi a utilizzare gli spazi di parola che ancora gli venivano lasciati.
Nel 1977 pubblicò il volume Le ragioni della speranza, nel quale rese esplicito il passaggio della sua riflessione a una nuova fase che poneva al centro il rapporto tra vissuto della fede e storia. Vi caratterizzò la propria posizione come improntata a un’immagine di Chiesa ricondotta a un ambito spirituale e alla disponibilità a vivere in un mondo non più sacrale, ma profano. Indicava inoltre nella «scelta dei poveri […] la sua vera carta di identità politica» e nella spiritualità dei Piccoli fratelli di Gesù un termine di confronto quotidiano che alimentava un’immagine di Chiesa «totalmente liberata dal gravame del potere». Da qui il progetto di condividere la storia di tutti gli uomini, senza privilegi, nel cuore della loro comune ricerca. Sosteneva l’esigenza, da un lato, di abbandonare la «cultura cattolica» e, dall’altro, di operare una riflessione di fede a partire dalla Theologia crucis, in una «tensione profetica» tra «comprensione scientifica della storia e confessione di fede nel Gesù della Croce». La fede in un Dio che ama il mondo e cui è possibile l’impossibile era per lui «un segreto da testimoniare, non un argomento per le dialettiche culturali». (E. Balducci, Le ragioni della speranza, Roma 1977, pp. 5-10). Dalla fine del pontificato di Paolo VI i rapporti con le gerarchie vaticane e con i vescovi italiani si attenuarono e sotto il pontificato di Giovanni Paolo II la sua presenza sulla scena pubblica fu sottoposta a un minore controllo.
Dal 1976 al 1982 fu rettore della Badia fiesolana e negli anni successivi partecipò al dibattito sulla dissociazione dal terrorismo e sul carcere che precedette il varo, tra il 1986 e il 1987, della legge sulla riforma carceraria (nota come legge Gozzini) e di quella sulla dissociazione. Il suo contributo in questo ambito non fu solo teorico: egli intrattenne un’intensa corrispondenza con molti terroristi di sinistra e promosse alla Badia incontri settimanali con i genitori dei terroristi detenuti. Nel corso di questa esperienza maturò uno spostamento dell’orizzonte della sua riflessione e del suo impegno dalla Chiesa alla società civile, ridefinendo il problema religioso in termini che lo ponevano in stretto rapporto con questioni di tipo esistenziale e antropologico.
Nel volume L’uomo planetario (Brescia 1985) caratterizzò egli stesso questo sviluppo come «svolta antropologica». Nella nuova prospettiva del suo pensiero, la pace costituiva un imperativo assoluto e imprescindibile da cui dipendeva la sopravvivenza dell’umanità. Dal 1981 ebbe un ruolo importante nell’animazione del ciclo di convegni di Testimonianze sul tema Se vuoi la pace prepara la pace e nel 1986 fondò, con il supporto economico degli scolopi, le edizioni Cultura dalla pace. Nel corso della guerra del Golfo intervenne ripetutamente, anche su testate della sinistra (L’Unità, Il Manifesto, Rinascita), per richiamare l’ONU e la diplomazia internazionale alla sostituzione della guerra con le armi del diritto. Parallelamente nelle omelie negava che la violenza potesse costituire uno strumento di giustizia.
Nel frattempo la Badia fiesolana era divenuta punto di riferimento per una comunità di laici e di scolopi che si riuniva attorno alla liturgia domenicale da lui celebrata e che promuoveva incontri di riflessione e solidarietà sia sul piano internazionale (con l’appoggio a iniziative concrete) sia nella città (ad esempio nell’ambito della psichiatria o delle carceri). Si era dunque creato una piccola Chiesa locale, una comunità eucaristica nella quale meditava la parola e dalla quale diceva e scriveva di trarre ispirazione. La comunità di Badia fu più volte visitata dal cardinale Piovanelli (arcivescovo di Firenze dal 1983) e partecipò ai lavori del sinodo fiorentino.
All’inizio del 1992 uscì il suo ultimo volume, La terra del tramonto, nel quale sostenne l’esigenza di integrare culture diverse e di recuperare l’intuizione originaria di tutte le religioni. Morì a Cesena il 25 aprile successivo, due giorni dopo un incidente stradale alle porte di Faenza.
Balducci ha lasciato una documentazione inedita e una bibliografia molto vaste. La prima, raccolta presso l’Archivio della Fondazione a lui intitolata, che ha sede nella Badia fiesolana, è stata in parte inventariata nel volume Percorsi di archivio. L’archivio di Ernesto Balducci, a cura di B. Bocchini Camaiani, M. Galfré, N. Silvestri, Firenze 2000. La seconda è stata censita in Ernesto Balducci. Cinquant’anni di attività, a cura di A. Cecconi, Firenze 1996, pp. 183-299. Anche gli interventi e gli studi su Balducci sono stati raccolti in Ernesto Balducci. Bibliografia critica 1956-2002, a cura di A. Cecconi, San Domenico di Fiesole 2002. Della biblioteca di Balducci è stato pubblicato il Catalogo della biblioteca privata di padre Ernesto Balducci, a cura di E. Viti, direzione scientifica di M. Guerrini, Firenze 2012.
Rimandando a questi strumenti per una bibliografia più puntuale di e su Balducci, ci limitiamo qui a segnalare le edizioni di fonti e gli studi di carattere più strettamente scientifico: Fede e poesia nel giovane Ernesto Balducci (1940-1950), a cura di A. Cecconi, presentazione di L. Grassi, Firenze 1998; Ernesto Balducci e “Mal’Aria”. Rivista maremmana 1951-1954, Firenze 2000; Agnese Baggio - Ernesto Balducci: Lettere 1950-1979, a cura di N. Silvestri, San Domenico di Fiesole 2001; E. Balducci, Diari (1940-1945), t. I (1940-1943), a cura di M. Paiano, Firenze 2002; Diari (1940-1945), t. II (1943-1945), a cura di Ead., Ibid. 2004; Diari (1945-1978), a cura di Ead., Brescia 2009.
Studi: B. Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernità, Bari 2002; L. Martini, La laicità nella profezia. Cultura e fede in Ernesto Balducci, Roma 2002; Ernesto Balducci. La chiesa, la società, la pace, a cura di B. Bocchini, Brescia 2005; C. Posi, Il Dio planetario. Cristianesimo e religioni nel pensiero di Ernesto Balducci, Assisi 2012; Padre Ernesto Balducci dalla “Messa degli artisti” all’arte contemporanea, a cura di A. Cecconi - C. Giannini, Firenze 2013.