OTTOLINI VISCONTI, Ernesta
OTTOLINI VISCONTI, Ernesta (Ernesta Napollon). – Nacque il 22 luglio 1840 a Parigi dal conte Giulio Ottolini Visconti, gran ciambellano dell’imperatore d’Austria, e da Elisabetta Napollon, appartenente a una famiglia dell’alta borghesia mercantile che nel Settecento aveva dato numerosi magistrati alla città di Marsiglia e una parte della quale aveva aderito su posizioni girondine alla Rivoluzione francese, per poi stabilirsi a Milano.
Rimasta orfana di padre prima della nascita, fu cresciuta dalla madre e dal suo secondo marito, Giulio Napoleone. A sei anni si trasferì con la famiglia in Piemonte, dove ricevette un’educazione ispirata ai principi illuministi e alle idee nazional-patriottiche di stampo mazziniano. Il 23 febbraio 1857 sposò il cavaliere Francesco Margarita e si trasferì con lui a Comabbio, piccolo borgo nei pressi di Varese. Qui, spinta dalla convinzione che il principale artefice della storia fosse il popolo nella sua totalità, iniziò a interessarsi alla condizione dei contadini, degli operai, delle donne e dei fanciulli. Aprì scuole serali e domenicali per gli adulti, finanziò la costruzione di un asilo e di una scuola di merletti. Diresse poi a Genova alcuni laboratori scolastici per fanciulle istituiti da Giuseppe Celesia e collaborò con Laura Solera Mantegazza nella gestione della scuola professionale femminile di Milano. Nei primi anni Settanta pubblicò l’Almanacco dei Comizi Agrari – uscito in prima edizione a firma «per una donna» (Milano 1870), in seconda «per Ernesta Margarita» (ibid. 1871) – e scrisse alcuni articoli sulla rivista Italia Agricola di Milano, sul Giornale di Agricoltura di Bologna e su Il Libero Pensiero, nel quale si firmava con lo pseudonimo D’Inc.
Nelle sue pubblicazioni non perdeva occasione per ribadire l’adesione alla corrente del libero pensiero, cui si era avvicinata attraverso l’amico massone Mauro Macchi. Il libero pensiero incarnò per lei il giusto concetto di intelligenza indipendente, basata sul diritto di pensare unicamente secondo le norme della ragione. Tradotto politicamente, questo concetto significava fondare la libertà sulla volontà generale della nazione, svincolarsi da morali costrittive e avvicinarsi a nuove tematiche culturali. Del libero pensiero Ernesta abbracciò i principi fondamentali, come l’antimilitarismo, i diritti di cittadinanza, un’istruzione laica e uguale per tutti, l’attenzione per il territorio e, in particolare, per l’agricoltura, ritenuta una delle scienze fondamentali per promuovere il progresso della penisola e del popolo. A tale riguardo, avanzò proposte concrete per potenziare il sistema agricolo: suggerì di servirsi di organismi associativi, come i comizi, per sollecitare la revisione di leggi impopolari che gravavano sui lavoratori, come quella sul macinato; propose che un paio di volte all’anno i sindaci si recassero dai sottoprefetti e si facessero portavoce delle esigenze del contado; ribadì con insistenza l’importanza di garantire ai contadini un’istruzione obbligatoria primaria, laica e adeguata ad aggiornarli costantemente sulle innovazioni tecniche e le diverse teorie agricole. L’istituzione di scuole professionali, appositamente create per le diverse categorie di lavoratori, rientrava in un progetto più ampio, volto a propugnare i diritti di ogni cittadino e a realizzare uno sviluppo graduale e radicalmente riformatore della società al riparo da rivoluzioni violente sobillate dai fanatismi degli uomini. La secolarizzazione dell’insegnamento avrebbe, inoltre, portato a compimento il processo di sviluppo della società, ponendo fine sia al ‘paolottismo’, sia all’abuso di potere del clero giudicato parassitario.
La sua crescente adesione a posizioni progressiste e sempre più marcatamente anticlericali, nonché la sua convinzione che il libero pensiero non avesse sesso, le attirarono inevitabilmente inimicizie e condanne. A criticarla fu gran parte dell’opinione pubblica, che unì alla diffidenza verso i liberi pensatori l’indignazione per la sfrontatezza con cui una donna si appropriava del diritto di ragionare ed esprimersi senza impedimenti. I biasimi e le tensioni scossero profondamente anche la sua vita privata: i contrasti con il marito divennero talmente forti e ricorrenti che nel 1872 i due si separarono. Ernesta, costretta a lasciare la casa coniugale ed emarginata da molte delle vecchie conoscenze, si ritrovò in una situazione economica precaria e per provvedere ai suoi quattro figli non esitò a mendicare elemosina. Dopo alcuni anni trascorsi in povertà nelle campagne, si trasferì a Genova e collaborò con la rivista fiorentina La famiglia. Si schierò apertamente con la sinistra democratica e radicale; rafforzò i suoi contatti con Ausonio Franchi, Giuseppe Ferrari e Salvatore Morelli e pubblicò una serie di articoli apparsi sul giornale emancipazionista diretto da Alaide Gualberta Beccari, Ladonna, di cui fu collaboratrice a partire dal 1874, firmandosi da allora in avanti Ernesta Napollon Margarita e poi semplicemente Ernesta Napollon.
Commentò i disegni di legge sulla condizione delle donne e sostenne le battaglie per l’abolizione della prostituzione di Stato, per il diritto al divorzio e per una riforma dell’istruzione femminile. Condannò l’indissolubilità del matrimonio, il divieto della ricerca della paternità e la tutela maritale come alcuni dei più gravi errori del codice civile. Al pari di Anna Maria Mozzoni considerò la donna un soggetto capace di dare un grande contributo al progresso sociale. Nel suo progetto emancipazionista il lavoro e l’istruzione sarebbero stati i mezzi fondamentali per rendere le donne consapevoli delle loro responsabilità e coscienti dei doveri da adempiere in qualità sia di madri di famiglia sia di cittadine. Al termine di questo lento cammino di «redenzione morale» (Conti Odorisio - Taricone 2008, p. 167), le donne avrebbero raggiunto il più alto grado di perfezione umana e, confutando i diffusi pregiudizi sulla loro immoralità, frivolezza e incapacità di autonomia intellettuale, si sarebbero dimostrate degne dei diritti politici e dell’emancipazione.
Negli ultimi anni della sua vita, Ernesta collaborò saltuariamente alla Rivistarepubblicana di Arcangelo Ghisleri e, dal 1881, diresse L’umanitario di Napoli e L’equilibrio di Brindisi. Nel 1883 scrisse La filosofia negli Istituti femminili, pubblicata a Napoli per i tipi di Rinaldi e Sellitto, per ribadire l’importanza dell’istruzione superiore per le donne e rivendicare ad esse il diritto di accedere agli studi filosofici. L’anno successivo apparve a Roma un suo romanzo intitolato Arte e dolore, sua seconda prova narrativa dopo due edizioni di Novelle, uscite a Genova nel 1877.
Morì a Napoli nel 1885.
Fonti e Bibl.: Lettere di e a Ernesta Napollon si trovano in: Napoli, Biblioteca nazionale, Carte Ricciardi; necr. G.A. Beccari, in La Donna, 27 luglio 1885. Sulla famiglia Napollon: L. Méry - F. Guindon, Histoire analytique et chronologique des actes et des délibérations du corps et du conseil de la municipalité de Marseille, depuis le Xme siècle jusqu'à nos jours, V, Marseille 1847, p. 36; Les sociétés urbaines au XVIIe siècle. Angleterre, France, Espagne, a cura di J.-P. Poussou, Paris 2007, p. 113. Si vedano inoltre: F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia 1848-1892, Torino 1963, pp. 139-141, 188; A. Buttafuoco, Cronache femminili. Temi e momenti della stampa emancipazionista in Italia dall'Unità al fascismo, Siena 1988, ad ind.; L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, a cura di S. Soldani, Milano 1989, ad ind.; M. De Leo - F. Taricone, Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Napoli 1992, pp. 132-134; F. Taricone, Ausonio Franchi. Democrazia e libero pensiero nel XIX secolo, Genova 2000, ad ind.; Id., Teoria e prassi dell'associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, Cassino 2003, pp. 169, 401 s.; Donne del giornalismo italiano. Da Eleonora Fonseca Pimentel a Ilaria Alpi. Dizionario bio-bibliografico. Secoli XVIII-XX, a cura di L. Pisano, Milano 2004, ad ind.; G. Conti Odorisio - F. Taricone, Per filo e per segno. Antologia di testi politici sulla questione femminile dal XVII al XIX secolo, Torino 2008, pp. 167; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, II, ad vocem.