BARBARO, Ermolao (Almorò)
Nacque da Alvise (Luigi) e da Cassandra Trevisan attorno al 1493: il famoso umanista omonimo era suo zio paterno e il nonno Zaccaria era procuratore di S. Marco.
Gli inizi della sua attività pubblica si distinguono a fatica, nelle fonti, dalle vicende d'un omonimo patrizio che trascinava una grigia carriera in reggimenti di modesta importanza. La prima notizia sicura risale al settembre 1515, quando il B. fu eletto all'Ufficio della Doana da mar che tenne per un anno. Nel novembre 1516 fallì nell'elezione della Quarantia civile, per la quale aveva offerto 200 ducati; fu poi ancora candidato ad altre cariche, tra cui quella di savio agli Ordini nel 1518, sempre senza successo. Soltanto nel settembre 1525 fu eletto savio agli Ordini, magistratura che di solito segnava l'ingresso nella carriera politica dei giovani delle maggiori famiglie patrizie destinati a salire agli alti gradi del governo della Repubblica. Nel febbraio 1526 fu eletto sopracomito di galea, ma non sappiamo se poi abbia esercitato realmente tale comando. Il 10 apr. 1527 assunse nuovamente la carica di savio agli Ordini, fino al luglio, quando fu sostituito perché era in procinto di partire per Alessandria, forse per ragioni commerciali.
Se partì veramente non sappiamo: certo il 28 marzo 1528 era a Venezia e riassumeva il saviato agli Ordini, essendosi reso vacante un posto. Inviato poco dopo con altri nobili veneziani alla difesa di Verona, minacciata dall'esercito di Carlo V, fu assegnato alla custodia d'una delle porte della città con venticinque soldati, e vi rimase per alcuni mesi, almeno fino alla metà di giugno; il 3 settembre lo troviamo già a Venezia, tra i proponenti di una legge in Senato.
Nella vita del B. si aprì allora una parentesi dedicata alla milizia marittima. Nominato infatti sopracomito, cioè comandante d'una galea, nell'armata del capitano generale Girolamo da Ca, da Pesaro, prese il mare il 18 luglio 1529, compiendo numerose missioni. Subito egli venne inviato a Capodistria per proteggere la cittadina dalla minaccia d'una colonna spagnola. Il 29 settembre era già a Trani, dove, avendo consegnato un dispaccio del Consiglio dei Dieci al provveditore generale Vitturi, fu da questo rispedito a Venezia con un messaggio di risposta. Il 25 dic. 1529 il capitano generale ordinò al B. di raggiungere Zante, assieme ad altri legni; nell'aprile dell'anno successivo la sua galea si trovava nel porto di Candia in cattive condizioni, quasi in disarmo. Per oltre un anno non abbiamo più notizie di lui; poi, il 28 maggio 1531, nelle acque di Corfù, la sua galea fu protagonista con altre di uno scontro con tre fuste corsare, nel corso del quale, datasi all'inseguimento di una grossa fusta di venti banchi, riuscì a catturarla, ma riportando a sua volta gravi danni che ne menomarono fortemente l'efficienza. Perciò, accogliendo con riluttanza e dopo lungo indugio insistenti richieste dei capi militari, il Collegio dispose il disarmo della galea, la quale rientrò nel porto di Venezia il 13 genn. 1532. "Avea ben servito", scrisse il Sanuto del B.: e probabilmente, aveva anche anticipato di tasca propria, come spesso avveniva, notevoli somme di denaro per pagare la ciurma e far fronte ad altre spese per servizio pubblico, tanto che nel maggio era ancora creditore verso la Repubblica di ben 2.700 ducati.
Con questi nuovi titoli di merito la sua carriera riprese con maggiore successo. Nello stesso 1532 fu provveditore sopra il cottimo di Alessandria; nel marzo 1533 fu eletto console ad Alessandria, carica che ricopriva ancora nel 1537; fu Poi podestà di Bergamo (1541-1543), di Verona (1544-1545) e infine di Padova (1548-1550). Quivi, dovendo fronteggiare un acceso conflitto sorto tra il locale Consiglio dei nobili e le corporazioni artìgiane, a causa di diversi abusi dal primo commessi nella formazione degli estimi, si comportò con molta cautela e diffidenza nei confronti dei popolani, e infine, d'accordo col capitano suo collega, trovò opportuno rinviare i contendenti al giudizio della Signoria.
Nel Senato e in altre elevate cariche partecipò a lungo al governo della Repubblica, finché morì il 3 nov. 1556. Fu sepolto a S. Francesco della Vigna.
Fonti e Bibl.: Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cícogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, pp. 81 s. (altra copia alI'Oesterreichische Nationalbibliothek di Vienna, cod. Foscarini 6093); Arch. di Stato di Venezia: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, I, p. 201; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1897 ss., XXIIXXIII, XXV, XXXIII-XXXIV, XXXIX-XL, XLIV-XLV, XLVII-XLVIII, passim; P.Paruta, Historia vinetiana, I, Venezia 1718, p. 499; A. Morosini, Historiae Venetae, I, Venezia 1719, p. 273.