ERMOGENE
. Architetto, nato forse a Priene, vissuto tra la seconda metà del sec. III a. C. e la prima del II. Egli è da considerare come il rappresentante più famoso dell'ultimo periodo dell'architettura ionica; fu un innovatore e nello stesso tempo un teorico fornito di grande originalità. Costruì, oltre ai due piccoli templi di Zeus Sosipolis a Magnesia sul Meandro e di Dioniso a Teo, anche il grande tempio di Artemide Leucofriene, pure a Magnesia; e in occasione di questa sua ultima opera raccolse le norme che regolavano il suo sistema costruttivo e i suoi canoni d'arte in uno scritto certo a fondo polemico, andato perduto.
Lo stile ionico, che aveva creato nel sec. V e nel IV due diverse correnti di sviluppo, la ionica e l'attica, per opera prevalentemente di E. tende a una certa fusione e a subire importanti modifiche; molti elementi decorativi e architettonici, adottati per l'Eretteo e per il tempio di Atena Nike sull'Acropoli di Atene, vengono prescelti per le nuove costruzioni dell'Asia Minore. Soprattutto originali sono le piante che E. disegnò per i suoi edifici.
Il tempio di Dioniso ha sei colonne per undici, e presenta per la prima volta il nuovo canone relativo alla spaziatura delle colonne, consistente nel distanziare una colonna dall'altra di due diametri e mezzo (tempio eustilo); il tempio aptero dedicato a Zeus Sosipolis ha una pianta volutamente originale con fronte prostila, a quattro colonne, e il lato opposto a forma di tempio in antis; quello di Artemide Leucofriene infine (8 × 15 colonne) si presenta sotto un nuovo aspetto di pseudo-periptero, ed ha l'ampio portico risultante sui lati, con le colonne laterali più ravvicinate (diametro 1¾). Vitruvio, dopo avere notato in quest'ultima costruzione la distanza delle colonne dal muro della cella e lodato il nuovo porticato che veniva a dare un maestoso aspetto all'edificio, accenna alla "ratio intercolumniorum" (III, 2,8) propugnata da Ermogene, e ci dice che appunto in seguito alla maggiore larghezza dei μεσοστύλιοι e dei portici, si fu costretti ad adoperare tutti epistilî in legno.
Il nuovo indirizzo architettonico voluto da E. si affermò anche a Roma: ricorderemo il tempio detto della "Fortuna Virile", una delle poche opere quasi intatte che ci rimangono dell'epoca in cui l'arte greca venne a innestarsi sul tronco italico (Fiechter, Der Jonische Tempel am Ponte Rotto, in Röm. Mitth., 1906; A. Muñoz, Il Tempio della Fortuna Virile), nel quale si debbono riconoscere i caratteri stilistici delle costruzioni ermogenee. Vitruvio si servì certo degli scritti dell'architetto di Caria, e nel suo De Architectura si mostra ancora un seguace convinto della teoria di lui.
Bibl.: E. Fabricius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, i, col. 879 seg.; M. Schede, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XVI, p. 512 seg.; H. Brunn, Gesch. der griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 258 seg.; A. Birnbaum, in Denkschriften der Wiener Akademie, Philol-hist. Klasse, LVII (1914), p. 4; O. Puchstein, Berliner Winckelmanns-Programm, XLVII (1887), p. 40; R. Delbrück, Die drei Tempel am Forum Holitorium in Rom, Roma 1903, p. 51; C. Humann, J. Kothe, C. Watzinger, Magnesia am Mäander, Berlino 1904, pp. 39 seg., 163 seg. - Sul tempio di Teo: R. P. Pullan e W. W. Lloyd, in Antiquities of Jonia, IV (1881), p. 35 seg., tavv. 22-25; F. Hiller von Gärtringen, Inschriften von Priene, pp. XVI e 212, nn. 516 e 207: spetta ad un Hermogenes Harpalou.