ERMETE (‛Ερμῆς, omer. ‛Ερμείας; lat. Hermes)
Divinità degli antichi Greci: una delle più complesse e multiformi figure dell'Olimpo greco; della quale, per altro, restano oscuri e incerti così l'etimologia del nome come la natura e il significato originario. Conviene perciò esporre in primo luogo gli aspetti essenziali del mito e del culto del dio, i quali soli possono fornire gli elementi necessarî per ricostruirne la figura originaria e le trasformazioni.
Il racconto mitico della nascita e della giovinezza del dio è tutto legato al luogo che rimase poi la sede principale del suo culto, cioè al monte Cillene, nell'Arcadia settentrionale, e si trova già tutto contenuto, nei suoi motivi fondamentali, nell'inno omerico a Ermete. E. è figlio di Zeus, al quale lo partorì Maia ("la mamma", una divinità ctonica, fatta poi figlia di Atlante: v.); nacque sul monte Cillene (onde l'epiteto di Κυλλήνιος), il quarto giorno del mese; e perciò è sacro a E. il numero quattro e ad Atene gli si sacrificava nel quarto giorno di ogni mese, e il quarto mese del calendario argivo portava il suo nome. Nato al mattino, prima di mezzogiorno è già sgusciato fuori dalle fasce; passeggiando, s'imbatte in una tartaruga e, uccisala, si fabbrica col guscio una lira, e si diletta a cantare. Poi ripone lo strumento nella sua culla, esce ancora fuori e al tramonto arriva nella Pieria, ai piedi dell'Olimpo, ove Apollo stava pascolando le sue greggi. E. gli ruba cinquanta giovenche e le conduce via, cancellando accuratamente ogni traccia: attraversa la Tessaglia e la Beozia, s'incontra in un vecchio (Βάττος "il chiacchierone"), al quale comanda di tacere, e giunge a Pilo, presso l'Alfeo, dove, in una spelonca, nasconde le giovenche. Apollo si mette sulle tracce del ladro e, informato da Batto, sale alla grotta del Cillene, per obbligare il fanciullo a restituirgli il mal tolto. E., che s'era rimesso nelle fasce e faceva finta di dormire, tenta schermirsi. Deliberano di andare insieme dal padre Zeus, perché decida; e Zeus ordina a E. di restituire il gregge. Ed E., che vuole ingraziarsi il fratello, non solo gli rende le giovenche ma anche gli fa sentire il suono della lira; del che Apollo tanto si compiace che, pur di avere quello strumento, lascia al fratello le giovenche: cosi E. divien pastore e inventa allora la zampogna; per di più Apollo dona al fratello la bacchetta magica a tre rampolli, ch'egli aveva trovato, da fanciullo, quando pasceva le greggi sul Parnaso. Da allora, Apollo ed E. formano una coppia di fratelli sempre uniti e d'accordo: se Apollo è l'interprete e il profeta della volontà di Zeus, E. ne è il perfetto esecutore; ambedue sono belli, fiorenti di giovinezza, ambedue pastori, amici della musica e della ginnastica, spesso venerati insieme nello stesso tempio.
Un altro motivo mitico, anche questo antico e già noto a Omero e ad Esiodo, è la leggenda dell'uccisione di Argo, da cui venne a E. l'epiteto di Argifonte ('Αργειϕόντης). Il mito è certo di origine argiva, connesso com'è col culto argivo di Era e con il mito di Io. Io, la prima sacerdotessa di Era argiva, fu amata da Zeus; Era, per gelosia, trasformò la sua rivale in vacca e la diè a custodire ad Argo. Ma Zeus comandò a E. di rapire Io: ed E. vi riuscì addormentando il gigante con la sua bacchetta e col suono della zampogna, indi decapitandolo.
Deve esser pure ricordata la saga tebana di E.: come da Cillene il culto del dio si diffuse nel Peloponneso, dall'Argolide alla Messenia e all'Elide, così anche la Beozia fu sede notevole e centro d'irradiazione del culto stesso. Anche lì veniva collocata la sua nascita, e precisamente sul monte Chericio, a ridosso di Tanagra; presso la città, nel tempio del dio, si mostravano i resti di una pianta di fragola, sotto la quale si diceva essere stato allevato il dio.
A siffatti motivi mitici corrispondono gli aspetti della natura e dell'attività di E. Il suo aspetto più comune è intanto quello di dio pastore; con gli epiteti di νόμιος e di ἐπιμήλιος, protegge l'allevamento del bestiame in genere, anche dei cavalli e dei cani, e protegge anche gli animali selvatici o feroci, come leoni e cinghiali: come tale, egli era venerato specialmente in Arcadia. E in atteggiamento e in abito da pastore veniva spesso immaginato e rappresentato il dio. Ama intrattenersi con le ninfe dei boschi e dei prati; da una ninfa ha generato Dami, in Sicilia, e in Arcadia, da un'altra ninfa, figlia di Driope, ha generato Pane. Per i bambini ha una predilezione: è l'educatore del giovane Arcade (l'eponimo dell'Arcadia), e si compiace a tenere in braccio Eracle o il piccolo Dioniso, per portarlo alle ninfe che devono allevarlo (cfr. l'epiteto di κουροτρόϕος).
Ma E. è anche ἐνόδιος, cioè divino protettore delle strade; e non meno antica è la sua venerazione sotto questo aspetto, di divinità sempre presente e attiva dove anche gli uomini si muovono e agiscono. Specialmente notevole si presenta, sotto tale riguardo, il culto del dio presso i mucchi di sassi e i pilastri quadrangolari sormontati dall'immagine della sua testa, posti lungo le strade e i crocicchi (v. appresso). E anche sotto quest'aspetto, E. è pur sempre una divinità benefica e onnipresente, il dio che protegge le vie del commercio e dell'attività umana, ed è invocato perciò da tutti i viandanti, e anche dai cacciatori e dai soldati, e riguardato come un dio dispensatore della buona riuscita e della buona fortuna. A questo suo significato si ricollegano gli epiteti, che gli dà l'epica antica, di δώτωρ ἐάων e di ἐριούνιος, e anche quello di κερδῷος, perché egli dispensa i guadagni fortunati, quelli cioè di chi sa agire con astuzia, compresi perciò anche quelli dei ladri.
Il carattere di dio protettore del commercio e dei viaggi lo rese popolare, con l'epiteto di ἀγοραῖος o ἐμπολαῖοσς, e con l'attributo della borsa ripiena, in tutta la vasta zona mediterranea visitata dal commercio greco, e, lo fece identificare col Mercurio dei Romani e con divinità dei popoli dell'Europa centrale e occidentale.
L'innata disposizione del dio a trattare, a trafficare e a discutere, e quindi a persuadere, spiega com'egli compaia ordinariamente, nella mitologia, in qualità di διάκτορος, cioè di messo ed esecutore degli ordini del padre suo Zeus (Διὸς ἄγγελος), sempre pronto al suo cenno: in tale compito, egli è spesso compagno di Atena. Egli è pertanto il vero e perfetto "araldo degli dei"; e s'intende come la casta sacerdotale eleusina dei Keryci l'avesse indicato come suo progenitore e come Varrone identificasse (De ling. lat., VII, 34) l'Ermete Casmilo di Samotracia (v. cabiri) coi camilli o casmilli del culto romano. Di questa sua peculiare attività è simbolo la sua verga di araldo, il caduceo (caduceus, κηρύκειον), che era anche riguardato come una verga dispensatrice di benedizione e di prosperità, capace di trasformare in oro ogni cosa che toccasse (onde l'epiteto di χρυσόρραπις). L'Ermete Casmilo di Samotracia reca tutti i segni di un vero dio ctonico della vegetazione, rappresentato itifallico e adorato insieme con varie divinità femminili della fecondità (specialmente Demetra e Afrodite), e in tale aspetto conosciuto anche in altre parti del mondo greco.
E. veniva concepito come un modello di bellezza e di agilità virile: ed eccolo perciò nei ginnasî e nelle palestre, immagine ideale della gioventù che si esercita, patrono dei ginnasti e dei pugilatori (ἀγώνιος, ἐναγώνιος); e, in tale qualità, veniva onorato in parecchie città con gare di lotta di fanciulli e di giovani, dette Ermee (a Feneo in Arcadia, a Pellene in Acaia, a Cidonia in Creta, ad Atene, a Siracusa, ecc.). A tali doti fisiche ne corrispondono altre spirituali, dell'ordine più elevato: inventore della lira, è lodato da poeti e cantori, venerato a lato d'Apollo come protettore delle arti musiche, e, più tardi, come inventore e propagatore delle scienze, specie della matematica e dell'astronomia; si formò così, nel tardo paganesimo, la figura dell'Ermete Τρισμέγιστος.
Ma tutta un'altra serie, diversa eppur notevolissima, di concezioni è quella che ricollegava E. col mondo dei morti. Egli è χϑόνιος, e, come dio del sotterra, è apportatore del sonno e dei sogni (cfr. Iliade, XXIV, 343): ed è E. che conduce le anime dei trapassati nell'oltretomba e, in casi eccezionali, li riconduce dall'Ade alla luce del mondo. Perciò è soprannominato ψυχοπομπός o ψυχαγωγός e quasi dovunque venerato nelle feste dei morti e presso le tombe.
Su tanta molteplicità di attribuzioni e di aspetti, ben poco c'illumina il nome del dio; l'etimologia del quale, già variamente spiegata dagli antichi, è molto disputata anche dai moderni. Si preferisce ora la derivarione del nome dalla radice ὁρμ (di ὁρμάω: Welcker, Roscher, Gruppe) oppure si vuol ravvicinarlo alla parola ἕρμα, il mucchio di pietre lungo la via (Preller). E pertanto mentre è certo che questa figura risale al periodo più arcaico della cultura greca, e che molti tratti originali di essa si sono conservati pur nello straordinario sviluppo posteriore, è difficile tuttavia rintracciarne l'aspetto originario e i momenti dei successivi passaggi; tanto più che altre figure divine si sono in essa compenetrate. Assai varie, divergenti e discutibili sono perciò le interpretazioni preferite dai mitologi moderni, del complesso mitico che s'impernia sul nome di E.; né ve n'è alcuna che possa persuadere del tutto: sarà utile tuttavia disegnarne due, in contrasto fra loro.
La prima (Eitrem) considera antichissimo, e forse originario, aspetto di E. quello di divinità della fecondità, protettore quindi degli animali utili all'uomo (e perciò pastore), promotore di ogni forma di vegetazione naturale, e quindi dio fallico e itifallico. Ma, a causa dell'efficacia protettiva attribuita al fallo, le rappresentazioni falliche di E. (cioè le "erme") si estesero alla protezione di tutti i possessi pubblici e privati e delle strade. Come dio delle strade, è agile e veloce, ma, siccome per le vie e in prossimità delle porte si aggirano gli spettri, cosi è naturale il suo significato di dio degli spiriti e dei fantasmi. Col carattere fallico di E. si riattacca però anche il suo aspetto di divinità del fuoco, in un senso generico (nato all'alba); e quindi egli è il prototipo di colui che dinnanzi al fuoco dell'ara sacrifica (camillus): e breve è il passo da questo suo aspetto di divino sacrificatore a quello di divino cuoco e servo di Zeus; al quale aspetto si collegano i tratti peggiori della sua figura, cioè quelli d'imbroglione e di ladro. Ma, oltre che servo, è araldo; e, come tale, apportatore e nunzio di pace e quindi di prosperità e di fortuna; egli sa perciò dire la buona ventura, è profetico. E. è dunque buon amico e benevolo agli dei e agli uomini: concede a questi i doni più graditi (e quindi è connesso alle Grazie); e fra le grazie che egli dispensa, v'è la gioventù e i suoi doni: eccolo quindi dio dei giovani e della bellezza giovanile. Dal suo aspetto di sacrificatore rituale sembra anche dipendere l'altro, di suonatore della lira. Ma come protettore benefico degli uomini, egli è anche medico, tra le cui arti v'è quella di far dimenticare il male col sonno e coi sogni; e, poiché da dio del sonno a dio della morte è breve il passo, ecco E. dio dei morti, Ctonio e Psicopompo.
La seconda (Beloch) considera invece E. come una originaria divinità maschile della luna (un "re luna", come il Μὴν τύραννος dei preellenici anatolici), che ha perciò sandali d'oro e verga d'oro, con la quale chiude nel sonno gli occhi agli uomini. E un dio che dà la luce ma che anche la toglie; perciò uccide Argo ("ill raggiante") e conduce nel regno dei morti le anime dei trapassati. Come dio lunare, s'aggira per le strade (v. ecate), e quindi è protettore dei viandanti; ma lo è anche della notte e di coloro che col favor della notte operano: i ladri.
Bibl.: F. G. Welcker, Griech. Götterlehre, I, Gottinga 1857, p. 333 segg.; II, 1860, p. 435 segg.; W. H. Roscher, Hermes der Windgott, Lipsia 1878; S. Eitrem, Hermes und die Toten, Cristiana 1909; L. R. Farnell, Cults of the Greek States, V, Oxford 1909, p. 1 segg.; W. H. Roscher, in Roscher, Lexikon d. griech. und röm. Mythologie, I, ii, coll. 2342-2390; S. Eitrem, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, coll. 738-92; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1318 segg.; U. v. Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen, I, Berlino 1931, p. 159 segg.; J. Beloch, Gr. Gesch., 2ª ed., I, i, p. 160 segg.
Iconografia. - Lw più antiche rappresentazioni di E., di cui abbiamo notizia dagli scrittori, sono rappresentazioni simboliche: il fallo (Paus., VI, 26, 5), simbolo della divinità protettrice delle forze germinative, e mucchi o pilastri di pietra elevati sui quadrivî (Strab., VIII, 343) simboli del dio messaggero e protettore del viandante. Entrambi questi concetti vediamo fusi in quella prima rudimentale forma di rappresentazione iconografica della divinità che fu l'erma (v.). Figurazioni di questo tipo si trovano su pitture vascolari, su monete e nella statuaria: ché, anche quando fu più sviluppata l'iconografia del dio, rimase l'antico e semplice modo di rappresentarlo sulle vie di città e di campagna, agli ingressi delle case, nelle palestre, ecc. Ricordiamo per tutti l'Ermete Propylaios di Alcamene, all'ingresso dell'Acropoli di Atene, di cui ci è quasi certamente giunta una copia in un'erma trovata a Pergamo. Le più complete figurazioni di E. dell'arte arcaica ce lo rappresentano barbato, con capelli lunghi raccolti o scendenti a boccoli sulla nuca e sul petto, il capo coperto da un berretto a punta e senza falde (κυνέη) o da un cappello a larghe tese (πέτασος), vestito di un breve chitone, su cui è gettato l'himation, o, più frequentemente, una clamide affibbiata su una spalla, e alti calzari ai piedi con rimboccatura anteriore. Spesso il petaso, ma più frequentemente i calzari, sono forniti di due piccole alette. L'attributo più frequente e che rimarrà il più caratteristico in tutta l'evoluzione iconografica, è il κηρύκειον. Sui vasi a figure nere e su quelli a figure rosse, in cui E. è rappresentato messaggero degli dei, o nella lotta con Apollo per la lira, è questo il suo aspetto più frequente. Così anche lo vediamo rappresentato guidando le Cariti da Apollo in un rilievo da Taso al Louvre. Non mancano casi in cui al posto del caduceo, o con esso, E. porta la semplice breve bacchetta magica. Un altro attributo dal quale è accompagnato frequentemente, specialmente nell'arte arcaica, è la figura di un piccolo ariete. Pausania (V, 27, 5) descrive una statua di E., opera di Onata e Callitele di Egina (primi decennî del sec. V a. C.), che si trovava a Olimpia: in essa il dio aveva un ariete sotto il braccio. Ricordo di quest'opera si è creduto di poter cogliere in alcuni monumenti della piccola arte, fra cui una terracotta da Tanagra e un bronzetto da Sicione. Calamide aveva scolpito una statua di E. per Tanagra, in Beozia, con un ariete sulle spalle (Pausania, IX, 22, 1). Monete locali di età imperiale riproducono quasi certamente questo tipo di Ermete crioforo, cui si avvicina verosimilmente un frammento di statua del museo Barracco a Roma, che lo raffigura con tratti giovanili, senza barba, benché un'opinione più recente tenda a vederlo riprodotto in terrecotte di Tanagra e nel cosiddetto Focione del Vaticano. Già in queste due rappresentazioni dell'arcaismo maturo troviamo il tipo di E. imberbe che diventerà esclusivo nell'arte dal sec. V in poi, ma che, anche nell'arte arcaica, non è così infrequente come comunemente si crede: lo si trova p. e. su una moneta di Enos in Tracia e su un vaso italo-ionico del sec. VI a. C. (fig. 1). L'ariete, oltre che nelle due posizioni già viste sotto l'ascella o sulla spalla, ritorna in monumenti della piccola arte in piedi accanto al dio e benché sia proprio dei monumenti arcaici, lo ritroviamo in una statua da Trezene del Museo Nazionale di Atene, copia da un originale del sec. IV a. C.
Alla metà circa del sec. V è da attribuire l'originale di una celebre scultura della collezione Ludovisi del Museo Nazionale Romano e della quale altra copia si è rinvenuta nel gennaio 1932 ad Anzio. E. è giovane, nudo, con la clamide gettata sul braccio sinistro, il destro levato in gesto oratorio. Tale originale è stato da qualcuno assegnato alla prima attività di Fidia. È questa la forma nuda, con clamide non spiegata sul corpo, che sarà cara all'arte posteriore. Dalla cerchia fidiaca, usci un'opera nota per più repliche, di cui la migliore e la più celebre è quella del Museo Nazionale di Napoli, cioè il rilievo detto di Orfeo ed Euridice, in cui E. compie, come psicopompo, il triste compito di ricondurre Euridice agl'inferi; egli vi è rappresentato con un breve chitonisco e il petaso gettato all'indietro. Di un altro E. di Fidia eseguito per l'Ismenion di Tebe non abbiamo che un breve cenno in Pausania (IX, 10, 2). Lo stesso concetto del dio oratore, che incontrammo nell'E. Ludovisi, ispirò Policleto nella creazione del suo E. che si trovava a Lisimachia al tempo di Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 56), se esso è da riconoscere, come sembra accertato, in una serie di copie, di cui la più celebre e la più completa è il bronzetto della collezione Dutuit proveniente da Annecy nella Savoia: il corpo vi è affatto nudo, il braccio destro levato, il sinistro, abbassato, reggeva nella mano il caduceo. La più alta espressione di questa maniera di rappresentare il dio nudo nelle fiorenti forme giovanili, è l'opera originale di Prassitele trovata nell'Ereo di Olimpia. Ermete regge su un braccio il piccolo Dioniso: egli si appoggia mollemente a un pilastro su cui ha gettato la clamide, e solleva con la destra, perduta, un grappolo d'uva mostrandolo al piccolo dio. Dalla stessa scuola del maestro è uscita un'altra rappresentazione di Ermete con clamide poggiata sulla spalla e avvolta intorno al braccio sinistro, e caduceo nella mano sinistra: essa ci è nota attraverso una serie di repliche, che si trovano al Vaticano, nel British Museum, nel Museo Nazionale di Atene.
Con il caduceo nella mano sinistra abbassata, la clamide sul braccio sinistro, il petaso gettato all'indietro sulla nuca, E. è rappresentato in una celebre colonna caelata da Efeso, nell'atto di ricondurre Alcesti dall'oltretomba nel mondo dei vivi: seguendo Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 95) l'opera è stata attribuita a Scopa o alla sua scuola. Del terzo dei grandi maestri del sec. IV, Lisippo: sappiamo che aveva ripreso in un gruppo dell'Elicona (Paus., IX, 30, 1) il motivo della lotta per la lira fra E. e Apollo. Di quest'opera non abbiamo che il ricordo letterario, ma a Lisippo si attribuiscono due tipi di E. In uno, rappresentato da una serie di statue di cui la migliore apparteneva alla ex-collezione Lansdwone a Londra, E. poggia il piede destro su un masso e si curva per allacciarsi il sandalo come se, fedele e sollecito esecutore degli ordini di Giove, stesse per partire. In un altro, rappresentato principalmente da un celebre bronzo da Ercolano, del Museo Nazionale di Napoli, E. si è appena adagiato su un blocco di pietra per prendere un istante di riposo. Nell'arte ellenistica il tipo di E. non subì sostanziali variazioni.
In Etruria anche E., come altre divinità dell'Olimpo greco, fu rappresentato nelle forme proprie che venivano dalla Grecia. Nell'ormai celebre gruppo plastico da Veio, al Museo di Villa Giulia a Roma, della fine del sec. VI a. C., con rappresentazione della lotta per la cerva fra Apollo ed Ercole, E. era rappresentato imberbe, con lunghi capelli scendenti a boccoli sulle spalle e sul petto e con petaso alato. Nei monumenti posteriori (specchi, urne, ecc.) il tipo greco di giovane nudo è il prevalente.
I Romani per il loro Mercurio, dio del commercio per eccellenza, si servirono delle forme dell'arte greca avanzata. In un tipo di aes grave del sec. IV a. C. compare la testa giovanile di Mercurio coperta di petaso alato. Agli attributi più caratteristicamente greci fu aggiunta la borsa in una mano, che rappresentava il concetto puramente romano della divinità. Col tempo gli attributi si moltiplicarono, e col dio è raffigurata una serie svariatissima di animali senza più valore simbolico, e che rappresentano forse soltanto quelli che si solevano sacrificargli: cioè l'ariete, il vitello, il maiale, il gallo, la tartaruga. Ricordiamo qui una delle più caratteristiche figurazioni: la phiale di argento trovata a Bernay (Normandia) in cui E. ha nelle mani il caduceo e la borsa ed è circondato da un gallo, una tartaruga e un capretto (fig. 2). (v. tavv. XXVII-XXX).
Bibl.: Müller-Wieseler, Denkm. d. alt. Kunst, XXVIII-XXX, Gottinga 1854; Chr. Scherer, in Roscher, Lexikon d. griech. u. röm. Mythologie, I, ii, coll. 2390-2432; A. Legrand, in Daremberg e Saglio, Dict. d. antiq. gr. et rom., III, ii, Parigi 1918, p. 1806 segg.; S. Eitrem, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, Stoccarda 1913, coll. 764-792; L. Curtius, Zeus und Hermes, Monaco 1931. - Per l'E. di Pergamo: F. Winter, in Altert. v. Pergamon, 1ª ed., VII, Berlino 1908, p. 48 segg. Per l'E. crioforo di Calamide: W. Helbig, Führer, 3ª ed., n. 1111, Lipsia 1912. Per l'E. da Trezene: S. Papaspyridi, Guide du Musée Nat. d'Athènes, Atene s. a. (1927), n. 243. Per l'E. Ludovisi: R. Paribeni, Le Terme di Diocl. e il Museo Naz. Rom., Roma 1928, n. 119. Per il rilievo di Orfeo ed Euridice: Guida del Museo Nazion. di Napoli, a cura di A. Ruesch, Napoli 1898, n. 138. Per l'E. di Lisimachia: C. Anti, Mon. Policletei, in Mon. d. Lincei, CCVI, p. 567 segg. Per l'E. di Olimpia: A Della Seta, Il nudo nell'arte, Roma 1930, p. 352. Per l'E. di Andro: S. Papaspyridi, op. cit., n. 218; A. Della Seta, op. cit., p. 319. Per la colonna efesina: A. H. Smith, Catal. of the Sculpt. of the Brit. Mus., II, 1900, n. 1206. Per l'E. che si allaccia il sandalo: M. Collignon, Lysippe, Parigi 1904, pag. 70. Per l'E. di Ercolano: Guida del Museo di Napoli, cit., n. 841. Per bronzetti di età romana: S. Reinach, Répertoire de la statuaire, II, Parigi 1920 segg., 154.8, 155.5, 156.3, ecc.. Per la phiale di Bernay: C. Waldstein, in Journ. of Hell. Studies, III (1882), pag. 96 segg., tav. XXII.