ERMETE Trismegisto (‛Ερμῆς Τρισμέγιστος, Hermes Trismegistus)
Sotto questo nome fu composta, in tarda età ellenistica una serie di scritti la cui origine è analoga a quella che determinò il fiorire della letteratura neopitagorica. Negli ambienti egiziani ellenizzati che facevano capo ad Alessandria dovettero trovarsi studiosi di filosofia platonica che al rinnovato interesse per il pensiero di Platone univano l'intenzione religiosa di giustificarlo mediante l'appoggio di una sacra rivelazione: atteggiamento dogmatico-mistico che tornava a farsi valere nel campo del platonismo, dopo l'esperienza scettica ed eclettica. Uno degli studiosi che vissero in tale ambiente culturale fu probabilmente lo stesso Ammonio Sacca, maestro di Plotino. Insieme si manifestava naturalmente, in questa età di prevalente sfiducia nell'originale creatività del pensiero e di desiderio d'autorità, la tendenza ad attribuire i proprî scritti a quegli autori che delle verità più vetuste ed auguste si stimassero depositarî: dove la falsa attribuzione non è tanto da intendere come un inganno fatto dall'autore al lettore, quanto come un'ingenua sostituzione di personalità, di chi sentisse il suo pensiero come coincidente con quello dell'antico maestro. Così i neopitagorici attribuivano i loro scritti a Pitagora o ai suoi immediati discepoli. Gli scrittori che poi si dissero "ermetici" andarono più oltre, e vollero attribuire le dottrine che avevano imparato sui libri dei filosofi classici a quelli che pensarono ne fossero stati i maestri. Platone aveva parlato, nel Fedro e nel Filebo, dell'egiziano Theuth inventore, tra l'altro, dell'alfabeto e della scrittura; e alla connessione con la cultura egiziana, quale la tradizione attribuiva a Pitagora e a Platone, questi Egiziani davano peso, allo stesso modo che alla dipendenza di Platone da Pitagora. Da ciò nacque l'idea di attribuire al dio egiziano Thoth, che al platonico Theuth corrispondeva, tutta la sapienza filosofica (platonica o meno) che essi sentissero come vera. A Thoth, di fatto, si attribuiva un gran numero (variamente esagerato dalla tradizione) di sacri scritti, che i sacerdoti custodivano gelosamente: di qui il sapore di rivelazione che veniva ad assumere tale letteratura. E come il dio egiziano Thoth era stato già identificato, fin da Erodoto, col dio greco Ermete, ed aveva, nella liturgia egiziana, il titolo di "grande-grande" (o, più di rado, di "cinque volte grande"), così gli scritti furono attribuiti a Ermete "tre volte grandissimo", Trismegisto.
Questi scritti, che sono probabilmente appunti o sunti di lezioni o di colloquî tenuti in ristretti circoli filosofici e furono attribuiti a Ermete forse per iniziativa di uno dei loro autori, poi seguito dagli altri, non hanno quindi immediatamente nulla di comune con gli scritti astrologici, magici e alchemici che più tardi si collegarono con loro nella comune attribuzione a Ermete, e che permisero poi di parlare di una tradizione ermetica o ermetico-alchemica. Essi sono, in sostanza, scritti filosofici del tardo ellenismo, che per ragioni interne possono (secondo l'opinione del più recente editore, lo Scott) essere collocati quasi tutti nel sec. III d. C., e i cui elementi dottrinali sono per lo più platonici, di un platonismo però non immune da motivi stoici: ciò che tradisce un'età in cui platonismo e stoicismo non erano alieni da connubî, e fa quindi pensare in primo luogo all'influsso dello stoico platonizzante Posidonio. Una certa libertà teorica, che s'incontra in questi scritti, s'intende col fatto che i loro autori non presupponevano in realtà alcun testo sacro, pur pensando di rivelare le dottrine che già Ermete, uomo, aveva insegnate, e per le quali aveva potuto diventar dio allo stesso modo in cui lo sarebbe divenuto chi le avesse seguite. Loro concezione fondamentale è quella di una gnosi, che rivelando all'uomo il divino l'identifica con esso: di qui la valutazione del concetto del νοῦς (intelletto) o del λόγος (ragione), organo essenziale di tale gnosi. Insieme, si presenta in primo piano la dottrina (che fa sentir vicine le fusioni neoplatoniche di eleatismo, platonismo e stoicismo) della divinità come uno-tutto (ϑεός = ἕν καὶ πᾶν): onde un panteismo escludente ogni forma di teurgia e di sacramentaligmo, sia misteriosofico sia cristiano. E di cristianesimo non appare traccia nei libri ermetici, mentre è probabile che vi si celi qualche elemento di cultura orientale o egiziana.
In particolare, gli scritti ermetici, secondo l'ordinamento del più recente editore, W. Scott (Hermetica, voll. 3, Oxford 1924-26: il I contiene l'introduzione, i testi e la versione inglese; il II e il III il commento a tutti i testi, eccetto che ai frammenti e alle testimonianze, per cui era previsto il vol. IV non ancora pubblicato per la sopravvenuta morte dell'autore) sono costituiti da quattro gruppi: il Corpus hermeticum, il cosiddetto Asclepio latino, gli estratti ermetici dell'Antologia di Stobeo, e i frammenti e testimonianze. Il Corpus è un complesso di libelli (19 secondo la nuova divisione dello Scott, che ammettendo poi la caduta di un libellus tra il primo e il secondo pensa che in origine essi fossero venti), il primo dei quali ha il titolo di Ποιμάνδρης (da ποιμήν "pastore" e ἀνήρ "uomo") che poi, per errore di Marsilio Ficino che nel 1471 tradusse in latino i primi 14 libelli, passò nella tradizione all'intero Corpus. L'Asclepio (cosi chiamato perché in esso E. si rivolge ad Asclepio) che già era compreso tra le opere di Apuleio, è una traduzione da un originale greco noto a Lattanzio e ad altri, e si compone, secondo l'ordinamento dello Scott, di tre parti distinte. La prima è un trattato, ben ordinato e concluso in sé, sulla natura dell'uomo, con speciale riguardo alla sua divina destinazione: gli elementi teorici sono quelli già designati come caratteristici dell'ermetismo in generale (soprattutto, platonismo-stoicismo posidoniano); data più verosimile dell'originale greco, per lo Scott, l'età intorno al 200 d. C. La seconda, meno importante (e composta, pare, tra il 150 e il 270 d. C.), concerne la natura della materia e del diavolo; la terza è una teologia e cosmologia, con speciale riguardo all'uomo e al suo destino, analoga alla trattazione della prima parte, e databile secondo lo Scott, per allusioni storiche interne, tra il 268 e il 273 d. C. Gli excerpta di Stobeo constano di 42 brevi capitoli, circa un quarto dei quali è tratto dal Corpus hermeticum o dall'originale greco dell'Asclepio. Non grande è il numero dei frammenti e testimonianze.
Bibl.: L. Ménard, Étude sur l'origine des livres hermétiques (introduz. alla sua versione francese degli scritti, Parigi 1866); R. Reitzenstein, Poimandres, Lipsia 1904; G. R. S. Mead, Thrice-Greatest Hermes, voll. 3, Londra 1906; Flinders Petrie, in Transactions of the third Internat. Congress of the History of Religions, 1908, p. 196 segg.; id., in Personal Religion in Egypt before Christianity, Londra 1909 (caratteristico per l'audace datazione degli scritti ermetici tra il sec. V e il II a. C.); W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII (1913), coll. 792-823; J. Kroll, Die Lehren des H. Trismegistos, Münster in W. 1914; G. F. G. Henrici, Die Hermes-Mystik u. das Neue Testament, Lipsia 1918; W. Scott, nell'introd. compresa nel vol. I dell'ed. cit.; F. Bräuninger, Unterstuchungen über die Schriften des H. Trismegistos, Gräfenhainichen 1926; J. Evola, La tradizione ermetica, Bari 1931 (esposizione del contenuto della tradizione magico-alchemica, impropriamente detta ermetica).