CRISTIANOPULO, Ermanno Domenico
Nato a Traù (oggi Trogir), in Dalmazia, probabilmente nel 1730 (come si desume dal Libro dei morti della parrocchia di S. Maria sopra Minerva), entrò nell'Ordine dei frati predicatori nel convento di Spalato nel 1745. Ventenne appena, si dedicava a ricerche erudite raccogliendo nei conventi della provincia dalmata documentazione relativa alla storia del suo Ordine (nell'Archivio generale di S. Sabina a Roma, Liber H H H, ff. 1-187, 194-209, Si Conservano copie di molti documenti da lui fatte intorno al 1750). Nel 1752 venne scelto dal padre T. M. Mamachi a far parte del collegio storico costituito nel convento di S. Maria sopra Minerva e incaricato di compilare gli annali domenicani; pertanto, trasferito in Italia, venne assegnato alla provincia romana dell'Ordine.
La decisione di intraprendere l'opera monumentale di raccolta e pubblicazione delle memorie domenicane era stata presa nel capitolo generale di Bologna del 1748. Di conseguenza il superiore A. Brémond ne aveva affidato l'incombenza al Mamachi, il quale scelse quattro collaboratori: in ordine cronologico, F. Pollidori, V. Badetti, il C. e J.-F. d'Astesan, che si stabilirono nel convento della Minerva. Dopo un lungo e vasto lavoro di ricerca e raccolta del materiale documentario compiuto a Roma e nei conventi di tutta Europa, ufflizzando anche le precedenti ricerche e gli studi dei confratelli T. M. Minorelli, J. T. de Boxadors e D. V. Bertucci (in particolare di quest'ultimo le inedite Adnotationes in historiam Ordinis Praedicatorum seu in Acta Comitiorum generalium usque ad annugm MDXXX)e dello stesso Brémond, essi pubblicarono a Roma nel giugno 1756 il primo frutto del loro lavoro: Annalium Ordinis Praedicatorum volumen primum.
L'apporto del C. a questa prima parte fu considerevole: a lui è dovuta anzitutto, nella parte introduttiva (pp. LIX-LXXXVI), la biografia del Brémond, morto nel 1755 (Vita Antonini Bremondii Magistri Ord. Praed. LXIII). Nel corpo vero e proprio degli Annales, che coprono tutto l'arco della vita di s. Domenico, il C. trattò gli anni 1178, 1192-1207, 1208, 1211, 1213 (questi ultimi tre insieme con il Badetti), 1216 e 1219 (quest'ultimo in collaborazione con il Pollidori). Egli fu anche in seguito il principale continuatore dell'impresa.
Il gruppo di eruditi della Minerva infatti a poco a poco si sfaldò, senza essere reintegrato da alcun nuovo membro: nel 1758ilPollidori lasciò Roma per assumere il priorato del convento di Città di Castello, ritornandovi due anni dopo per occupare l'ufficio di penitenziere a S. Maria Maggiore che non gli consentì altri seri impegni; nel 1764abbandonò il gruppo il d'Astesan, promosso al vescovado di Nizza; il Badetti rimase alla Minerva, spesso però distolto dalle incombenze didattiche di docente di teologia dogmatica alla Sapienza. Il C., che fin dall'inizio ricoprì le funzioni di segretario del collegio storico, fu quindi il più assiduo al lavoro, continuando le ricerche negli archivi e nelle biblioteche e controllando documenti e memorie ricopiati da altri. Nel settembre 1760accompagnò nella visita canonica nelle province spagnole dell'Ordine il maestro generale de Boxadors. Il lungo viaggio, durato fino al settembre 1764. gli permise di visitare numerosi archivi e di consultare e ricopiare un'ingente massa di documenti, non solo nei conventi della penisola iberica ma anche nella Francia meridionale e in Liguria. Il prezioso materiale raccolto (talvolta rimasto unico, dopo la perdita degli originali avvenuta in vari conventi spagnoli) fu in minima parte utilizzato dal C. per la stesura di una Disquisitio historica de originibus Sacri Ordinis Mercenariorum saeculo XIII Barcinone in Hispania redimendorum captivorwn causa instituti auctore Sancto Raymundo de Pennafort, rimasta inedita (nell'Archivio generale dell'Ordine, XIV.42); ma soprattutto fu utile per la continuazione della compilazione degli Annales.
Al secondo volume lavorarono per anni il Badetti e il C., ma fu quest'ultimo a stendere materialmente il testo definitivo: questo, incompleto, vide parzialmente la luce dopo oltre un secolo (il manoscritto è conservato nell'archivio di S. Sabina, Mss. XIV.63-65) negli Analecta sacra Ordinis Praedicatorum, I (1893-94), pp. 47-55, 113, 121, 181-192, 321-326, 367-375, 441-447, 508-521; II (1895-96), pp. 343-351; IV (1899-1900), pp. 23-47, 240-249; XVIII (1927-28), pp. 362-367, 411-426, 550-558, 617-621; il C. trattò da solo gli anni 1221, 1225, 1226, 1229-1232.
Verso la metà degli anni '60 il C. divenne maestro di teologia e iniziò l'insegnamento nelle scuole dell'Ordine. Nel 1770. sollecitato da alcuni amici di Cingoli, compose un'altra opera di erudizione ecclesiastica, De S. Exuperantio Cingulanorum Episcopo deque ejus vitae actis liber singularis (Romae 1771), per provare la veridicità della tradizione riguardante l'episcopato cingolano di Esuperanzio, attestata da una "leggenda" riportata da un codice del sec. XIV.
Sulla base di questa tradizione, nel 1725 Benedetto XIII aveva eretto in concattedrale la chiesa collegiata di S. Maria Assunta di Cingoli, mentre la diocesi prendeva il nome di Osimo e Cingoli; nel 1700 inoltre la Congregazione dei Riti aveva approvato le "lezioni" di s. Esuperanzio. Contro quest'ultima decisione era insorto il capitolo di Osimo, che, per ottenere l'annullamento del decreto del 1770, promosse la pubblicazione delle Osservazioni critiche sopra le antichità cristiane di Cingoli (Osimo 1769) di L. Fanciulli e della Dissertazione ovvero Saggio di ragioni per le quali si dimostra apocrifa la Leggenda di S. Esuperanzio protettore della città di Cingoli (Osimo 1771). Più che a difendere il contenuto della "leggenda", il C. mirò a provare l'autenticità dell'episcopato cingolano di Esuperanzio sulla base di reliquie risalenti all'XI e XII secolo. La controversia si concluse con il trionfo delle tesi dei Cingolani, accolte nel 1772 dalla Congregazione dei Riti, che si fondò proprio sulle argomentazioni del C., filologicamente molto più fondate. Contro un opuscolo contrario alla sua opera il C. replicò con la Lettera del padre... Ermanno Domenico Cristianopulo al signor N. N. sopra alcune "Lettere di un socio dell'Accademia d'Osimo intorno al primo articolo dell'Effemeridi letterarie di Roma del dì 19 dicembre 1772", s. n. t.
Frattanto egli aveva iniziato, sempre sotto la regia del Mamachi, un'attività di apologista del potere papale e della gerarchia ecclebiastica, pubblicando un'Analisi critica del trattato del Sig. Le Vayer de Butigni Dell'autorità del re sopra l'età necessaria alla professione solenne de' religiosi., s. I. 1772, per confutare due nuove edizioni in lingua italiana, apparse nel 1768 a Napoli e a Venezia, di un'opera di oltre un secolo prima (De l'autorité du Roi touchant l'âge nécessaire à la profession solemnelle des Religieux, Paris 1669).
Il C., oltre a poggiare le sue argomentazioni sui decreti del concilio di Trento relativi ai sacri voti e sull'autonomia dal potere civile dei regolamenti ecclesiastici, insisteva su due punti fondamentali: l'utilità sociale anzi politica degli Ordini regolari ("che tuttodì si adoperano a mantenere nella società umana il culto di Dio, l'innocenza, la pace, la tranquillità, la giustizia, che sono i primi beni della Repubblica, e come le basi della pubblica felicità+: I, p. 225) e la libertà di scelta dell'individuo contro la coercizione dello Stato, che - ricorda il C. - ha il diritto di sovranità ma non quello di proprietà sui sudditi ("Per appartenere noi prima allo Stato, che a noi medesimi, siam noi per questo schiavi, sicché laproprietà delle nostre persone, e delle cose nostre non a noi medesimi, ma allo Stato appartenga? E se non possiam noi disporre di noi medesimi in pregiudizio di quello, che dobbiamo allo Stato; può forse lo Stato dispor di noi in pregiudizio di quello, ch'egli a noi deve? Ora lo Stato dee mantener noi nella nostra libera condizione, e nel possesso della proprietà, che, come uomini liberi, non ischiavi, abbiamo di noi medesimi, e delle cose nostre": II, pp. 11).
Dal 1773 il C. fu addetto all'insegnamento di diritto canonico nel Collegio Germanico-Ungarico, rimasto privo di docenti per la soppressione della Compagnia di Gesù. L'anno seguente pubblicò De potestate ecclesiastica diatriba Ad tit. II Lib. I Decretaliuni de Constitutionibus, Romae 1774. In polemica ancora con Le Vayer di Boutigny, ma ora anche con il Febronio, egli intendeva dimostrare che è in potere della Chiesa stabilire la disciplina del culto e le pene per i trasgressori e delineare il sistema del potere gerarchico nella Chiesa.
Al proposito il C. sottolineava con vigore il primato di giurisdizione universale del pontefice, sostenendo che il regime della Chiesa deve essere definito come una monarchia assoluta, in accordo con la più antica tradizione (pp. 83, 87 s., 103). È vero che egli ammette Nstituzione divina dell'episcopato, negando che i vescovi siano semplici vicari del papa, ma limita il loro carattere di congiudici alla sede conciliare, mentre riserva al papa non solo il potere di fissare i limiti della giurisdizione vescovile ma anche quello di intervenire per limitarne e regolarne l'esercizio all'interno della diocesi. Soprattutto nega che la Chiesa universale risulti dall'unione delle chiese particolari (una tesi che egli accusa di richerismo): ne consegue che anche nel concilio i vescovi fanno valere la loro qualità di congiudici soltanto finché consentono con il papa (p. 94: "sive ab eo plerique dissentiant, eo ipso horum jacebit auctoritas, quod seiuncti a capite, minime corpus Ecclesiae repraesentabunt").
Intorno al 1777 cominciò a comporre un Esame del libro intitolato Principi sulla essenza, sulla distinzione, e i limiti delle due potestà spirituale, e temporale, non condotto a termine e rimasto inedito (Roma, Bibl. Casanatense, ms. 456, ff. 43-54, 69-86), per sostenere il confratello Mamachi nella disputa con il giurisdizionalista veneto Tommaso Antonio Contin. In realtà l'opera confutata erano i Principes sur l'essence, la distinction, et les limites des deux puissances, spirituelle et temporelle dell'oratoriano francese V. La Borde, tradotto a Venezia nel 1775 con il titolo La buona causa già difesa dal P. Contin contro il Mamachi, invincibilmente dimostrata in XII proposizioni. Alcuni anni dopo fu relatore delle tesi di diritto canonico sostenute da J. A. Eyrle (Theses ex juris canonici prolegomenis..., Romae 1781), che riaffermavano il primato papale, chiarendo anche che l'affermazione di s. Cipriano circa il potere "in solidum" dei vescovi nel governo della Chiesa doveva essere interpretato nel senso che esso poteva essere esercitato soltanto in unione con tutta la Chiesa e con il pontefice, ma che da solo non esiste.
Anonima vide la luce la sua ultima opera, la più importante da un punto di vista teologico: Della nullità delle assoluzioni ne' casi riservati all'autore della lettera stampata in Milano per la validità delle medesime assoluzioni, Roma 1785.
Nata come confutazione delle tesi espresse dal canonico milanese L. Litta, lo scritto del C., per poter dare un valido fondamento alle sue asserzioni circa le assoluzioni riservate alle autorità ecclesiastiche, finisce per delineare un organico "sistema cattolico della gerarchia episcopale per rapporto al primato". A questo proposito il C. sembra aver compiuto un passo in avanti rispetto alle posizioni del 1774: ora rifiuta la definizione del regime della Chiesa come semplicemente monarchico, ritenendo inadeguata ogni formula tratta per analogia con il sistema politico, in quanto "non si può applicare al governo ecclesiastico il principio delle forme imperfette" (p. 394)., e ritiene più aderente tentare il ricorso a una similitudine con il mistero trinitario. L'attenzione ora riservata all'autorità vescovile (egli ribadisce con forza a più riprese l'istituzione divina della potestà d'ordine dell'episcopato) ha ovviamente una spiegazione contingente: in quegli anni, a Roma negli ambienti vicini alla Curia, si valutava con avvedutezza il pericolo costituito da una svalutazione dell'autorità vescovile da alcuni gruppi favorevoli alla rivalutazione della figura dei semplici preti (ne sono espressione prima il Cornaro, poi il Guadagnini) e non alieni dall'attribuire un ruolo anche alla comunità dei fedeli. Perciò il C., definito l'episcopato come la magistratura che regge la Chiesa, afferma che "tutti i preti e ministri inferiori [debbono] dipendere nel loro ministero dalla giurisdizione, o sia potestà di governo dei vescovo" e che i fedeli sono sudditi dei vescovo affidati alla giurisdizione limitata dei preti (pp. 41 e 360).
Nel rapporto papa-episcopato il C. sviluppa una teoria comunitaria: il governo è retto dal corpo intero, di cui fa parte, sia pure come capo, il vescovo di Roma. Ma, in pratica, ben poco di quel potere viene esercitato dal singolo vescovo. Non solo perché la giurisdizione particolare nella diocesi viene conferita dal papa ed è "soggetta a mutazioni, a restrizioni, e ampliazioni, ad arbitrio similmente o del concilio, o dei Papa" (p. 381), ma anche perché la potestà di governo universale può venire esercitata dai vescovi soltanto nel Concilio e questo non è necessario alla vita della Chiesa: "L'azione espressa di tutto il corpo non è mai necessaria al governo de figli docili della chiesa, comunque sia talvolta oppoi:tuna a domare l'indocilità de' caparbi" (p. 396). Basta cioè, ordinariamente, per reggere la Chiesa il papa, il quale è fornito della "pienezza fontale dell'autorità episcopale": "Anzitutto perché la potestà posseduta dall'intero corpo episcopale è posseduta interamente anche dal papa, in secondo luogo perché dato che per entrambi la fonte è Dio, il quale garantisce la sua infallibile assistenza, nelle definizioni e decisioni del papa è contenuta virtualmente anche la volontà dell'episcopato e infine perché è proprio del capo rappresentare tutto il corpo" (Alberigo, p. 273 n. 104, che parafrasa il C., p. 378).
Il C. morì a Roma, nel convento della Minerva, il 29 sett. 1788.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. dei Vicariato, S. Maria sopra Minerva, Liber mortuorum, F (1741-1824), f. 113r; A. Papillon, De sodalitio historico Ordinis Praedicatorum, in Arch. fratrum praed., I(1931), pp. 9-14; Id., Le premier College historique de l'Ordre des Frères Prêcheurs, ibid., VI(1936), pp. 5-38; T. Kaeppeli, Cronache domenicane di Giacomo Domenech O. P. in una raccolta miscell. del card. Niccolò Rosell, ibid., XIV(1944), pp. 7 s.; A. Walz, Compendium historiae Ordinis praedicatorum, Romae 1948, pp. 174, 399, 459, 463; G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale, Roma-Freiburg 1964, pp. 256-285 e ad Indicem; T. Kaeppeli, Dominicana Barcinonensia..., in Archivum fratrum praedicatorum, XXXIVII (1967), pp. 47-49, 53 s., 80 s.; V. J. Koudelka, Il fondo Libri nell'Archivio generale dell'Ordine domenicano, ibid., XXXVIII (1968), pp. 101, 106; XXXIX(1969), pp. 201, 203-207, 209 s., 215; G. Pignatelli, La propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, pp. 73, 87, 129 s., 283.