eristica
Arte del disputare (in greco ἐριστική τέχνη) attraverso schermaglie dialettiche volte a far prevalere la propria tesi, indipendentemente dal suo contenuto di verità. L’accezione negativa con cui il termine viene utilizzato già nell’antichità e che mantiene anche nel linguaggio moderno (in cui indica la sottile strumentalizzazione delle abilità retoriche), deriva in buona parte dalla presentazione che si legge negli scritti platonici; nel Teeteto (165 d) Platone giunge infatti a definire quanti utilizzano tale abilità attraverso argomentazioni false e ingannevoli che consentono di irretire l’interlocutore come «mercenari di parole», mentre nell’Eutidemo offre un ritratto quasi caricaturale dei due protagonisti del dialogo, Eutidemo e Dionisodoro, nonché delle argomentazioni capziose e della verbosità con cui lo scopo di imporre la propria posizione su quella dell’avversario veniva perseguito. Storicamente l’e. può essere considerata come una sorta di degenerazione della prima sofistica; Aristotele (Elenchi sofistici, 33, 183 b) individua l’origine dei «discorsi eristici» nel metodo d’insegnamento di Gorgia, mentre Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, 52) indica in Protagora il «creatore dell’e.», già divenuta «una moda». Nel corso della storia della filosofia greca sono stati definiti eristici anche gli esponenti della scuola cinica e della megarica, questi ultimi considerati gli eristici per antonomasia da Diogene Laerzio; nei primi l’evoluzione del dialogo socratico inclina verso una dialettica di tipo eristico con accenti scetticheggianti; nei megarici rinnova la dimostrazione per assurdo dell’eleate Zenone, estendendola anche a giudizi e opinioni accettati dal senso comune, denunciando in questo modo l’ambiguità e la polivalenza del linguaggio, nonché la vanità di ogni apparenza particolare delle cose, di fronte all’unica realtà dell’ente eleatico, da essi identificato con il concetto socratico del bene.