LELLI (Lellj), Ercole
Nacque il 14 sett. 1702 a Bologna da Domenico Maria, uno dei più valenti armaioli archibugieri del tempo, e Monica Tagliaferri, originari del territorio di Baricella (Fantuzzi, p. 50; Medici, p. 159). I primi anni del L., riferiti dalla storiografia, sono tuttora privi di riscontri documentari. Ancora ragazzo sarebbe stato impiegato presso l'officina paterna dove, distintosi per l'esecuzione di un raffinatissimo archibugio, dovette assumere presto un ruolo autonomo se "di moltissimi lavori venne ricercato" (Medici, p. 161); di lì, probabilmente, seguirono l'esperienza presso l'armaiolo Domenico Brugnoli, in via Clavature, e la scelta di aprire uno studio artigiano in proprio, in via S. Donato (Mostra della scultura bolognese…, p. 105); ma non rimane alcuna opera certa ascrivibile a questa fase iniziale: l'unica nota, infatti, rinvenuta sul mercato antiquario solo nel 1977, è un archibugio con lungo fucile alla romana (Brescia, collezione privata), firmato, in cassa di radica e canna in acciaio incisa e cesellata con episodi del mito di Ercole, databile per ragioni stilistiche a un'epoca più tarda, tra quarto e quinto decennio del secolo (Gastaldi; Bentini).
La naturale inclinazione del L. al disegno dovette, d'altra parte, manifestarsi abbastanza precocemente, contrastando le aspettative paterne e indirizzandolo verso altre figure di riferimento. Fallito il tentativo di inserirsi nella più accreditata scuola di Giovan Gioseffo Dal Sole, previa presentazione di un ritratto dello stesso inciso all'acquaforte, da identificare forse con quello del maestro sessantaquattrenne (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi) eseguito su un disegno di Antonio Zanchi (Mostra della scultura bolognese…, p. 105; Roio, p. 764), il L. studiò presso Giovan Pietro Zanotti, Francesco Merighi, allievo di Dal Sole, e Ferdinando Galli Bibiena. Furono, tuttavia, la protezione e il magistero di Zanotti che, più degli altri, alimentarono nel L. l'interesse per gli studi anatomici e ne agevolarono il raggiungimento di un primo importante successo: il 3 giugno 1727 il L. vinse, presente in giuria lo stesso Zanotti, il premio Marsili per la prima classe di figura con il disegno a matita nera Giuditta e Oloferne, realizzato con un ductus sottile e nel gusto rocaille allora dominante (Bologna, Accademia di belle arti: Zamboni, 1979). L'anno seguente il L. partecipò nuovamente al concorso, senza eguagliarne l'esito, presentando per la classe di scultura il rilievo Il centauro che rapisce Dejanira, perduto, e per quella di figura l'olio monocromo con Achille riceve le armi da Teti (Roma, collezione Lemme), caratterizzato da una più articolata "miscela culturale e stilistica" (Zamboni, 1985). Da quel momento il nome del "pittore" L. avrebbe iniziato ad acquistare discreto credito tra i privati, che ne richiesero le opere (Mostra della scultura bolognese…, p. 105): tra queste è forse da includere La Sacra Famiglia con s. Giovannino, firmata e datata 1731 sul telaio originale (New York, Sotheby's, 27 ott. 1993, lotto 28, p. 20), così come "delle prime pitture" del L. deve ritenersi il perduto dipinto con S. Felice con il Bambino Gesù in braccio, per la chiesa bolognese, distrutta, di S. Andrea alle Scuole (Malvasia, p. 277).
L'attività pittorica, comunque, non dovette rappresentare l'interesse primario del L., come lasciano intuire il giudizio severo delle fonti (Lanzi, III, p. 119) e un modesto catalogo; tra i pochi testi riconducibili con certezza al suo pennello sono: l'Esaltazione della Croce e s. Michele sull'altare maggiore della chiesa di S. Croce di Portonovo, nel territorio di Medicina (Marcello Oretti…) e l'Autoritratto (Bologna, Museo storico dell'Università) in cui, raffiguratosi mentre guarda una statuetta anatomica in gesso, l'artista tradisce un'età matura e l'espressione sicura di chi ha già conquistato una posizione di rispetto in virtù, appunto, delle sue competenze di anatomista (Noè, 1979). Al 1732 risale la prima prova importante in quell'ambito: la veloce esecuzione di una statuetta anatomica che "così bene riuscì e tanto piacque all'universale" (in Medici, p. 164), da essere presto riprodotta in numerose versioni in gesso, mentre un esemplare in bronzo sarebbe poi stato donato nel 1772 dalla Clementina di Bologna all'Accademia di San Pietroburgo (ibid., p. 165).
Dopo questo fortunato esordio il L. lavorò, dal 1733 al 1734, alle due statue maschili in legno di tiglio degli Spellati per la cattedra del lettore nel teatro anatomico dell'Archiginnasio, firmate "E. Lellj f. 1734", in situ, sostitutive di quelle in cedro, ormai tarlate, eseguite da Antonio Levanti nel 1649. La versione definitiva in legno, cui non fu probabilmente estranea la partecipazione dello specialista dell'intaglio Silvestro Giannotti, fu preceduta dalla scrupolosa dissezione di "nulla meno di cinquanta cadaveri" e dallo studio paziente della forma da dare ai singoli muscoli, previamente modellati con un impasto di canapa inzuppata di cera mischiata con semola e trementina (Fantuzzi, p. 50; Medici, p. 170).
Il successo riscosso segnò l'avvio di un'intensa e remunerativa carriera nelle istituzioni pubbliche in cui le competenze anatomiche continuarono a giocare un ruolo pregnante, ma non esclusivo. Già il 7 sett. 1734, infatti, il L. ottenne la nomina di "maestro dei conii" presso la Zecca, in sostituzione di Antonio Lazzari morto in quell'anno; incarico che, complici altolocate conoscenze, poté svolgere beneficiando di inusitati privilegi quali, contravvenendo alle clausole contrattuali, il permesso di eseguire i conii a casa propria. La prima opera nota, ancora "stilisticamente anonima" (Noè, 1984, p. 69), risale però al 1736: lo scudo d'oro di Clemente XII, siglato nel recto, dove è lo stemma pontificio, "E-L" (Serafini).
Il 21 nov. 1742 il L. fu aggregato tra gli accademici clementini e nominato "direttore di figura"; tre giorni dopo, per volontà di Benedetto XIV, che del L. aveva apprezzato le qualità all'epoca del suo arcivescovado bolognese, nella sede di palazzo Poggi dell'Istituto delle scienze venne fondato il Museo di notomia umana, per il perfezionamento dell'attività artistica, e il suo nome fu proposto per la realizzazione di uno "studio in cera di anatomia". Il 1° dicembre il L. si impegnò a "formare, scolpire e colorire, tempo 6 anni, per 17.000 lire bolognesi", otto statue di grandezza naturale, fra cui due nudi e sei scorticati, e oltre quaranta tavole raffiguranti vari muscoli e ossa dello scheletro, dal 1907 nell'Istituto di anatomia umana dell'Università di Bologna e restaurati dopo i danni subiti nel secondo conflitto mondiale (Bernabeo, 1981, pp. 31 s.; Armaroli).
Nel lungo lavoro il L. si servì della consulenza del chirurgo Boari e dell'operato degli scultori Filippo Scandellari e Domenico Piò, cui subentrarono Giovanni Manzolini e, licenziato quest'ultimo, l'abate Luigi Dardani. Fu appunto la volontà di distinguere le effettive responsabilità del L. da quelle, soprattutto, di Manzolini, a sollevare vivaci reazioni tra i contemporanei, divisi tra detrattori (Crespi) e sostenitori del L. (Pisarri; Fantuzzi).
Dal 1742 al 1751, anno in cui furono consegnati i preparati anatomici, il L. assolse altri incarichi mantenendo anche quello presso la Zecca: del 1742 è la medaglia, firmata e datata, commissionatagli da Pier Paolo Molinelli e dedicata a Benedetto XIV (Milano, Gabinetto numismatico del Castello Sforzesco: Noè, 1984, p. 69). Proprio alla personalità del pontefice e alla sua politica culturale risultano, da questo momento, intimamente legati atti e significati del suo operato, soprattutto in seno all'Accademia Clementina, della quale fu eletto principe il 5 ott. 1746, e ancora nel 1753 e 1763 (Benassi; Biagi Maino, 1998). Il 9 maggio 1746 il L. era stato inoltre aggregato all'Istituto delle scienze.
Nel giugno del 1747 il L. compì un viaggio a Roma per ricevere "l'officina che servì al famoso Campana per fabricare li telescopij", donata dal papa all'Istituto delle scienze di Bologna; dalla documentazione sopravvissuta si apprende che a questa data il L. era sposato con tale Anna e che aveva prole; durante la sua assenza la famiglia era affidata alle cure dell'amico, medico e scienziato, Vincenzo Menghini che lo avrebbe consigliato di richiedere la nomina a ostensore e custode dei pezzi anatomici, incarico ottenuto il 28 nov. 1747 (Brighetti). Nello stesso anno ricevette la commissione per il busto ritratto di Luigi Ferdinando Marsili (Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna): completato, firmato e datato dai fratelli Ottavio e Nicola Toselli solo nel 1766, rimane l'unica prova sicura della sua attività di scultore, essendo stata posta in discussione l'autografia del busto di Eustachio Manfredi (Ibid.).
Dal 1752 il L. perseguì l'idea di dotare la Clementina di una "Galleria delle statue", formata con modelli ricavati dalle più famose opere di Roma. Il progetto si concretizzò nel 1755 con la decisione del papa di affidargli il controllo e la collocazione dei gessi.
Gli impegni del L., frattanto, continuarono a dividersi tra la Zecca - presso la quale avrebbe realizzato nel 1754 la medaglia per il premio Aldrovandi e nel 1757 quella per il Monte di pietà, ritenuta la sua migliore nel genere (Noè, 1984: esemplari di entrambe a Bologna, Museo civico archeologico) - e la rivendicazione di competenze in ambiti diversi: nel 1756 si assicurò l'intervento di restauro, poi altamente lodato da Zanotti in un sonetto (Bottari - Ticozzi, II, p. 224), della fontana del Nettuno di Jean Boulogne, detto il Giambologna; mentre, nello stesso anno, sollevò aspre critiche la posizione fortemente polemica da lui assunta nei confronti del progetto di Antonio Luigi Galli Bibiena per il nuovo teatro Comunale di Bologna.
Nel 1759 il L. ottenne la nomina a direttore della scuola delle statue della Clementina; e ancora per alcuni anni le sue idee riformatrici trovarono ascolto in seno all'Accademia, ma, venuto meno il suo protettore Benedetto XIV nel 1758, l'attività si avviò inevitabilmente a una sensibile contrazione. Nel 1760 fu pubblicata a Roma la seconda edizione del De conchis del medico Giovanni Bianchi da Rimini, per la quale il L., in contatto con l'autore almeno dal 1747, aveva realizzato quattro disegni incisi da C.A. Pisarri.
La rimanente produzione grafica nota del L. è dispersa tra varie collezioni pubbliche europee: Firenze (Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi), Venezia (Museo civico Correr), Stoccarda (collezione Fachsenfeld) e certamente, stante i documentati passaggi sul mercato antiquario, in numerose raccolte private.
Negli anni successivi il L. si dedicò principalmente all'insegnamento di anatomia artistica e forse allora iniziò la stesura di un opuscolo, Compendio anatomico per uso de' pittori e scultori: edito solo dopo la sua morte, senza indicazione dell'anno, con il titolo Anatomia esterna del corpo umano, composto di dodici carte e corredato da cinque tavole incise, ne sono noti due soli esemplari, entrambi in biblioteche bolognesi (Fantuzzi, p. 50; Bernabeo, 1977; Armaroli, p. 62 n. 28).
Il L. morì a Bologna il 7 marzo 1766 e fu sepolto nella sua parrocchia, nella chiesa di S. Maria Maddalena.
Di tre mesi più tardi è l'inventario dei suoi beni: oltre a una nutrita biblioteca, conferma dei suoi molteplici interessi (Vegni, pp. X-XIV), vi figuravano una ricchissima collezione di disegni e sculture di grandi maestri, tra i quali il suo ritratto in età giovanile, opera di Giovanni Sorbi, identificato con uno già in collezione romana (Stoccarda, collezione Heilner: Longhi, II, fig. 252), e le raccolte di osteologia e miologia lasciate all'allievo Carlo Bianconi e acquisite dall'Accademia di Brera.
Famoso soprattutto per la sua attività di anatomista presso l'Istituto delle scienze di Bologna, il L. fu personalità eclettica, di non comuni e spesso spregiudicate capacità imprenditoriali: il suo essersi cimentato, con risultati talvolta qualitativamente discutibili, negli ambiti della pittura, scultura, incisione e medaglistica, in un momento in cui la vita culturale bolognese era animata dal delicato dibattito sui rapporti tra arte e scienza, è all'origine delle valutazioni discordi dei suoi primi biografi (Zanotti; Crespi; Fantuzzi; Oretti) e di un'alterna fortuna critica (Riccomini; Ferretti; Fanti; Biagi Maino).
Fonti e Bibl.: C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna (1686), Bologna 1755, pp. 80, 275, 277; G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina di Bologna, Bologna 1739, I, p. 76; II, pp. 142, 153, 365; F. Algarotti, Saggio sopra la pittura, Livorno 1763, p. 24; G.G. Bolletti, Dell'origine e de' progressi dell'Instituto delle scienze di Bologna…, Bologna 1763, pp. 52 s., 71-74, 92; L. Crespi, Vite de' pittori bolognesi non descritte nella Felsina pittrice, Roma 1769, pp. 301 s.; F. Pisarri, Dialoghi tra Claro, e Sarpiri…, Bologna 1778, pp. 47-51; C. Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza 1780, p. 91; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 50 s., 113-115; L. de' Vegni, Lettera preliminare…, in Memorie per le belle arti, IV (1788), pp. III-XX; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1789), a cura di M. Capucci, Firenze 1970, II, p. 252; III, pp. 119, 126, 140; G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere…, Milano 1822, II, pp. 193-197, 224, 237; VII, pp. 47, 284, 294, 296, 299 s., 302 s., 306 s.; F.L. Cicognara, Storia della scultura, VI, Prato 1824, p. 221; M. Medici, Elogio d'E. L., in Memorie della Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, VII (1856), pp. 156-186; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, p. 203; Catalogo della raccolta di disegni autografi antichi e moderni donata dal prof. Emilio Santarelli alla Reale Galleria di Firenze, Firenze 1870, p. 309; F. Malaguzzi Valeri, La Zecca di Bologna, Milano 1901, pp. 118, 241-244; C. Serafini, Le monete e le bolle plumbee pontificie del Medagliere vaticano, III, Milano 1913, p. 110; A. Emiliani, Ritratti in cera del '700 bolognese, in Arte figurativa antica e moderna, VIII (1960), 2, pp. 28, 31-33; R. Longhi, Scritti giovanili 1912-1922, in Edizione delle opere complete, Firenze 1961, I, pp. 506, 511; II, fig. 252; E. 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