DANDINI, Ercole Francesco
Nacque ad Ancona il 4 nov. 1695, da Girolamo, di nobile famiglia originaria di Siena, a Cesena fin dal sec. XV, e da Margherita Fazioli nobildonna cesenate.
Aveva solo quattro anni quando morì la madre; successivamente il padre si risposò con una nobile orvietese della famiglia Gualtieri ed ebbe altri figli. Per una particolare attitudine agli studi il D. su tutti primeggiava, e per questo il padre lo inviò a Roma presso il proprio fratello Anselmo, prelato di grande prestigio della Curia. Di carattere austero e meditativo, il giovane D. si segnalò per la particolare diligenza che sapeva dimostrare negli studi e particolarmente nel greco e nel latino. In quest'ultima materia non aveva rivali: i suoi biografi narrano che proprio in questi primi anni romani il giovanissimo D., dopo aver tradotto il De Officiis in italiano, si divertisse a renderlo di nuovo in latino sorprendendo tutti per l'abilità e la bravura dimostrata. Forse l'eccesso di zelo nell'applicarsi allo studio fu la causa determinante di una malattia che lo tenne per un certo periodo lontano dagli studi. Rimessosi e ripresi gli antichi ritmi, trascorse tre anni presso gli eremitani dell'Ordine agostiniano per approfondire lo studio della filosofia aristotelica ivi impartita in lingua latina; successivamente, si impegnò per quattro anni nello studio della teologia avendo come maestri dapprima il domenicano Ambrogio Tontucci e poi il gesuita Domenico Antonio Briccialdi. A diciannove anni, dopo questi prestigiosi precedenti, iniziava gli studi di giurisprudenza con il celebre Vincenzo Gravina, al quale lo accumunava la grande passione per la lingua latina. Allievo e maestro si collocavano infatti in quell'area culturale filolatina che nel primo Settecento si contrapponeva alla diffusione del volgare, specialmente in determinati campi (diritto, medicina, storia ecc.).
La sua prima opera attestata si trova nella raccolta di poesie Componimenti degli Academici Riformati di Cesena per le vittorie dell'armi Cesaree sopra de' Turchi (Faenza 1717) ed è intitolata Orazione delle lodi del Serenissimo Principe Eugenio di Savoja per le vittorie riportate contro il Turco,ben in sintonia con le tematiche poetiche del periodo; in essa si esaltano la fortezza, la prudenza e la pietà del principe cattolico.
In questo tempo il D. entrò a far parte dell'Accademia Quirina divenendo amico e consigliere del cardinale Lorenzo Corsini che presiedeva il consesso. Cinque anni più tardi completava una "guida" di Cesena iniziata da Cesare Brissio, inserita nel IX tomo (parte VIII) del Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae (Lugduni Batavorum 1723) di P. Burman (Caesaris Brixii ad Clementem VIII, Pont. Max. urbis Caesenae descriptio a Francisco Maria Faccino caesenate nunc primum ex italico in latinum sermonem versa, et Herclei Dinundae [Ercole Dandini] adnotationibus illustrata ac locupletata). Nel 1724 conseguiva la laurea in giurisprudenza. Nel 1728 a Roma, presso la tipografia di Antonio de Rossi, vedeva la luce l'opera più significativa della produzione dandiniana: si trattava dell'OtiumAricinum, sive de urbanis officiis Dialogi V, quibus accedit ab eodem ex Italico sermone in latinum conversus Joannis Casae Galateus.
Il libro, dedicato al cardinale Alessandro Falconieri, ha una prefazione cui seguono cinque dialoghi i cui personaggi (Erminius, Phronimus e Meranius) modellano i loro discorsi in lingua latina esemplificando quel "modo urbano" ben reso dal Galateo del Della Casa, la cui traduzione latina, non a caso, segue i cinque dialoghi. Nel primo di essi l'autore spiega i motivi che lo hanno spinto a tradurre l'opera del Della Casa in latino, nel secondo viene esaltata la filosofia morale di Aristotele, presupposto di ogni buon comportamento civile. Gli altri tre dialoghi sono esemplificativi della buona creanza del vivere e rinviano ad autori della classicità greca e latina (Plutarco, Virgilio, Omero). La traduzione in latino del Galateo si andava ad aggiungere a quelle precedenti in francese e in inglese che stavano a dimostrare il successo dell'opera dei Della Casa. Indubbiamente il lavoro del D. era pregevolissimo ed ebbe un notevole successo.
Nel 1730 il D., ritornato a Cesena, sposava Isabella Fattiboni dalla quale avrebbe avuto undici figli. Nella città romagnola diede vita all'Accademia dei Filomatori o Filomati per la quale compilò e fece stampare il regolamento tenendo a modello la legge delle dodici tavole (Leges Academiae Philomatorum nuper in urbe Caesenae institutae kalendis Januarii, Cesena 1731). Nel 1732 vedeva la luce a Padova un'opera che i letterati cesenati dedicavano a Clemente XII in occasione delle celebrazioni culminate con l'innalzamento di una statua marmorea dei papa (Tributo di venerazione e gratitudine della città di Cesena per li decorosi et utili privilegi dalla Santità Sua ad essa restituiti) e nella raccolta figurava un'orazione latina del Dandini.
Il suo amore per la lingua latina lo portava a battersi a spada tratta contro ogni forma di volgarizzamento della lingua della giurisprudenza; una manifestazione di ciò si ha nel dialogo De forensi scribendi ratione culta atque perspicua, stampato a Padova nel 1734: scopo di quest'opera è la ricerca di un linguaggio giuridico il più vicino possibile alla classicità ciceroniana. La necessità di una particolare attenzione per il lessico giuridico è canalizzata attraverso una minuziosa ricerca filologica e linguistica. Sempre a Padova e nello stesso anno venne stampata un'altra opera intitolata De ea distribuentis iustitiae parte, quae in premiis largiendis versatur commentariolus ad interpretationem legis XIV de honoribus; il libro è dedicato a Giovan Francesco Morosini, Andrea Soranzo e Pietro Grimani, riformatori dello Studio di Padova, ed è focalizzato sul collegamento tra l'elemento giuridico e l'educazione secondo il modello del buon cittadino, rispettoso delle leggi del suo tempo.
Nel 1735 il D. fu chiamato a Padova, dove si trasferì con moglie e figli, per tenervi, nell'università la cattedra delle pandette e del codice giustinianeo, insegnamento che avrebbe conservato fino alla morte.
Nel 1740 a Padova veniva pubblicata una sua lettera indirizzata al gesuita vicentino Giacomo Bassano in occasione dell'elezione al soglio pontificio di Benedetto XIV (17 ag. 1740) con la risposta del prelato (De pont. opt. max. Benedicto XIIII epistula Herculis Francisci Dandini Comitis et J. C. ac in Patavino Gymnasio Pandectarum interpretis ad Jacobum Bassanum Societatis Jesu Presbyterum eximia doctrina et sacra eloquentia clarissimum cum eiusdem responsione). Nel ricordo bolognese dell'arcivescovo Prospero Lambertini e nella esaltazione delle sue qualità risalta l'amicizia del D. con il Bassano. A questo periodo risale anche l'amicizia con Giovan Battista Morgagni e Giovanni Volpi; sempre nei medesimi anni fu assiduo frequentatore del cardinale Carlo Rezzonico vescovo di Padova, che nel 1758 sarebbe diventato papa Clemente XIII. Il D. fu in buoni rapporti anche con il Metastasio, come è testimoniato dall'unica lettera in lingua latina presente nel suo epistolario; l'eccezione fu mantenuta anche nella risposta che il Metastasio fece nella stessa lingua.
Nel 1741 a Verona venne pubblicata dal D. l'ultima opera: De servitutibus praediorum interpretationes per epistulas ad loca quaedam libri VII et VIII Pandectarum illustranda pertinentes. Il 7 nov. 1747 cessava di vivere a Padova, per apoplessia. Fu sepolto nella locale chiesa di S. Egidio come egli stesso aveva chiesto nel testamento; l'epigrafe sepolcrale fu scritta da Giovan Battista Morgagni.
Fonti e Bibl.: Nella Bibl. com. di Cesena, nel Fondo Manoscritti Cesenati figurano alcune lettere autografe del Dandini. I destinatari sono: lo zio Anselmo, C. Cavalli, G. B. Morgagni, I. Graziani, il conte Pivati; nella stessa Biblioteca è conservato il diploma di laurea in giurisprudenza del Dandini. P. Metastasio, Etistolario, a cura di B. Brunelli, III,Milano 1952, pp. 1176-1179; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saec. XVII et XVIII floruerunt, Pisa-Lucca 1778. pp. 141 ss.; Nouvelle Biographie générale, XII, p. 910; Biografia universale antica e moderna, XIV, p. 401.