DEL FIORE, Ercole
Figlio adottivo del pittore Iacobello, seguì le orme paterne prima come garzone, poi come aiuto e infine come artista nella fiorente bottega, pur restando subordinato - vivente il padre - alle sue commissioni e alla collaborazione nelle sue opere. È documentato la prima volta nel testamento di Iacobello del 2 ott. 1439 come fidecommissario - assieme alla matrigna Lucia e al falegname Giovannino di Lorenzo - ed erede dei materiali e degli strumenti relativi alla professione di pittore. Abitava a Venezia, nella parrocchia di S. Agnese; non sposato, lasciò parte dei suoi beni alla Scuola grande di S. Maria della Carità e volle essere sepolto nel convento dei canonici lateranensi della omonima chiesa, forse per i lunghi rapporti di lavoro che lo avevano legato a quelle istituzioni.
Si è supposto ragionevolmente che la modesta personalità artistica del D. si avverta nell'opera estrema di Iacobello come una precisa flessione stilistica e qualitativa. Ne sarebbero chiari esempi il ductus appesantito e la povertà espressiva di alcuni particolari dell'Incoronazione della Vergine del duomo di Ceneda (1432 circa, ora nella Galleria dell'Accademia di Venezia) e del trittico del municipio di Chioggia (1436-37), dipinti quasi contemporanei e stilisticamente associabili alla pala feriale con Cristo tra i dodici apostoli della basilica di S. Marco, al polittico dell'Accademia Carrara di Bergamo (forse 1430) e a quello di Cellino Attanasio, oggi nel Museo dell'Aquila (Pallucchini, 1956, p. 69).
Nel quinto decennio il D., svincolato dai modelli paterni, subì una ulteriore involuzione che lo condusse a lavori di semplice decorazione, genere tuttavia saltuariamente abbracciato anche da Iacobello. Il 27 giugno 1449 ricevette dai canonici lateranensi di S. Maria della Carità il saldo per un suo lavoro che si identifica nel fregio decorativo a fogliame - tutt'ora esistente - affrescato lungo le pareti interne della chiesa e intorno al rosone e agli sguanci delle finestre. Nello stesso anno, il 16 ottobre, il D. ricevette un pagamento per aver dipinto la Incoronazione della Vergine, scolpita precedentemente da Bartolomeo Bon, per la lunetta soprastante il portale esterno della chiesa di S. Maria della Carità (Fogolari, 1924, p. 69). Infine, al 1° dic. 1453 risale un altro pagamento corrisposto al D. per "lavori fatti alle chapelle" a completamento, forse, della precedente decorazione ad affresco (ibid., p. 75).
Negli anni seguenti il D. dovette mantenere rapporti di lavoro con i canonici lateranensi di S. Maria della Carità se il 19 maggio 1463 fu restituita al pittore una somma in denaro precedentemente prestata per la costruzione del barco e dell'organo della chiesa (ibid., p. 75). Potrebbe risalire infine a questi anni (1461-84) anche il fregio decorativo ad affresco nella sala del capitolo della Scuola grande di S. Maria della Carità - oggi sala di esposizione n. 1 (Sala dei Primitivi) delle Gallerie dell'Accademia - accompagnato in basso da una cornice dentellata, opera eseguita dal D. negli anni in cui attendeva al relativo soffitto dorato l'intagliatore Marco Cozzi (Paoletti, 1895, p. 83).
Il D. fece testamento il 1° luglio 1461 e morì il 3 genn. 1484 (Paoletti, 1895).
Fonti e Bibl.: I documenti relativi al D. sono stati pubblicati da P. Paoletti, Racc. di doc. ined. per servire alla storia della pittura veneziana nei sec. XV e XVI, Padova 1895, II, pp. 9-11, e da G. Fogolari, La Chiesa di S. Maria della Carità di Venezia, in Arch. veneto tridentino, V (1924), pp. 69-75. Pochi altri cenni critici, volti a distinguere il D. dalla figura e dall'opera di Iacobello, sono in L. Testi, Storia della pittura veneziana, Bergamo 1909, p. 396; G. Gronau, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, p. 595; R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento, Bologna 1956, pp. 68 s.; E. Merkel, in Le Scuole di Venezia, Milano 1981, p. 33.