BERRÒ (Berro), Ercole Agostino
Ultimo discendente di una famiglia comitale felsinea, i Berrò da San Domenico, nacque a Bologna nel 1623. Il padre, Gianfrancesco, aveva esercitato con discreto successo la professione forense; la madre, Fulvia, era figlia del senatore Bartolomeo de' Ghiselardi. Nel cittadino collegio dei nobili di S. Saverio, tenuto dai gesuiti, il B. seguì il corso di lettere e di filosofia, concludendo gli studi a Fermo con il dottorato in legge. Poco si conosce della sua attività negli anni successivi: chiamato in Piemonte probabilmente da un parente, Vincenzo Berrò, gentiluomo di corte e agente speciale di Madama reale, egli ebbe a segnalarsi in alcuni fatti d'arme verso la fine della guerra civile (donde alcuni incarichi puramente onorifici) e seguì quindi Vincenzo inviato a Parigi quale collaboratore dell'abate Mondino, corrispondente sabaudo da quella corte. Luigi XIV insigni il B. (la data non è nota) del brevetto di "gentiluomo di camera" in virtù di qualche medaglione agiografico. Di ritorno in patria verso il 1650, era annoverato due anni dopo nell'assemblea degli Anziani durante il mandato del gonfaloniere Andrea de' Ghiselardi. Il resto della sua vita non ha praticamente storia: sposata nel 1654 Lucrezia del conte Ludovico Orsi, il B. visse tra le angustie dei "litigliosi travagli del foro" (per dirla con lo Zani) e le divagazioni letterarie offertegli dalla locale Accademia dei Gelati cui era stato aggregato nel 1650.
Spirito eclettico, uomo ora d'arme ora di toga, erudito senza indirizzo né fisionomia precisa, espressione in fondo del tipico cortigiano italiano secentesco, il B., come si applicò volonterosamente allo studio della eloquenza e della poesia, così si dilettò di musica, di pittura, di fisica e di astronomia, senza eccellere né per gusto né per originalità. La stessa varietà di interessi, da lui professati e trattati con dignitosa convenzionalità, contrassegna i limiti della sua personalità, più di curioso, e nemmeno eccentrico, che di studioso approfondito o di cultore fervido e intelligente. Sia nella sua produzione poetica (che è a metà fra il petrarchismo e il marinismo e sostanzialmente di maniera), sia nella sua trattatistica di fisica (legata da una parte alla difesa della mortificante e pedantesca scuola aristotelica e, dall'altra, irresoluta fra le stravaganze superstiziose e le tentazioni panteistiche) e nella pubblicistica politica essenzialmente di circostanza, il B. (l'"Indugiato" come amò appellarsi nelle sue funzioni accademiche) seguì gli orientamenti baroccheggianti più deteriori in campo letterario e, in quello del sapere, i luoghi comuni e le concezioni più rigide dell'ortodossia aristotelico-scolastica. Nel trattato sulle Cagioni fisiche degli effetti simpatici, ed antipatici, composto verso il 1670, il cosmo è ancora immaginato come un mondo pervaso e a suo modo regolato da occulte, imperscrutabili correnti di simpatia o di antipatia, determinate dalla congiunzione degli astri e dall'influenza del sole o del sistema solare (ma vi ha parte anche il misterioso disegno divino sulla vita dell'umanità).
Gli interessi del B. paiono più propriamente limitarsi al campo dell'astrologia, dell'arte divinatoria, e anche questa superficialmente intesa (così nell'Astrologia mascherata, rimasta inedita), quando non venga da lui assunta a pretesto per lambiccati esercizi poetici o di vacua retorica. L'amore sembra inteso ancora nei vaghi idealistici contorni del petrarchismo: così in un intervento all'Accademia dei Gelati del 1666, Riprova d'Amore. Discorso in diflesa di esso, in cui l'autore assume le difese dell'amore, contro i seguaci di Pallade che lo volevano esiliato (nella fattispecie il collega accademico conte Alberto Caprara), quale scuola di virtù e di elette vocazioni (il tema, che, in veste più compiuta ed elegante, verrà stampato presso il tipografo bolognese Ferroni nel 1667, sarà ripreso in un successivo sonetto).
La forma, il paludamento esteriore, obbedisce tuttavia ai modelli del marinismo in voga: tra i sessantotto sonetti, oltre alle quartine del Vaticinio di Chiromante attempato sopra la mano di bella vedova, sono poche le note efficaci o sincere. Qualche interesse, peraltro sotto il profilo puramente cronachistico, rivestono semmai i sonetti per il natalizio di Maria Cristina di Savoia (in data imprecisata), per la morte di Carlo II di Mantova (che il B. esalta con il lauro di poeta: seguirà più tardi un sonetto per "un cavallo barbaro del serenissimo di Mantova"), e per la vestizione di Madama reale a carmelitana scalza (marzo 1662), nonché l'Ode epitalamica nelle nozze de' Duchi Ranuzio di Parma e Margherita di Savoia (stampata dal Ferroni a Bologna nel 1663, cui seguirà nell'aprile dello stesso anno un sonetto di compianto per la morte della stessa principessa sabauda). Spunti biografici di interesse locale e qualche affettuosa o arguta annotazione di prima mano sull'ambiente bolognese offrono i sonetti per la morte di Filippo Candido Pepoli, per le monacande Elena Sampieri e Laura Maria Cessi, e per un gruppo di gentildonne versate nelle arti. Meno convincenti, con qualche accenno di sensualità subito smorzato e con il rituale addobbo di enfasi e di elementi esornativi, sono i poemetti, in cui il B. ritorna sul tema dell'amore (come la canzone per le "celesti nozze" di una nobile donzella bolognese, figliola di "Genitor che a chiaro vanto ascrisse, Giungere a dotto crin lauro immortale", e l'epitalamio Amor trionfante per l'ingresso di una principessa di Savoia nel casato estense).
Con l'astrologia e l'amore, anche il sentimento religioso è uno dei temi più trattati del B.: soggetto d'obbligo, del resto, date le sollecitudini devozionali del tempo e il particolare ambiente politico-culturale in cui egli si trovò ad operare. A s. Caterina de' Vigri, patrona dell'Accademia dei Gelati, è dedicata una lunga canzone, che narra il "pellegrinaggio prodigioso" all'omonima santa del monte Sinai: il tono è compunto, timorato e senza slanci, e tradisce con evidenza, non tanto intenti di fervida spiritualità, quanto piuttosto preoccupazioni meramente edificanti. La stessa povertà di ispirazione e di immediatezza si ritrova in un'ampia orazione di trentotto pagine in onore dell'Immacolata.
La cosa migliore del B. rimane in fondo una canzone dedicata a Vincenzo Nani, in cui, libero da impacci formali e da ipocrisie ufficiose, traccia, pur muovendo da declamazioni moralistiche sulla "già agognata gloria mondana", un ritrattino in chiave intimistica della propria vita narrata con accenti accorati e, patetici: gli affanni di ogni giorno, i guai della professione forense, i problemi familiari; e si sofferma con nostalgia e buon senso sulle illusioni vissute, sui disinganni, sulle immancabili amarezze, sugli studi intrapresi e sui lavori cui vorrebbe dare una "ultima mano".
Nei temi politici, ripresi negli ultimi anni con il sonetto del 1686 a Vittorio Amedeo II a favorevole presagio della spedizione contro i Valdesi e con l'opera I Tiranni d'Italia, rimasta inedita e ripresa più tardi dal Leti, quale "memoria di cose notabili", nella sua Italia regnante, l'accademico bolognese non si discosterà in pratica da quegli schemi di indiscriminata agiografia che avevano già trovato espressione nello scritto Gli applausi del Sole. Panegirico in lode di Carlo Emanuele II di Savoia, stanca ripetizione di alcuni tra i più logori motivi ideologici e confessionali, fuori della concreta realtà del tempo, o pretesto per apologia interessata di mestiere (in polemica indiretta, ma larvata, con il filospagnolismo degli esponenti politici dell'Accademia, come il Malvezzi, tacitista ed esaltatore dell'Olivares) e per quadretti aulici di circostanza.
Il B. morì a Bologna, settantatreenne, il 1° apr. 1696. Il genero, conte Angelo Annio Sacchi (ne aveva sposato l'unica figlia, Olimpia, Il 22 giugno 1684), radunò agli inizi del Settecento la sua produzione inedita e si preoccupò di far stendere in nitida scrittura tre prose, tre canzoni e sessantotto sonetti (oltre alle quartine già citate del Chiromante).
La raccolta venne compresa in un unico libro manoscritto, legato in pergamena (e noto più tardi come ms. 273 della collezione Hercolani della Biblioteca Comunale dell'Archigindasio di Bologna). Il Sacchi però evitò successivamente di dare alle stampe il volume così raccolto, nel timore che non avrebbe più incontrato il favore del pubblico: in questo senso la produzione del B. può comunque esser assunta a documento della letteratura corrente a Bologna nella seconda metà del Seicento, e unitamente rendere singolare testimonianza del rapido mutamento di orientamenti ivi intervenuto nei canoni e nel gusto letterario. Così come nei confusi ondeggiagmenti fra aristotelismo teologico e tecnica sperimentale, fra arte divinatoria e curiosità scientifica, è dato cogliere - pur attraverso una personalità senza spicco ma comunque non sprovveduta quale il B. - qualche elemento interessante sui riflessi del più generale travaglio dei mondo culturale italiano secentesco.
Bibl.: P. S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 133; V. Zani, Prose de' signori Accademici Gelati di Bologna, Bologna 1671, II, pp. 138-140; P. A. Orlandi, Nor. degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, p. 104; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 1002-1003; G. Fantuzzi, Not. degli scrittori bolognesi, Bologna 1781, I, pp. 103-105; G. Rocchi, Ms. 273 della Collez. Hercolani nella Bibl. Com. dell'Archiginnasio, in L'Archiginnasio, II(1907), nn. 1-2, pp. 25-28; Id., Scritti vari, Bologna 1928, pp. 255-262.