Vedi ERCOLANO dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
ERCOLANO (Herculaneum)
Città della Campania, distrutta dall'eruzione del Vesuvio del 79 d. C.; su parte della città antica si trova attualmente Resina, 8 km a E di Napoli. La città antica era posta su un basso contrafforte del Vesuvio, tale da formare un promontorio eminente lungo l'arco del golfo fra Neapolis e Pompeii, delimitato da due profondi canaloni di carattere torrentizio che convogliavano le acque dal monte al mare: così ci è attestato da Sisenna (fr. 53-54) in un passo di chiara evidenza geografica: oppidum tumulo in excelso loco propter mare, parvis moenibus, inter duas fluvias infra Vesuvium collocatum. Strabone inoltre (v, 4, 8, p. 246) ne loda la salubrità dell'aria; Dionigi d'Alicarnasso (i, 42) la sicurezza dei porti. E per quanto l'eruzione abbia, con l'apporto di grandi masse alluvionali, alterato profondamente la natura del luogo colmando i due canaloni e le insenature della costa, allontanando e rialzando il litorale, tuttavia i saggi fatti nel ‛700 per il riconoscimento della linea del lido e gli scavi recenti confermano i dati storiografici. Nessun rapporto è invece da vedere fra il moderno toponimo di Resina e il nome della matrona Rectina ricordata in una lettera di Plinio (Epist., vi, 16) e collegata alle vicende dell'eruzione.
1. Storia. - La leggenda che ne fa una fondazione di Ercole al ritorno dal suo viaggio in Iberia la ricollega alle altre città marittime della Campania, sacre anch'esse al culto d'Ercole, a Bauli e a Pompeü; ma la sua vera origine si dové a necessità di difesa della strada litoranea del golfo: ϕρούριον è detta da Strabone (loc. cit.), oppidum da Sisenna (loc. cit.) e da Livio (x, 44, 11), πολίχνη da Dionigi d'Alicarnasso (loc. cit.).
Delle sue prime vicende storiche, attenendoci alle notizie tramandate da Strabone (loc. cit.) e cioè che fosse prima in signoria degli Osci, poi dei Tirreni-Pelasgi e infine dei Sanniti, possiamo ritenere che all'impianto primitivo degli Osci succedesse, come a Pompei, l'egemonia etrusca nel periodo fra il 600 e il 525 a. C. e che, con l'invasione sannitica del principio del V sec., cadesse anch'essa sotto il dominio dei Sanniti sinché, conclusa la guerra fra Roma e il Sannio, entrò a far parte della federazione romana dei socii italici.
La prima testimonianza della sua esistenza come città si ha nella guerra sociale, quando, ribelle a Roma, assalita ed espugnata da Tito Didio legato di Silla (89 a. C.), e perduta ogni autonomia politica, ebbe più tardi la costituzione di municipio e l'immissione, al pari di Pompei, di coloni romani. Nell'ultima età della Repubblica fu sede di ville del patriziato romano, al pari dei luoghi più belli del golfo di Napoli; una di queste ville sarebbe stata distrutta per ordine di Cesare per vendicare la madre sua che vi era stata relegata (Seneca, De ira, iii, 21, 5); un'altra, alla quale è legata la celebrità di E., è la cosiddetta Villa dei Papiri (v. appresso).
2. L'eruzione. - Al pari di Pompei venne anch'essa sepolta, ma in modo diverso, dall'eruzione dell'a. 79 d. C. Mentre una pioggia di lapilli e di cenere portata dal vento di ponente si distendeva in strati di circa 6 m su Pompei, su Stabia e più oltre, E., posta a O del cono eruttivo, venne risparmiata durante il parossisma; ma pochi giorni dopo, quando la città era già evacuata, le piogge torrenziali che s'accompagnano sempre alle grandi eruzioni, trascinarono a valle l'enorme quantità di materiali che s'erano accumulati intorno al cratere e sulle pendici del Vesuvio in forma di alluvione fangosa. Una massa semifluida di fango, discesa lungo la china del monte, investì le ville del sobborgo e la città riempendo e sommergendo ogni edificio, sopraelevandosi con alluvioni successive fino all'altezza di 16 e più metri sul piano della città antica e sfociando a mare. Prosciugandosi e solidificandosi, quella massa fangosa ha assunto la durezza e compattezza d'un banco tufaceo entro il quale trovansi immorsate le strutture delle case, le opere d'arte, le suppellettili e si conservano, come in una torbiera, il legno delle coperture, delle porte, delle scale e gli oggetti più delicati di fibra vegetale, quali il tessuto d'una stoffa e il papiro. A questa eccezionale conservazione si deve il particolare interesse che E. ha nello studio della casa integrata nelle sue strutture lignee e per l'auspicata scoperta di documenti scritti (tabulae ceratae) e di manoscritti letterari (papiri).
3. Storia degli scavi. - È una storia secolare, la più drammatica che si abbia dello scavo d'una città antica. S'iniziò fortuitamente e clandestinamente nel teatro antico nei primi anni del 1700 (1709-16) con la vandalica spoliazione dei marmi e delle sculture della scena da parte del principe d'Elboeuf; ufficialmente e regolarmente, a cura di Carlo di Borbone, nel 1738, allorché attraverso pozzi e cunicoli si esplorarono il teatro, i primi edifici del Foro, la palestra creduta un tempio e la Villa dei Papiri, con una messe di sculture in bronzo e in marmo da costituire la più ricca collezione del museo della villa reale di Portici. Interrotti nel 1765, gli scavi proseguirono nel 1828 all'aperto; s'interruppero di nuovo nel 1835 e, dopo una breve ripresa, nel 1855; dopo 14 anni si ripresero una terza volta nel 1869 e continuarono, stancamente e senza gran frutto, fino al 1875. Fallito il tentativo dell'internazionalizzazione dello scavo (1904-07), questo è stato ripreso nel 1927 e da allora, salvo l'interruzione della seconda guerra mondiale, è continuato ininterrottamente, mettendo in luce gran parte del quartiere meridionale della città, due terme, la grande palestra, l'area sacra suburbana e iniziando la scoperta del quartiere del Foro, sicché si ha ormai una chiara visione della città sotto l'aspetto urbanistico e della sua edilizia pubblica e privata.
4. Pianta. - E., al pari di Neapolis, costituisce un esempio evidente della cosiddetta urbanistica ippodamea: la città infatti tanto dalla pianta schematica del La Vega, disegnata sul tracciato della rete dei cunicoli, quanto da quel che se ne è scoperto nei nuovi scavi, risulta, geometricamente divisa in tante insulae di forma rettangolare più o meno allungata, riquadrate dai decumani e dai cardines sullo stesso schema della pianta della Neapolis greca. Di maggiore estensione risultano le insulae del settore orientale e occidentale: la maggiore del settore orientale è occupata dalla palestra. Sono stati scoperti due decumani e tre cardines e, sull'esempio di Neapolis, si deve supporre un terzo decumanus a monte, che doveva corrispondere all'attraversamento della via litoranea, e aggiungere altri due cardines nel settore occidentale. L'area dell'abitato si può pertanto calcolare racchiusa in un rettangolo lungo l'asse longitudinale di m 370 e di m 320 lungo l'asse minore trasversale; una superficie, compresi gli edifici extramurali, di non oltre 11-12 ettari (una quinta parte di Pompei). La città era cinta da mura munite di torri e di porte (i parva moenia di Sisenna) restaurate da M. Nonio Balbo (C. I. L., n. 1425); se ne è scoperto il tratto meridionale formato da un bastione a scarpata con tre porte, di cui due così anguste d'aver forma e funzione di posterulae.
Sul terreno acclive del promontorio la città aveva distribuito gli edifici pubblici e le case in successivi terrazzamenti, cosicché spesso in un edificio pubblico e nelle maggiori abitazioni si notano dislivelli fra le varie parti dello stesso edificio. Il ciglio del promontorio terminava con un brusco salto di due successive terrazze e su di esse s'era impiantato il muro della fortificazione a forma di terrapieno ed erano sorti alcuni importanti edifici extramurali. Inoltre, nella prima età imperiale, le case delle insulae meridionali avevano finito per spingersi fino sull'estremo ciglio dei bastioni occupando con terrazze e verande panoramiche l'antico cammino di ronda, ricavando stanze e appartamenti di soggiorno nello spessore del bastione e ampliando l'abitazione sul terrapieno stesso della fortificazione.
Le vie di comunicazione fra la città e il mare erano assai anguste e di carattere pedonale (quali almeno ci si presentano nelle tre porte finora scoperte); ed E. aveva da questo lato il carattere che hanno le piccole località marine del golfo e delle isole. Non erano vie per un grande traffico marittimo, e se altre più comode e ampie non si presentano dal lato di ponente, dobbiamo pensare che la vita marittima si riducesse al piccolo cabotaggio e alla pesca. Né al traffico di terra erano adatti i due decumani finora scoperti, non avendo né l'uno né l'altro alcuno sbocco in una porta orientale della città. È forza pertanto ammettere che solo il terzo decumano superiore (al di sotto dell'abitato di Resina) raccogliesse il traffico che collegava Napoli al mezzogiorno della penisola. Lungo questa strada vennero infatti segnalati i primi sepolcri della necropoli ercolanese. Ma anche sulle strade messe in luce si colgono scarse tracce del traffico pesante: qualche solco scavato dalle ruote e qualche paracarro si notano sul decumano inferiore. Centro della città era il Foro, lungo il percorso del decumano medio; ma, in luogo di una grande piazza, sembra che non si avesse ad E. altro che una grande via porticata chiusa al traffico pesante, su cui si affacciavano gli edifici principali del municipio ercolanese, la basilica e le curie, esplorate in passato per via di cunicoli e non ancora riscoperte, mentre manca tuttora il ritrovamento del tempio principale della città e del Foro.
5. Edilizia pubblica. - Fino a che non si sia scoperta la basilica, l'edilizia pubblica ercolanese è rappresentata dal teatro (vecchi scavi), dalla terma del Foro, dalla terma suburbana e dalla palestra (nuovi scavi).
Il teatro. - Come a Napoli, anche ad E. il teatro è di schietta costruzione romana: la cavea, anziché essere addossata alla china del monte, era costruita e sostenuta da archi e pilastri a doppio ordine di 19 archi ciascuno, rivestiti di fine decorazione a stucco e pittura. L'architettura e la disposizione delle scale è quella dell'architettura teatrale del I sec. dell'Impero, di tipo già evoluto: né vi si ravvisano rinnovamenti e modifiche che facciano supporre, come a Pompei, un più antico edificio. La costruzione appare unitaria e organicamente articolata: particolari elementi dell'architettura teatrale del I sec. sono le due grandi sale ai lati della scena, la forma del proscenio, l'abside centrale della frons scenae, i tribunalia, la crypta e le scalette d'accesso alla summa cavea. La media cavea, ricavata tutta da blocchi di tufo locale magistralmente sagomati e con tracce di poca usura, contrastava, nel suo grigio colore, con il lussuoso rivestimento della scena che, con le colonne di giallo antico, di cipollino, d'africano, con il rivestimento in crustae marmoree di paonazzetto, d'alabastro fiorito e di rosso porfirico e con le statue che spiccavano sul fondo delle nicchie, formava un mirabile esempio di preziosità decorativa e cromatica: un gusto del quale faranno sfoggio, sedici secoli dopo, gli artisti del barocco napoletano.
Racchiudeva il teatro una selva di statue: sculture in marmo sulla scena, tra cui, meritatamente celebri, le cosiddette grande e piccola Ercolanese, ora a Dresda, che dovevano forse raffigurare idealmente personaggi della famiglia imperiale, e sculture in bronzo lungo il portico esterno della cavea; due statue onorarie a patroni della città erano collocate ai due lati del proscenio: l'una al proconsole M. Nonio Balbo (v.), l'altra al console Appio Claudio Pulcro (consolato del 38 a. C.). Mirabile complesso purtroppo smembrato dagli scavi di fortuna del principe d'Eiboeuf. Un'iscrizione, che doveva ripetersi più volte sui varî fornici d'ingresso, attribuisce la costruzione del teatro e dell'orchestra a Lucio Annio Mammiano Rufo e all'architetto Numisius (C. I. L., x, 1443) e si stenta a credere che un così poderoso e fastoso edificio si dovesse a privata munificenza di un duoviro del piccolo municipio ercolanese.
Terme. - Conosciamo due terme pubbliche: l'una al centro dell'abitato e in prossimità del Foro (terme del Foro); l'altra al di fuori d'una delle porte della città (terme suburbane). La prima, d'età giulio-claudia, ripete nell'impianto e nella divisione delle due sezioni, maschile e femminile, il tipo delle terme pompeiane, pur meno evolute nel sistema di riscaldamento; la seconda, della prima età fiavia, presenta invece per la sua stessa ubicazione sul primo terrazzamento sottoposto alle mura, per la decorazione a rilievo di alcune sue sale, per la presenza del laconicum e per l'uso di pareti concamerate a mattoni tubolari e, infine, per il geniale espediente dei pozzi di luce e d'aerazione dal sommo delle vòlte di copertura, un tipo di edificio termale di peculiari forme struttive e funzionali. Per l'estrema durezza del banco tufaceo e per il bradisismo della zona che sottopose l'edificio all'invasione delle acque freatiche, la sua scoperta segna la più recente e più ardua impresa di scavo ad Ercolano.
La palestra. - L'edificio che meglio esprime il particolare carattere di E. e ne è l'espressione più monumentale, è la palestra-ginnasio, un grande isolato nel settore orientale della città, a due piani; in quello inferiore è l'area rettangolare della palestra (m 77 × 47) circondata da portico su tre lati e da criptoportico sul quarto; nel piano superiore è un lungo loggiato sovrapposto al criptoportico, con sale e stanze più o meno vaste e lussuose.
S'accede alla palestra da un grandioso vestibolo d'ingresso, che per la sua grandezza e forma fu creduto dai vecchi scavatori un tempio; si accede al loggiato superiore da una grandiosa sala di pubblico uso. La palestra, occupata al centro da una piscina cruciforme e ombreggiata da piante, era destinata agli esercizi sportivi della iuventus ercolanese, una grande sala absidata, al centro del portico occidentale, era riservata alle riunioni e alle cerimonie che accompagnavano le manifestazioni ginniche. La piscina, usata anche per natatio, aveva al centro dell'inserzione dei bracci una fontana monumentale in bronzo formata da un drago-serpente che, avvolgendosi a spire intorno al fusto di un albero, sprizzava da 5 teste altrettanti getti d'acqua.
Il criptoportico rappresenta con il suo ordine di colonne tuscaniche, con gl'intercolumnî un tempo aperti, e con una piscina rettangolare in segnito abolita, la fase più antica della palestra; sostituita questa piscina dalla natatio cruciforme, esteso il portico, chiusi gli intercolumnî, il criptoportico finì per avere una più modesta funzione di deposito o di ricovero. La loggia accoglieva come un gran matroneo il pubblico dei magistrati e dei notabili durante la celebrazione dei ludi. Infine, il fronte occidentale, prospiciente, lungo il cardine era occupato da installazioni commerciali, botteghe, officine, locande ed abitazioni, il cui reddito doveva servire al funzionamento della palestra.
L'architettura templare è per ora rappresentata da piante schematiche della zona esplorata per cunicoli e da due modesti sacelli dell'area sacra suburbana.
6. Le case di abitazione. - Più che nell'edilizia pubblica la fisionomia d'E. si coglie nell'edilizia privata. L'angustia dell'abitato, le condizioni sociali ed economiche poco favorevoli ad un livellamento degli strati sociali, la diretta influenza della vicinanza a Napoli e, infine, il maggior allettamento che offriva il suburbio per l'installazione di ville signorili, furono tutte circostanze che influirono sul particolare sviluppo della casa ercolanese.
Benché non si abbiano la stessa ricca esemplificazione e lo stesso ampio sviluppo cronologico che offre l'abitato di Pompei, tuttavia E. presenta un singolare interesse nella sua edilizia privata, dovuto non solo all'eccezionale conservazione delle strutture lignee che integrano il quadro, pur così completo, della casa pompeiana, ma anche ad un maggiore distacco dagli schemi tradizionali e ad un più rapido processo di trasformazione della domus italica nelle nuove forme imposte dallo sviluppo urbanistico, dall'accrescimento della verticalità e dalla necessità della coabitazione.
Case nello schema della domus ad atrio tuscanico si hanno, oltre a molti esempî minori ove l'atrio appare atrofizzato, nella grande Casa del Bicentenario, dove lo schema tradizionale appare più fedelmente conservato; nella Casa del Tramezzo di legno, con parziali amputazioni e successiva sopraelevazione; mentre uno splendido esempio dell'innesto di forme ellenistiche sull'atrio italico si ha nella Casa Sannitica, con il suo loggiato a colonne, motivo ripetuto anche in case minori (Casa del Mobilio carbonizzato, Casa dell'Atrio corinzio, Casa del Sacello di legno). Ma la costrizione dello spazio al centro dell'abitato induceva a ricorrere ai più ingegnosi espedienti per captare luce e aria all'interno degli ambienti più oscuri e alla sopraelevazione pressoché generale del pianterreno. Mancano infatti nei quartieri del centro case con grandi peristilî e giardini, e quelle che li ebbero ne vennero successivamente decurtate da altre abitazioni minori.
Nei quartieri meridionali, invece, dove la casa ha potuto ampliarsi sui bastioni della città, le abitazioni, orientandosi con i loro appartamenti di soggiorno verso la veduta della marina e del golfo, vengono a partecipare della casa di città e della villa marittima, dando al quartiere dell'atrio la funzione più modesta di vestibolo è sviluppando il quartiere del peristilio con criptoportici, giardini, sale di ricevimento, verande di belvedere e diaetae di siesta e di riposo. Sono le grandi dimore signorili della Casa dell'Atrio a mosaico e della Casa dei Cervi, con i loro criptoportici che mutano il portico ellenistico in corridoio fenestrato di disimpegno e di più comoda e igienica deambulazione; e inoltre la Casa della Gemma, la Casa del Rilievo di Telefo e, nei vecchi scavi, la Casa dell'Albergo, la Casa d'Aristide e la Casa d'Argo, tutte più o meno scenograficamente disposte lungo il ciglio della fortificazione, quasi a corona del promontorio su cui sorgeva la città.
Particolare interesse hanno quelle case minori che, allontanandosi dallo schema tradizionale, sostituiscono un cortile all'atrio, creando le vere forme di trapasso dalla casa ad atrio alla casa-cortile; tali la Casa del gran Portale, la Casa del bel Cortile, che svolge per la prima volta stabilmente una scala in muratura nell'atrio-cortile e, infine, la casa di coabitazione per due famiglie, con due ingressi e due appartamenti separati, qual'è la Casa a Graticcio così denominata per la sua particolare struttura in opus craticium.
Infine E. ci dà nello stesso edificio della palestra un caseggiato a più piani con botteghe e officine, alloggi d'ammezzato e abitazioni al piano superiore, con scale a più rampanti, che precorre i grandi caseggiati con più alloggi di Ostia.
La vita commerciale si rispecchia non solo nelle case ricche con annessa taberna (Casa di Nettuno e anfitrite, Casa di Galba), ma soprattutto nelle case del ceto mercantile con officine (Casa del Telaio) e con tabernae corredate di retrobottega e a volte anche di hospitium. Tra gli ambienti industriali, mentre è modestamente rappresentata la fullonica, così importante a Pompei, si riscontrano una taberna vasaria, una taberna vinaria, alcune tintorie, due pastifici (pistrina), una tessitoria, una bottega di marmista o di toreuta, un venditore di tessuti e infine un pannivendolo con il suo torchio in legno per la premitura e la stiratura delle stoffe. Oltre alle botteghe distribuite lungo le vie principali e nei quadrivî (alcune di esse ci dànno la preziosa documentazione del loro arredamento in legno), una serie ininterrotta di botteghe si ha lungo il fronte occidentale della palestra e una serie non meno numerosa è da attendersi dalla prosecuzione dello scavo lungo la via del Foro.
7. Opere d'arte. - Tenendo conto delle minori dimensioni della città, si può affermare che l'arte ad E. è più riccamente rappresentata che a Pompei, grazie alle molte sculture in bronzo e in marmo scoperte negli edifici pubblici, nelle case e, in particolar modo, nella Villa dei Papiri.
Ricca anzitutto l'iconografia nei monumenti pubblici, destinata a onorare personaggi della casa imperiale e a commemorare, nei cittadini e nei magistrati, atti di privata munificenza. Al teatro e agli edifici del Foro, scavati finora per cunicoli, appartiene il gruppo delle grandi statue imperiali che, pur con imperfezioni e scorrettezze d'officine locali e qualche arbitrario restauro, ci hanno dato in due statue eroiche di Augusto e di Claudio in una bella statua togata di: Tiberio (Ruesch, 793, 796, 802), in un raro ritratto di Galba, nella cosiddett Antonia e in due statue muliebri ammantate (Ruesch, 770, 785, 788), un interessante serie dell'iconografia aulica municipale; la quale peraltro è più schiettamente rappresentata negli stupendi ritratti delle statue di M. Calatorio e di L. Mammio Massimo (Ruesch, 755-6, 765-6) dove si rivela il tipo popolare campano e traspare quell'ostentata protervia, che Cicerone rimproverava appunto ai Capuani, gentiluomini che tutta la loro ambizione riponevano nelle cariche municipali e nel lasciare il proprio nome su qualche pubblica opera. Ma dopo la casa imperiale, nessuna famiglia privata può vantare una documentazione iconografica altrettanto copiosa quanto la famiglia dei Balbi con le statue in marmo raccolte nella Basilica e nelle quali sembra di cogliere la storia del costume familiare del più cospicuo casato ercolanese.
Possente come un'adusta madre italica l'ava Viciria nel cui sguardo diritto e fermo sembra di cogliere l'espressione d'una decisa volontà di dominio matriarcale (Ruesch, 20); già consunta dal travaglio delle passioni politiche della prima età dell'Impero, appare la statua togata di Marco Nonio Balbo padre (Ruesch, 60); imperiose le statue equestri del proconsole Balbo figlio (Ruesch, 23, 59) affermatosi nell'esercizio del governo proconsolare e sicuro del favore imperiale; raddolciti i tratti nel costume femminile della moglie Volasennia e delle figlie fino alla grazia un po' fatua e leziosa della più giovane figlia con l'aurea colorazione dei capelli e il ritocco delle ciglia e delle labbra (Ruesch, 22, 58).
Ma oltre alle due statue equestri di M. Nonio Balbo, un vero e proprio saggio di monumentalità ci dà E. con la quadriga in bronzo che doveva coronare lungo la via del Foro i fornici d'ingresso della Basilica e che, abbattuta e travolta in pezzi dalla corrente alluvionale, non è stato possibile ricomporre. Dei cavalli, in luogo di quello arbitrariamente ricomposto dai restauratori borbonici (Ruesch, 775) e che meritò gli schemi del Winckelmann, restano una bella testa (Ruesch, 801) e varî frammenti; della statua imperiale in funzione di auriga un mutilo torso, mentre intatte sono le quattro piccole e rozze statuette che decoravano l'antyx del cocchio, fra le quali si vuol riconoscere un Caligola (Ruesch, 772-3, 782-3). Carattere monumentale aveva anche la grande fontana in bronzo ricuperata nei recenti scavi della palestra, sopra descritta (altezza m 2,10).
Nonostante che i vecchi cunicoli abbiano svuotato le case delle loro suppellettili d'arte, tuttavia i nuovi scavi ci hanno dato più di un prezioso recupero in modo da poter meglio documentare il particolare gusto d'arte della casa ercolanese.
Mentre una sola erma-ritratto si è rinvenuta in una casa di modesta agiatezza (Casa dell'Erma in bronzo), dobbiamo alla signorile Casa dei Cervi un gruppo di piccole e belle sculture sfuggite ai primi ricercatori: una replica in marmo del Satiro versante dall'otre, un Ercole ebbro che minge, grottesca e maliziosa raffigurazione del mitico fondatore della città, un Erote di squisita e plastica morbidezza, tale da distaccarlo dal comune e banale repertorio della piccola scultura decorativa di giardini e di fontane e, infine, i due stupendi gruppi animalistici dei cervi assaliti da cani in caccia, che nella nervosa modellatura del corpo e delle zampe arrestate nell'impeto della corsa, dànno più l'impressione di un prezioso intaglio in pietra dura anziché d'una scultura in marmo.
Prodotti del rilievo neoattico si hanno, invece, nella Casa del Rilievo di Telefo, presso la quale si rinvennero anche i rilievi di due quadrighe guidate da Phosphoros e da Hesperos provenienti probabilmente da altro luogo, mentre nell'atrio della casa sospesi agli intercolumnî, come nella Casa degli Amorini a Pompei, o inseriti alle pareti, si rinvennero numerosi oscilla marmorei. Infine, accanto alle statuette dei lararî è da porre un gruppo di rozze sculture in legno, in cui sono adombrati, più delle reali fattezze, tratti generici del volto e dell'acconciatura d'una persona (imagines maiorum). Fra le suppellettili in bronzo, vetro e terracotta, rari i pezzi di argenteria; una situla d'argento con scena di donne al bagno (Ruesch, 1875), una coppia di calici con decorazione di rami d'edera (Ruesch, 188o), e un kalathìskos con la rara raffigurazione dell'apoteosi di Omero fra le allegoriche personificazioni dell'Iliade e dell'Odissea (Ruesch, 1879).
Infine all'arredamento della casa E. ha recato un elemento in più, il mobilio in legno. Oltre alle porte, agli armadi, ai lararî, ai letti, lavorati a volte con la preziosa tecnica dell'impiallicciatura, alcune mense in legno riproducono, nell'elegante e ardita arcuatura delle zampe e nelle teste dei levrieri che le adornano, le forme e i motivi animalistici delle mense in bronzo, prova di quel magistero dell'arte del legno di cui si avevano più testimonianze letterarie che archeologiche.
8. Decorazione parietale: pavimenti e mosaici. - Al pari di Pompei, E. ci offre, negli edifici pubblici e nelle abitazioni, la preziosa documentazione della decorazione delle pareti e dei pavimenti in pittura, stucco, mosaico, e, più particolarmente, in tarsie e crustae marmoree. Meno riccamente esemplificata nei primi periodi della pittura murale campana e meno ricca di quadri figurati nella casa e nelle ville (è singolare che nessuna pittura di pregio sia stata segnalata dalla Villa dei Papiri), la pittura parietale assume temi megalografici nell'edificio più cospicuo del Foro, nella cosiddetta Basilica (prima età flavia). Qui nelle nicchie della parete di fondo erano effigiati i grandi miti di Ercole e di Teseo: Ercole nell'atto di riconoscere il figlioletto Telefo (Ruesch, 1772); Teseo dopo l'uccisione del Minotauro (Ruesch, 1300).
Composizione assai diversa nell'uno e nell'altro dipinto; nel primo è la narrazione del mito con personaggi mitici e allegorici in una complessa disposizione di figure e di motivi complementari che valgono ad animare la scena, di per sé statica, dello stupore dell'eroe fisso verso la cerbiatta che allatta il piccolo Telefo: dalla gravità immota dell'allegorica figura d'Arcadia al viso malizioso del satirello che spia dall'alto, al cesto d'uva matura, al realismo amorosamente reso dell'allattamento. Nel Teseo invece il pittore s'è attenuto rigorosamente al modello plastico a cui s'ispira: la figura dell'eroe ha una fissità quasi astratta di atleta vincitore e riempie di sé tutto il campo sicché v'è appena spazio per il mostro abbattuto schiacciato contro il terreno, per il fanciullo prono e l'altro che bacia la mano liberatrice. E ad uno schema plastico si è ispirato anche il pittore della scena di Chirone e Achille, la quale posta nello zoccolo della nicchia, doveva, con il vigoroso contrasto dei toni delle carni scure e villose del centauro, bianche e quasi femminee dell'adolescente Achille, spiccare come un bassorilievo sulla parete (Ruesch, 1279).
Accanto a questi pezzi di grande bravura, altri se ne debbono segnalare resecati anch'essi dal complesso decorativo delle pareti durante l'occulto lavoro dei cunicoli: il bel frammento della Medea (v.) tragicamente atteggiata nel suo angoscioso soliloquio (Ruesch, 1316); e, con riecheggiamenti teatrali, la scena d'Admeto e Alcesti all'atto di ricevere il funesto messaggio, fra un gruppo intento di spettatori e di uditori (Ruesch, 1355); il grazioso quadretto di schietto sapore agreste dell'infanzia di Dioniso (Ruesch, 1415); l'altro lepidamente umoristico della lotta di Pan e Eros (Ruesch, 1409); e, non senza richiamo alla letteratura epigrammatica, la lettera di Polifemo innamorato alla bella Galatea (Ruesch, 1417); infine, nel cielo d'una lunetta, il Giove malinconico innamorato che potrebbe assai bene figurare in un'alcova settecentesca (Ruesch, 1259). Né meno prediletto dai pittori ercolanesi era il tema dei giochi e mestieri degli amorini: se ne ha una bella serie nei quadretti provenienti da una casa che si è potuta ora riconoscere per quella dei Cervi (Ruesch, 1455) e in un quadro di maggior impegno tecnico e stilistico qual'è quello scoperto nei nuovi scavi, di amorini intorno al tripode d'Apollo, dipinto su cavalletto entro un telaio di legno e inserito successivamente nella parete. Anche nel genere prezioso della pittura di natura morta, E. figura con quadri di frutta, di cacciagione, di doni della mensa ospitale non meno pregevoli di quelli di Pompei.
Ma, più vivacemente che a Pompei, si afferma ad E. la maniera neoattica nei cinque preziosi monocromi marmorei tra i quali meritamente celebre è il pannello delle giocatrici di astragali firmato da Alexandros di Atene (v.), e non meno pregevoli quelli dell'apobàtes, della Centauromachia, del Sileno Stanco (Ruesch, 1301-3, 1305); si ritrova altresì artisticamente espressa nei quattro quadretti a naìskos rinvenuti sul pavimento di una stanza già resecati da altra parete e pronti per il loro nuovo collocamento; con i soggetti dell'attore re, della vestizione, del concerto musicale, giudicati tra i più fini prodotti della scuola pittorica neoclassica e mirabilmente conservati nei colori floridi e vivi (Ruesch, 1470-1473).
Al di fuori delle correnti neoclassiche e accademiche E. ci dà con i due quadri con cerimonie isiache, l'esatta misura della capacità tecnica e stilistica raggiunta dai pittori locali nel rappresentare cerimonie più o meno segrete e di profonda. suggestione religiosa. Nell'una (Ruesch, 1111) il rito dell'acqua lustrale si svolge ai piedi e sulla gradinata del tempio tra due fitte ali di devoti, in una successione di piani e d'intensità di luce segnata dalle figure sacerdotali erette e irrigidite in posa ieratica; nell'altra (Ruesch, 1112) l'azione religiosa più ricca di movimento, tra ombre e luci notturne, culmina teatralmente nella figura del danzatore negro.
Oltre ai quadri figurati, la decorazione murale assume ad E. una complessità e ricchezza di ornamentazione quali non si hanno nelle più barocche composizioni del IV stile pompeiano.
Il mosaico parietale completa e ravviva la decorazione pittorica sulle pareti dei ninfei e dei giardini: nella Casa dello Scheletro e, soprattutto, nel mirabile assieme del cortile-ninfeo della Casa di Nettuno e Anfitrite, dove alla parete sfavillante del ninfeo, con cervi e cani in caccia, si accompagua di lato la figurazione delle due divinità erette come in un sacello entro il campo di un'edicola, a cui il tono perlaceo delle tessere musive dà l'illusione di un'iridescente valva di conchiglia marina (v. tavola a colori).
Più del mosaico tessellato, con motivi marini nei pavimenti delle terme del Foro, prevale nelle case il pavimento in opus signinum decorato di disegno geometrico a tessere bianche o in sectile marmoreo, o predomina negli edifici e nelle case signorili dell'ultimo periodo l'impiego di marmi colorati con una ricchezza, una varietà e preziosità che non trova riscontro se non nelle ville di residenza imperiale in Campania (Villa Iovis): di marmi colorati è ricoperto il pavimento della grande sala absidata della palestra, delle sale della terma suburbana e le sale di maggiore distinzione e di ricevimento delle Case dell'Atrio a mosaico, dei Cervi, del Rilievo di Telefo; di crustae marmoree e di colonne di pregevoli marmi era intessuto il prospetto scenico del teatro. Più che a particolari condizioni di ricchezza questo abbondante uso del marmo si deve al gusto invalso per una decorazione più ricca di colore e più duratura e inoltre ad un artigianato di marmorari che rivela nella scelta, lavorazione e composizione dei marmi, una matura esperienza.
9. La Villa dei Papiri. - Disseminato di ville era il sobborgo di E.,. (frequéns amoenitas orae: Plin., Nat. hist., vi, 16) ai lati e a monte della città, e gran ventura fu che gli scavatori del '700 s'imbattessero nella più doviziosa, quella che, dalla scoperta di una biblioteca di papiri di soggetto per lo più filosofico, si disse "Villa dei Papiri". Scavata per cunicoli, fra il 1750 e il 1765, svuotata di tutte le sue opere d'arte, rilevatane con grande perizia, la pianta, fu quella villa, per la quantità e pregio delle sculture che vi si scoperserò; per gran tempo identificata, con quel che E. rappresentava come storia e promessa di vecchi e nuovi scavi.
La villa estendeva il suo fronte per oltre 250 m a O dell'abitato, parallelamente alla linea della costa, in modo da godere dell'ampia veduta del golfo, della brezza dei venti ed esser collegata tanto alla via litoranea quanto al suo porticciuolo d'imbarco e d'approdo: condizioni non dissimili da quelle delle future ville borboniche di Portici e della Favorita. Ma per quanto ingigantita nelle sue dimensioni rispetto alle altre ville della regione vesuviana, era peraltro fedele alla pianta e agli schemi architettonici delle ville dell'agro pompeiano e stabiano. L'atrio, preceduto da portico come nelle ville marittime, funge anche qui da vestibolo di disimpegno; il vero e proprio quartiere di alloggio e di ricevimento si disponeva da una parte intorno al primo peristilio quadrato attraversato da uno stretto e lungo alveo di piscina, e dall'altra, non ancora interamente esplorata, ai lati d'un cortile orientale; a ponente del primo peristilio, preceduto da un tablino, si estendeva un secondo grande peristilio rettangolare (m 100 di lunghezza per m 37 di larghezza) contornato da portico e criptoportico (lato S) e attraversato anch'esso da una grandiosa piscina (m 66 di lunghezza per m 7 di larghezza) più simile a uno stagnum che ad una natatio, tale da superare la stessa piscina della palestra pubblica. Infine, al di là del grande peristilio, correva verso O un viale ghiaiato che conduceva ad una torretta di belvedere, sollevata di 4 m sul piano di campagna, decorata d'un sontuoso pavimento in tarsie marmoree (ora al Museo Naz. di Napoli). Nell'atrio e lungo i peristili era disposta la più ricca serie di opere d'arte in bronzo e in marmo che sia stata finora rinvenuta in una villa privata: nell'atrio statuette in bronzo di sileni e d'amorini versanti acqua intorno alla vasca dell'impluvio; protomi di tigri intorno ad una cista plumbea e ritratti di dinasti nelle nicchie delle pareti; agli angoli del primo peristilio quattro erme e fra esse quella del Doriforo con la firma dell'artista ateniese Apollonios, figlio di Archia; nel vano del tablino la statua arcaistica di Atena Pròmachos e, tra piccoli e grandi busti di filosofi - tra essi quelli contrassegnati dai nomi di Epicuro, Ermarco e Zenone - il ritratto ritenuto di Scipione l'Africano e la testa del Dioniso barbato. Più numerose le sculture disposte nel grande peristilio, parte fra gl'intercolumni e parte nell'area scoperta del giardino e intorno alla piscina. Sotto l'ambulacro orientale le statue di Eschine e di Omero (?); nell'ambulacro settentrionale otto busti accoppiati in quattro doppie erme; sotto il breve portico di ponente l'Hermes in riposo attribuito a Lisippo, il Satiro ebbro, i Due lottatori, l'Orante e due ritratti ellenistici tra cui quello della cosiddetta Saffo; lungo l'ambulacro meridionale il gruppo delle cosiddette Danzatrici, la replica in bronzo della testa dello Pseudo-Seneca (in cui si volle vedere erroneamente il ritratto del proprietario della villa) e, insieme con altri ritratti in marmo, il gruppo, pur mirabile, di Pan e l'ariete: tra le aiuole erano i gruppi animalistici dei daini e della scrofa in corsa, mentre nell'abside terminale della piscina, a specchip dell'acqua, era il bel corpo abbandonato del Satiro dormiente.
Fra le varie congetture sul proprietario della villa, più verosimile è quella che, basandosi sulla circostanza della presenza nella biblioteca di molte opere di Filodemo di Gàdara, ne attribuisce la proprietà a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino che, secondo una notizia di Cicerone, sarebbe stato amico e patrono dell'epicureo Filodemo. Singolare comunque e complessa figura di patrizio romano dell'ultima età della Repubblica che, mentre cercava conforto agli affanni della vita politica nelle norme della dottrina d'Epicuro, ascoltandone i precetti dalla viva voce di qualcuno dei più fervidi e fedeli seguaci del maestro, rivelava nella scelta e raccolta delle opere d'arte quel gusto eclettico che troviamo così diffuso nella società ricca e colta del suo tempo. Passione più di amatore che di intenditore, ma alla quale dobbiamo un così prezioso e disparato florilegio di arte e di artisti: non meno di 90 pezzi di sculture in bronzo e in marmo fra grandi, medie e piccole statue, busti ed erme. Questa raccolta può dividersi in tre gruppi: 1) copie, in parte eccellenti, di capolavori d'arte del periodo arcaico, classico ed ellenistico scelte senza particolare predilezione per una scuola o per un secolo: dalla bella testa giovanile di stile eginetico del maturo arcaismo (Ruesch, 850), alle cosiddette Danzatrici (Ruesch, 843-7), all'erma del Doriforo e dell'Eracle policleteo (Ruesch, 853-4) e all'erma di amazzone del tipo fidiaco (Ruesch, 856); all'Hermes in riposo (Ruesch, 841), al Dionysos mystes (Ruesch, 857), al Satiro ebbro e al Satiro dormiente (Ruesch, 842, 858), ai Due pugilatori (Ruesch, 851-2); 2) ritratti di grandi personaggi greci (filosofi, poeti, storici, oratori, dinasti e strateghi) e fra essi un solo grande romano, Scipione l'Africano; 3) gruppi animalistici e sculture decorative di ninfei e di fontane (Ruesch, 859-60; 863-878).
Da quale centro sia stata attinta questa grande quantità di opere d'arte non è facile dire; si può solo supporre che parte venisse da officine napoletane, in particolare modo i ritratti di pensatori e filosofi greci che a Napoli, centro di studî filosofici e di scuole di retorica, non dovevano mancare; ma è necessario ammettere che il maggior numero provenisse da officine e bronzisti di città greche, ove il mercato d'acquisto per i ricchi e colti romani era attivissimo e bène organizzato fra committenti, mediatori ed esecutori; e solo forse da un esame delle leghe si potrà giungere a determinare la diversità dei varî gruppi e dei singoli bronzi.
Ma nonostante tanto ricco tesoro di opere d'arte e i sedici anni di duro lavoro che vi si spesero per trarre dalle tenebre dei cunicoli bronzi e marmi, la Villa dei Papiri non venne scoperta nella sua interezza. Nel 1761, mentre si procedeva all'esplorazione del settore orientale, che avrebbe dovuto dare nel quartiere d'alloggio una suppellettile degna di una così signorile e intellettuale dimora, le esalazioni mefiche del sottosuolo vulcanico e, più tardi, l'infiltrazione delle acque, obbligarono a rallentare e, in fine, a desistere dall'impresa.
Bibl.: La precedente letteratura è raccolta in F. Furchheim, Bibliografia di Pompei, Ercolano e Stabia, 2a ed., Napoli 1891; E. Gabrici, in Boll. d'Arte, I, 1907, pp. 23-25; E. R. Barker, in The Class. Review, XII, 1908, p. 2 s.; G. P. Zottoli, Bibliografia ercolanese, in Boll. Ist. Arch. e St. dell'arte, II, 1928, pp. 47-81; A. W. van Buren, A Companion to the Study of Pompeii and Herculaneum, 2a ed., Roma 1938.
Opere di carattere generale: J. Beloch, Campanien, 1890, pp. 214-218, tav. VIII; Ch. Waldstein - L. Shoobridge, Herculaneum. Past, Present and Future, Londra 1908 (vers. ital. di A. Cippico, Torino 1910); E. R. Backer, Buried Herculaneum, Londra 1908; Gall, in Pauly-Wissowa, VIII, cc. 532-542; A. Maiuri, ercolano, Novara 1932; id., E. Itinerarî dei Musei e Monumenti d'Italia, 4a ed., Roma 1954. Sui nuovi scavi: H. Marrou, Herculaneum à la lumière des nouvelles fouilles, in Annales de l'École des hautes études de Gand, I, 1937; A. Maiuri, I nuovi scavi di E., I, Lo scavo, la città, i monumenti pubblici, le abitazioni, Roma 1958 (ivi la più recente bibliografia).
Sul seppellimento della città: A. Maiuri, Nuovi studî e ricerche intorno al seppellimento di E., in Rend. Accad. d'Italia, Sc. Mor. e Stor., s. VII, II, 1940; Geologia ed archeologia ad E. ed a Pompei, in Rend. Accad. Arch. Lett. e B. A. di Napoli, 1942.
Sulla storia degli scavi fino al 1875: M. Ruggiero, Storia degli scavi di E. ricomposti sui documenti superstiti, Napoli 1885.
Sul programma dei nuovi scavi: A. Maiuri, in Atti Accad. Arch. Lett. e B. A. di Napoli, maggio 1927 e I nuovi scavi d'E., cit. Per l'illustrazione delle prime scoperte: M. Venuti, Descrizione delle prime scoperte dell'antica città d'E., Roma 1748; Cochin - Bellicad, Observations sur les antiquités d'H., Parigi 1754; C. Rosini, Dissert. isagog. ad Herculanensium voluminum explicationem, Napoli 1797 e sovrattutto le pubblicazioni ufficiali dei monumenti a cura della Reale Accademia Ercolanese su: Le antichità di E. esposte con qualche spiegazione, Napoli 1755-92 (ivi comprese anche le prime scoperte di Pompei e di Stabia). Sulla topografia, pianta: J. Beloch, op. cit.; A. Maiuri, op. cit.; per lo scavo e pianta del teatro: M. Ruggiero, op. cit., p. 537 ss., tavv. III-VI; per l'edilizia pubblica e privata, v. soprattutto: A. Maiuri, Itinerario e I nuovi scavi d'Ercolano. Per le opere d'arte, i riferimenti del testo sono alla Guida illustrata del Museo Naz. di Napoli, a cura di A. Ruesch, 2a ed., 1911; sul ritratto di M. Nonio Balbo proconsole: A. Maiuri, Un decreto onorario di M. Nonio Balbo scoperto recentemente ad E., in Rend. Accad. d'Italia, Sc. Mor. Stor., s. VII, III, 1942; sulla quadriga: E. Gabrici, La quadriga d'E., in bollett. d'Arte, I, 1907, 6, p. 1 ss.; per le nuove sculture: A. Maiuri, Fanciullo erote da E., in Le Arti, aprile-luglio 1943; Rilievi con quadrighe da E., in Ann. Scuola Arch. Ital. d'Atene, XXIV-XXV, 1950, p. 221 ss.; id., Fontana monumentale in bronzo, in Bollett. d'arte, luglio-sett. 1954, p. 192 ss.
Per il catalogo delle pitture (fino al 1865): W. Helbig, Wandgem. der vom Vesus verschütteten Städte Campaniens, 1868; A. Ruesch, Guida del Museo Naz. di Napoli; O. Elia, Pitture murali e mosaici del Museo Naz. di Napoli, 1932 (contrassegnate dalla provenienza); oltre ai manuali generali sulla pittura murale romana e campana del Curtius, del Rizzo, del Marconi, del Beyen, dello Swindler, dello Schefold, del Maiuri, si veda sulle pitture della Basilica: M. Mabel Gabriel, Masters of Companian Painting, New York 1952, pp. 35-50. Su un quadro dipinto entro un telaio ligneo (picturae ligneis formis inclusae): A. Maiuri, Note su un nuovo dipinto ercolanese, in Bollett. d'Arte, maggio 1938, p. 481 ss.; sui monocromi: C. Robert, XXI Winckelmannsprogramm, 1897, XXII, 1898, XXIII, 1899; id., Hermes, XXXVI, 1901, p. 3668 ss.
Sulla Villa dei Papiri: M. Ruggiero, op. cit., p. 41 ss.; D. Comparetti-G. De Petra, La villa ercolanese dei Pisoni, Torino 1883; A. Maiuri, E., De Agostini, p. 83 ss.; D. Mustilli, La villa pseudourbana ercolanese, in Rend. Accad. Arch. Lett. e B. A. di Napoli, 1957.