VALVASONE, Erasmo
di. – Nacque probabilmente nel 1528 a Valvasone (nei pressi di Pordenone), primogenito di Modesto di Rizzardo dei signori di Valvasone e di Giulia di Girolamo di Colloredo.
Riguardo alla sua formazione, si sa solo che dal gennaio del 1541 almeno fino all’aprile del 1544 frequentò la rinomata scuola di Giampietro Astemio a San Daniele del Friuli, dove studiò il latino e il greco. Era un ambiente in grado di offrire importanti stimoli al futuro poeta: l’Astemio, insieme al condiscepolo Francesco Pittiani e agli allievi Leonardo Carga (detto Coricio) e Giorgio Cichino, sviluppò una fiorente pratica di poesia neolatina. A questo proposito, è interessante ricordare che si è conservato uno scambio di versi in latino fraValvasone e Cichino (v. Cichino, 1976).
In seguito alla morte del padre, avvenuta all’inizio del 1545 (la madre era venuta a mancare già nel 1530), Erasmo dovette gestire il feudo di Valvasone lasciatogli in eredità. Si trattava di un impegno gravoso: nei suoi scritti, egli lamenta il peso delle incombenze politico-amministrative e delle continue liti giudiziarie cui doveva far fronte. Come altri feudatari friulani, Valvasone si trovò in una posizione piuttosto ambigua nei suoi obblighi di fedeltà alla Serenissima: parte dei possessi familiari era infatti in territorio imperiale, tanto che nel 1586 il poeta si recò alla corte dell’arciduca d’Austria per la reinvestitura del feudo di Caporetto.
Nel 1547 sposò una nobile veneziana, Maria Trevisan. Il matrimonio fu privo di figli. Non si sa quanto credito dare all’anonimo giurista friulano che, in un violento capitolo in terza rima contro Valvasone, lo accusò di sodomia (cfr. Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, It.IX.358 (=6292), cc. 39r-40r).
Nonostante i molteplici impegni che richiedevano la sua presenza a Valvasone (nonché, a partire almeno dal 1584, i problemi legati alla gotta), Erasmo effettuò vari viaggi, in particolare a Venezia, anche per svolgere incarichi assegnatigli dal Parlamento della Patria del Friuli e per difendere gli interessi di famiglia. Probabilmente sfruttò tali spostamenti per costruire la sua rete di relazioni con alcuni importanti letterati attivi a Venezia, tra cui collaboratori editoriali – che protesse anche economicamente – quali Dionigi Atanagi, Lodovico Dolce, Girolamo Ruscelli, Francesco Sansovino e Tommaso Porcacchi, ma anche Domenico Venier, fondamentale figura di riferimento per l’ambiente letterario veneziano e fra i più autorevoli promotori dell’Accademia della Fama. Particolarmente fruttuoso fu il rapporto con l’Atanagi (fra l’altro, segretario dell’Accademia della Fama), il quale pubblicò per la prima volta alcuni sonetti di Valvasone in due raccolte da lui curate: quella in morte di Irene di Spilimbergo (1561) e soprattutto quella De le rime di diversi nobili poeti toscani, nel secondo volume (1565). Negli anni successivi, poesie di Valvasone furono stampate in alcune delle più importanti sillogi celebrative dell’epoca; una parte consistente delle sue rime fu pubblicata per iniziativa, a quanto pare unilaterale, dell’editore Comin Ventura (Nuova scielta di rime dell’ill. sig. Erasmo Valvasone, Bergamo 1592).
La prima opera di vasto respiro pubblicata da Valvasone fu La Thebaide in ottava rima (Venezia, Francesco de’ Franceschi, 1570), che costituisce il primo volgarizzamento del poema staziano. La traduzione, alla quale non arrise molta fortuna (non si conoscono ristampe successive alla princeps), fu prefata e annotata dall’amico Cesare Pavesi (sotto lo pseudonimo di Pietro Targa), con osservazioni che miravano a rivalutare l’opera di Papinio Stazio e, al contempo, esibivano una significativa indifferenza ai dettami aristotelici. Il legame con Pavesi è interessante, perché quest’ultimo fu una figura di riferimento anche per il giovane Torquato Tasso alle prese con il Rinaldo. Va ricordata inoltre l’amicizia con Giovan Mario Verdizzotti, egli pure assai attivo nella riflessione di quegli anni sul poema epico-cavalleresco. Forte della sua dimestichezza con la Tebaide, Valvasone segnalò vari passi in cui Ariosto aveva imitato Stazio a Dolce, che ne tenne conto per le proprie annotazioni all’Orlando furioso.
A ridosso della pubblicazione della Gerusalemme liberata, sull’onda del recupero dei grandi romanzi antichi di materia francese e spagnola nel periodo fra Ariosto e Tasso, Valvasone pubblicò I quattro primi canti del Lancilotto (Venezia, Fratelli Guerra, 1580), a cui lavorava da circa tre anni. Ancora nel Settecento c’era chi parlava di manoscritti contenenti il seguito dell’opera, ma se ne sono smarrite le tracce. Anche nel caso dei Quattro primi canti, la prefazione è a firma di Pavesi. Quest’ultimo informava fra l’altro sulle difficoltà che avevano impedito a Valvasone di ultimare un poema sacro in ottave su Giuditta, a cui lavorava già al tempo della pubblicazione della Thebaide. Anche tale opera risulta perduta.
Al 1584 circa risale la Lettera di precetti et avvertimenti al nipote Cesare di Valvasone (all’epoca studente presso l’Università di Padova), pubblicata postuma insieme a una Lettera di copioso discorso del giureconsulto udinese Servilio Treo (Treviso, Angelo Righettini, 1610). I suggerimenti etico-comportamentali e l’appassionata difesa degli studi letterari che si leggono in tale scritto si ritrovano anche in un capitolo in terza rima che Valvasone indirizzò al nipote nello stesso giro di anni.
Nel 1586 uscì a stampa il poemetto in ottava rima Lagrime di S. Maria Maddalena (Venezia, Fratelli Guerra), spesso pubblicato nei decenni seguenti insieme alle Lagrime di S. Pietro di Luigi Tansillo.
Nel 1587 fu ascritto fra i primi soci della veneziana Accademia degli Uranici. Presso di essa presentò la propria traduzione dell’Elettra di Sofocle, a stampa l’anno seguente (Venezia, Fratelli Guerra). Al fondatore dell’accademia, Fabio Paolini, lo legava fra l’altro, oltre alla comune origine friulana, anche il profondo interesse per l’opera di Giulio Camillo. Infatti, nel dedicare a Valvasone i due volumi di Tutte l’opere di Camillo (1567), Tommaso Porcacchi lo ricordava come particolarmente attivo nella ricerca del disperso Teatro della memoria e di inediti camilliani.
Sempre avvalendosi dei buoni uffici del Paolini, Valvasone pubblicò nel 1590 il poema sacro in tre canti Angeleida, sulla cacciata degli angeli ribelli (Venezia, Giovan Battista Somasco). L’opera suscitò polemiche, in particolare per la rappresentazione in termini sensibili delle astratte sostanze angeliche. In difesa di Valvasone si levarono le voci di Giovanni Ralli, Ottavio Menini e Scipione di Manzano (l’unico di cui ci è rimasto il discorso apologetico). Menini e Manzano, in particolare, furono fra i letterati friulani più legati a Valvasone, insieme a Cornelio Frangipane, Giovanni di Strassoldo e Gian Domenico Cancianini.
Nel 1591 uscì il poema Della caccia (Bergamo, Comin Ventura), scritto però in età giovanile. Considerato uno dei più importanti poemi didascalici del Cinquecento, esso fu ristampato in versione rivista e ampliata nel 1593, con annotazioni di Olimpio Marcucci (alias Scipione di Manzano). È invece tuttora inedita la Difesa della Georgica di Virgilio, che si conserva autografa presso l’Archivio Frangipane a Joannis di Aiello del Friuli.
Morì ai primi di novembre del 1593. È stata messa in dubbio la tradizione che colloca il luogo del decesso a Mantova, dove il poeta si sarebbe recato nel 1592 su invito del duca Vincenzo Gonzaga. Egli si sarebbe spento invece a Valvasone, dove la sua presenza è attestata almeno fino al luglio del 1593 (cfr. Colussi, 2009, pp. 2566-2567). Tuttavia, non si spiega come mai manchi la sua epigrafe nella chiesa del Corpo di Cristo di Valvasone, nonostante l’esplicita richiesta in proposito nel testamento del 1591. La questione rimane pertanto irrisolta.
Opere. Edizioni moderne: Le rime, a cura di G. Cerboni Baiardi, Valvasone 1993; Angeleida, a cura di L. Borsetto, Alessandria 2005.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia degli scritti di e su Valvasone si vedano: A. Del Zotto, Bibliografia erasmiana, in Le rime, cit., pp. 233-358; Id., Addenda alla bibliografia erasmiana, in E. di V. (1528-1593) e il suo tempo. Atti della Giornata di studio..., ... 1993, a cura di F. Colussi, Valvasone-Pordenone 1996, pp. 337-356; F. Colussi, V. (di) E., in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani. II. L’età veneta, a cura di C. Scalon - C. Griggio - U. Rozzo, III, Udine 2009, pp. 2555-2568. Si aggiungano inoltre: G. Cichino, Georgii Cichini Carmina, introduzione e testo critico di L. Casarsa, Trieste 1976, p. 104; M. Favaro, Su alcuni componimenti sconosciuti di E. da V., in Nuova rivista di letteratura italiana, VIII (2005), 1-2, pp. 207-230; Id., Un episodio della fortuna di Giulio Camillo nel Friuli del Cinquecento, in Rinascimento, XLVI (2006), pp. 391-401; Id., Tra il Furioso, il Floridante e l’Odissea: i quattro primi canti del Lancilotto di E. da V., in Schifanoia, XXXIV-XXXV (2008), pp. 205-210; A. Pavan, “La madre de’ veltri”. La caccia di E. di V. e i poemi cinegetici antichi, in Maia, LX (2008), 3, pp. 440-461; Id., E. di V., i classici e il Friuli. La caccia: un’officina poetica tra critica letteraria, dottrina e invenzione, in Voleson, a cura di P.C. Begotti - P. Pastres, Udine 2013, pp. 265-282; P. Pastres, Alcuni versi di E. di V. dedicati a Jacopo e a Francesco Bassano, in Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, XVI (2014), pp. 837-854; J. Franzoni, Sull’Angeleida di E. di V.: divinitas, humanitas e ferinitas nella guerra angelica, in Versants, LXIV (2017), 2, pp. 39-48; M. Favaro, Un’autorità alternativa per l’epica cinquecentesca? Stazio e il volgarizzamento della Tebaide di E. da V., in Studi rinascimentali, XVI (2018), pp. 89-98; Id., L’etica del gentiluomo nella Serenissima: sulla Lettera di precetti et avvertimenti di E. di V. al nipote Cesare, in Romanische Studien, in corso di stampa.