ERA ("Ηρα, Hera)
Una delle maggiori divinità dell'Olimpo greco: divinità celeste per eccellenza, vera "regina del cielo", del quale essa rappresenta e impersona la luce notturna, elargita dalla luna, così come Apollo (v.) ne impersona la luce diurna, irradiata dal sole. E come il sole fu adorato nelle diverse parti della Grecia con varî nomi (uno di questi fu Apollo) e solo sporadicamente col suo proprio nome (Helios), così anche la luna soltanto qua e là ebbe culto col suo nome di Selene, e con altri e diversi nomi fu invece venerata nelle differenti regioni della Grecia (per es., col nome di Helena a Sparta, di Hekate a Mileto, di Pasiphae in Laconia, di Kalliste in Arcadia, ecc.). Di queste varie denominazioni, una era destinata a prevalere: quella, sotto la quale fu venerata nell'Argolide, di Hera: divenuta, ad Argo, la maggiore divinità del luogo, la dea poliade, il suo culto si diffuse, grazie alla posizione predominante tenuta dall'Argolide nell'età micenea, nelle altri parti del Peloponneso, poi nella Beozia e nell'Eubea e di qui, o direttamente da Argo, nell'isola di Samo, ove pure divenne dea poliade. L'epopea omerica ci dimostra che l'idea di Era "regina del cielo" era già patrimonio comune della grecità alla fine dell'età micenea (si ricordino gli epiteti, dati alla dea, di Χρυσόϑρονος, dall'aureo seggio", di Χρυσοπέδιλος "dagli aurei sandali", di Λευκώλενος "dalle braccia splendenti"; epiteti che la designano tutti come una divinità della luce), ma che, peraltro, una siffatta concezione non s'impose in tempo tanto antico da poter esercitare una decisiva influenza sul culto e sul mito: sicché E. non divenne mai una divinità veramente panellenica come Atena o Apollo (Roscher, Gruppe, Beloch).
L'essere stata elevata E., in Argo, a dea poliade, cioè a massima divinità del luogo, fu causa che essa venisse considerata qui come consorte di Zeus, il massimo degli dei dell'Olimpo: quindi, nella mitologia, E. fu fatta la maggiore delle figlie di Crono e moglie legittima di Zeus, massimo simbolo, perciò, della dignità e della venerabilità della donna e del matrimonio.
Sul significato originario e sul processo di sviluppo della figura di E. presso gli antichi Greci, furono però presentate dagli studiosi moderni anche altre teorie; mentre alcuno (O. Müller, Prolegom., 244) vide in essa semplicemente ἥρα, cioè la signora, la donna (dalla forma ἥρFα, lat. servare, "patrona, protettrice": così anche Roscher e Brugmann), altri (L. Meyer, G. Curtius) la considerarono divinità del cielo, ravvicinandone il nome alla radice svar "illuminare"; e, mentre il Roscher e il Gruppe credettero di poter riconoscere in E. una dea della luna, il Welcker (Griech. Götterlehre, I, 362) volle piuttosto ravvisarvi una dea ctonica, il Preller, invece, una divinità dell'aria e dell'atmosfera.
Culla del culto di E. fu dunque, come si è detto, Argo, e, in genere l'Argolide; e l'Era argiva fu di gran lunga la più venerata di ogni altra. In Argo essa fu innalzata al grado di moglie di Zeus, mentre in altre parti della Grecia, per esempio ad Atene e a Dodona, non E. ma Dione (v.) fu riguardata originariamente come consorte di Zeus. Oltre ad Argo, l'Iliade (IV, 51) conosce Micene e Sparta come città ad essa in special modo care; e anche a Ermione sappiamo che la dea fu fatta oggetto di speciale venerazione. Dall'Argolide il culto di E. si diffuse anzitutto nel Peloponneso: nell'Elide e in Olimpia, dove il tempio di E. (Heraion) passava per il più antico del santuario; a Sicione, dove si ricordavano Adrasto e l'eraclide Falces come mitici fondatori del tempio; a Corinto, ove la dea era venerata come patrona dell'Acropoli, con l'epiteto di 'Ακραία, e, fra le colonie corinzie, specialmente a Corcira. Numerosi templi e feste testimoniano l'importanza del culto della dea in Beozia e nell'adiacente isola di Eubea; ne fu sede specialmente il Citerone e le città distese ai piedi di esso, come Tespie e Platea, ove si celebravano processioni in onore della dea. E mentre il culto di E. fu scarsamente accolto nell'Attica, maggior diffusione trovò invece nelle isole, fra le quali Samo divenne un altro centro veneratissimo della religione della dea, il secondo dopo Argo: a Samo il culto argivo di Era fu localizzato presso il fiume Imbraso, e celebrato con feste e processioni di straordinario splendore, presso il magnifico tempio eretto da Reco; qui per la prima volta il pavone fu riguardato come l'animale sacro ad E. (cfr. Ateneo, XIV, 644 a). Dal culto argivo derivò pure quello di Creta, ove ne fu centro la regione di Cnosso: in occidente, infine, la dea ebbe venerata sede nel santuario del promontorio Lacinio, presso Crotone (Era Lacinia), che fu considerato come il centro religioso di tutti i Greci Italioti; anche il culto del Lacinio si manifesta di evidente provenienza argiva.
Fatta consorte di Zeus e simbolo della fedeltà e castità coniugale, s'intende come la figura di E. non si prestasse a un largo sviluppo mitico. La saga di E. s'impernia in realtà sui suoi rapporti coniugali con Zeus, di cui illumina, di volta in volta, le due manifestazioni: l'amore e la gelosia.
Allevata da Oceano e da Tetide (secondo l'Iliade), oppure dalle Ore e dalle Ninfe, essa è la vergine fidanzata di Zeus (παρϑενία), indi la sua legittima moglie (κουριδίη ἄλοχος), legata a lui da perfetto e indissolubile legame (Τελεία). Il culto celebrava il ricordo di queste nozze divine (ἱερὸς γάμος) a ogni primavera, e la saga epica narrava svariati episodî del sacro connubio; un riflesso se ne ha nel ricordo dell'Iliade (XIV, 152 segg.), quando la dea, nel pieno rigoglio della bellezza e dell'amore, appare al coniuge divino sulla vetta dell'Ida e lo accende di egual passione come la prima volta che egli gioì del suo amore, facendogli dimenticare Greci e Troiani e tutte le misere contese degli uomini. La saga argiva narrava che Zeus si era congiunto ad E. in mezzo al nembo della tempesta, venendo a lei sulla vetta d'un monte e in forma di cuculo, uccello annunziatore della primavera e della pioggia benefica; nel culto, si celebrava lo ἱερος γάμος con splendida pompa, portando in corteo nuziale le immagini dei due dei, incoronate di fiori. In modo simile si festeggiava il sacro connubio a Platea, nell'Eubea, a Creta e infine a Samo.
Ma anche più variamerite trattato nel mito fu il tema delle contese fra i due coniugi, tutte provocate dalla gelosia di E., irritata e tormentata dalle frequenti infedeltà del consorte. E, del resto, la spiegazione di questa duplice e contrastante manifestazione dell'amore fra i due sposi divini va ricercata (Preller) nel significato stesso naturistico delle due divinità: le gelosie e le dispute di E. e di Zeus vogliono bene rappresentare l'aspetto invernale e tempestoso del cielo, in contrapposto a quello primaverile e sereno: così come nel mito e nel culto delle divinità ctoniche (quali per es., Demetra e Dioniso) troviamo simboleggiato il doppio aspetto della terra assopita nel letargo invernale e risvegliata poi dal bacio del sole primaverile. Come divinità del cielo tempestoso, E. è una dea aspra e violenta κυδίστη, è fatta madre di Ares, si compiace della guerra e delle armi; nella guerra di Troia, è la più ardente compagna di Atena e la più irreconciliabile nemica di Priamo e dei Troiani. S'intende così come nel suo culto, benché generalmente servito da sacerdotesse, intervengano non di rado uomini, anche armati, e vi compaiano giuochi guerreschi; così nelle feste Erée di Argo, all'offerta di un'ecatombe seguivano giostre di cavalieri, col premio del sacro scudo della dea; giuochi guerreschi si tenevano anche nelle feste di E. a Egina; uomini armati intervenivano nella processione di Samo; nel culto di Elide e del promontorio Lacinio, la dea portava l'epiteto di ‛Οπλοσμία.
Ma gli aspetti più proprî della dea rimasero sempre quelli che le derivavano dalla sua condizione di consorte di Zeus e di verace simbolo di vita matronale. Come Zeus, essa presiede alla vita e alle manifestazioni del cielo atmosferico: aduna le nubi e scatena le procelle, manda il lampo e il tuono, riconduce il sole e il sereno, comanda alle sue messaggere, Iride e le Ore; da lei s'impetra la pioggia, sacrificandole capre (onde l'epiteto, che le è dato a Sparta e a Corinto, di Αἰγοϕάγος). Come Zeus, essa veglia sulle città e sui popoli (Era βασίλεια, col significato originario di "regina del cielo", modificato poi in senso sociale e politico per attrazione dell'epiteto di βασιλεύς, dato a Zeus).
Nel secondo aspetto, di perfetta matrona (Τελεία), essa è patrona delle donne maritate (con gli epiteti di Γαμηλία e Ζυγία) e rappresenta nella mitologia pagana il più elevato modello della vita e della prosperità coniugale. Ed è immaginata bella - e il mito ce la presenta, in gara di bellezza, dinanzi a Paride, insieme con Afrodite e Atena - ma d'una bellezza severa e casta: pura è andata sposa a Zeus, e, se anche non sa sopportarne i tradimenti, gli si mantiene fedele, e veglia perciò sulla fedeltà e la castità delle spose, ravvicinandosi così, sotto questo aspetto, a Demetra Thesmophoros. E anche veglia, sulle donne, e in particolar modo sulle spose, nelle contingenze più delicate e critiche della loro vita sessuale specialmente nell'occasione del parto; e, come protettrice dei parti, essa era adorata in Argo con l'epiteto di Εἰλείϑυια.
Iconografia. - Un antichissimo xoanon di E. seduta, in legno di pero selvatico, è da Pausania (II, 17, 5) ricordato come esistente a Tirinto. Ma la prima sicura immagine della dea è quella ritrovata in Olimpia (fig. 1); è la sola testa (avanzo probabilmente del venerato simulacro di quel tempio antichissimo), di dimensioni colossali (più del doppio del vero), scolpita nel calcare del posto, con una caratteristica copertura del capo, il polos. Un'altra opera, che è stata considerata alquanto posteriore a quella di Olimpia, e cioè del principio del sec. VI a. C., è la statua acefala dedicata da un Cheramys in Samo, ora al Museo del Louvre (fig. 2). La statua conserva le forme d'un tronco di albero appena sbozzato, rivestito da un chitone di lino sottilissimo, che cade fino ai piedi appena accennati; al di sopra ha un himation di lana, posto a tracolla. Il braccio destro cade lungo il corpo, il sinistro è stretto davanti al petto. La forma della statua giustifica il sospetto che essa ci conservi l'eco d'uno di quei primitivi idoli che segnano quasi il passaggio tra l'arte aniconica e l'antropomorfismo, di cui gli scrittori antichi ci lasciano sovente ricordo col nome di xoana, probabilmente anzi di quello di Smilide di Egina, che era oggetto di culto nel santuario di Era a Samo. La maniera con cui sono trattati i tessuti dei vestiti, che ricorda forme proprie della lavorazione metallica, induce a credere che quell'idolo antichissimo fosse ravvivato da un rivestimento di metallo tirato a martello.
Dopo questi primi tentativi, il tipo di Era, nella scultura arcaica ed in quella posteriore, appare senza speciali caratteristiche di forma o di attributi, quali invece si trovano per altre divinità. Ricordiamo la figura di Era nella metopa del tempio E di Selinunte, in cui la dea appare solenne, riccamente vestita, in un episodio, le sacre nozze con Zeus, nel quale, invero non a proposito, si suol vedere un riflesso omerico.
Nel pieno fiorire dell'arte ellenica, Policleto crea per il famoso santuario di Era, fra Argo e Micene, ricostruito dopo l'incendio del 423, il più celebre simulacro della dea.
Nel capolavoro, perduto, la dea appariva, come risulta dalla descrizione di Pausania (II, 17, 4) e da alcune monete di Argo, seduta solennemente in trono; la statua era colossale, la tecnica crisoelefantina. Una testa marmorea, conservata nel Museo Britannico, ci dà, secondo la più recente opinione degli studiosi, una copia, benché lontana, della statua policletea di Argo (fig. 3). Il riscontro che essa offre con le monete sopra ricordate, è infatti assai notevole, non solo per la disposizione della capigliatura, il profilo, la modellazione delle labbra tumide e dei profondi occhi, ma anche per la forma potente del cranio. Altri simulacri della dea, la cui origine risale del pari allo scorcio del sec. V, sono la celebre testa Farnese del Museo Nazionale di Napoli, e l'altra, colossale, ed anche più nota, del Museo Nazionale Romano, proveniente dalla collezione Ludovisi (fig. 4). Già in passato, si era riconosciuto nell'una e nell'altra di queste sculture un riflesso dell'opera di Policleto.
Allo stesso secolo si riferisce un'altra creazione dell'arte greca, l'Era di Alcamene, ricordata da Pausania (I, 1, 5). Sembra che di questa statua sia una replica, d'età romana, quella Era del Museo Vaticano, che il restauratore ha trasformato in Demetra, ponendole un mazzo di spighe nella mano destra. La statua presenta la Dea ritta, poggiante sul piede destro, in un atteggiamento pieno di maestà, cui conferiscono austera bellezza il benigno sorriso del volto, e l'eleganza del peplo che ricade in panneggiamenti vigorosi, ma composti. La statua, che altri studiosi ritengono invece replica della Nemesi di Agoracrito, è senza dubbio opera dei più vicini discepoli di Fidia. L'età romana trova in queste creazioni gli elementi per le rappresentazioni di Giunone.
Bibl.: F. G. Welcker, Griech. Götterlehre, I, Gottinga 1857, p. 632 segg.; L. Preller-C. Robert, Griech. Mythologie, I, 4ª ed., Berlino 1887, p. 160 segg.; W. A. Roscher, Studien zur vergleichenden Mythologie, II, Iuno und Hera, Lipsia 1875; id. Hera, in Roscher, Lexicon der griech. und rom. Mythologie, I, ii, coll. 2075-2133; J. A. Hild, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités gr. et rom., III, i, p. 668 segg.; S. Eitrem, Hera, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, coll. 369-403; L. R. Farnell, The cults of the Greek States, Oxford 1896-1909, I, p. 179 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1122 segg.; M. P. Nilsson, Griech. feste von relig. Bedeutung, Lipsia 1906, p. 40 segg.; id., The Minoan-Mycenian religion, Lund 1927, passim; K. J. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., I, ii, Strasburgo 1912, p. 158 seg.; U. v. Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen, I, Berlino 1931, p. 237 segg.